
RISCHIO INCIDENTE RILEVANTE. IN ITALIA SIAMO IN ENORME RITARDO di Erasmo Venosi
I gravi incidenti accaduti di recente (la centrale turbogas negliStati Uniti e il caso Lambro in Italia) ripropongono l’antico dibattito sulla valutazione del rischio, ma anche sulla responsabilità degli Stati di applicare le normative e la capacità di analisi e controllo della pubblicaamministrazione. Nel nostro Paese le analisi di rischio nell’industria diventano obbligatorie dopo la direttiva del 1982 conosciuta come “Seveso”. La legge identifica dei tipi di imprese a rischio di “incidente rilevante” e obbliga il gestore a redigere un Rapporto di sicurezza in cui si deve dimostrare di aver messo in atto misure per prevenire e limitare eventi accaduti nello stabilimento o in industrie simili. Il controllo invece deve valutare la congruità di queste ipotesi di incidenti e la compatibilità con il territorio circostante.
Nel 1996 una seconda direttiva conosciuta come Seveso II (direttiva 96/82/Ce) pone una maggiore enfasi sui problemi di pericolosità per l’ambiente. A seguito di gravissimi incidenti, interviene nel 2003 una terza direttiva, la 103, impropriamente chiamata Seveso III, nella realtà solo una modifica della Seveso II. In Italia gli impianti a rischio di incidente rilevante sono 1.091.Incidente rilevante è «un evento quale un’emissione, un incendio o un’esplosione di grande entità dovuta a sviluppi incontrollati che si verificano durante l’attività di uno stabilimento (...) e che dia luogo a un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento in cui intervengono una o più sostanze pericolose».
La maggioranza degli impianti a rischio si trova in Lombardia (283); al secondo posto Piemonte e Veneto con circa 100 impianti. In Sicilia ci sono 71 impianti.Strumenti di ulteriore verifica del “rischio industriale” sono gli obblighi che gli artt. 3 e 4 della direttiva sull’autorizzazione integrata ambientale (Aia, direttiva Ippc) pongono a carico del gestore dell’impianto. Nelle condizioni per l’autorizzazione ci sono le misure necessarie per prevenire incidenti rilevanti. La storia dell’Aia italiana coincide con dieci anni di “giochetti”, artifici giuridici e spoil system. Di irresponsabile concezione del rapporto tra ambiente e sistema industriale. Un legislatore che recepisce le direttive perché obbligato ma poi nei decreti attuativi e negli anfratti della norma la rende inapplicabile perché subordinata alla elaborazione di Linee guida.
Un esempio? Per la concessione dell’Aia il primo decreto attuativo del 1999 prevedeva (artt. 4 e 5 dlgs 372/1999) le linee guida per le migliori tecnologie disponibili (Mtd). Senza linee guida nessuna Aia! Non avrebbero dovuto inventare nulla perché le Mtd le aveva identificate l’Unione europea attraverso un gruppo di esperti (Brefs e Processo di Siviglia). In più erano state rese disponibili attraverso la rete Impel (The European union network for the implementation of environmental law). Il problema è che le linee guida per le centrali termoelettriche italiane sono arrivate nel 2008! La realtà è che entro il 2004 dovevano avere l’Aia tutti gli impianti. Siamo in procedura d’infrazione e le autorizzazioni concesse sono 41 su circa 200. Le centrali termoelettriche in attesa di Aia sono 90 e quelle che l’hanno ottenute 23. La potenza elettrica installata in Italia supera dell’80% la richiesta e in verifica di compatibilità ambientale (Via) presso il ministero dell’Ambiente sono presenti procedimenti per altri 22 milioni di kW!
Quanto di razionale e precauzionale ci sia in tutto questo è assai difficile da capire.
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da "La Voce dell'emergenza"
Nucleare: le 5 menzogne da smontare
Due notiziole hanno riproposto negli ultimi giorni la questione del nucleare. La prima viene dagli Stati Uniti, dove il Senato del Vermont ha votato, per ragioni di sicurezza, la chiusura del suo reattore atomico nel marzo del 2012. La seconda viene dall’Italia, dove il ministro dell’istruzione Gelmini ha annunciato un programma per spiegare agli studenti la bontà dell’energia atomica.
Da una parte la realtà del nucleare che, nonostante i giganteschi sforzi della lobby che lo sostiene, proprio non ce la fa a rendersi credibile specie per quanto riguarda la sicurezza; dall’altra una propaganda odiosa quanto priva di veri argomenti. Ma siccome la propaganda c’è e non bada a spese, può essere utile concentrarsi sulle principali menzogne utilizzate dai sostenitori del nucleare.
Menzogna n° 1: il nucleare è pulito e sicuro
Menzogna n° 2: il nucleare risolverà i problemi energetici del pianeta
Menzogna n° 3: il nucleare abbassa il costo dell’energia
Menzogna n° 4: l’Italia è obbligata ad importare energia elettrica di fonte nucleare
Menzogna n° 5: solo il nucleare, non le energie rinnovabili, può sostituire i combustibili fossili
Leggi l'interessante articolo integrale
Venezia e il problema inceneritori
Studi pubblicati recentemente dal Comune di Venezia relativamente al rischio sarcoma in Veneto (Quaderno della salute n.4/2010) hanno messo in luce come la nostra regione presenti una incidenza media di queste malattie più alta di quella nazionale sia nei maschi che nelle femmine. All’interno della regione, inoltre, sono emerse delle differenze piuttosto significative nella incidenza di alcune forme tumorali più frequenti in alcune zone della regione, in particolare lungo la riviera del Brenta e, in misura meno marcata, nel territorio di Venezia centro storico e terraferma.
Va sottolineato che negli anni passati, soprattutto tra gli anni 1972-1986, la provincia di Venezia ha subito un massiccio inquinamento atmosferico da sostanze diossino-simili rilasciate dai molti inceneritori presenti sul territorio. Nella zona di Porto Marghera sono stati installati i primi inceneritori industriali in Italia e nel 1960 ne erano attivi due. Anche per quanto gli inceneritori di rifiuti solidi urbani (RSU) la Regione Veneto è stata la prima a deciderne la costruzione a partire dal 1962. Negli anni successivi poi il loro numero è andato progressivamente aumentando ed è arrivato a ben 33 impianti attivi nella sola provincia di Venezia. Gli inceneritori sono tra i principali responsabili dell’emissione in atmosfera di diossine, ma emettono anche polveri, ossidi di azoto e di zolfo, acido cloridrico e metalli.
Lo studio ha evidenziato come esista una elevata correlazione tra l’ubicazione di queste sorgenti inquinanti e, considerando la direzione prevalente dei venti, le aree di ricaduta degli stessi (Dolo, Stra, Vigonovo eFiesso d’Artico). Deve far riflettere il fatto che le aree di ricaduta si collochino anche a grandi distanze dai camini degli inceneritori medesimi, conseguenza peraltro assolutamente logica dal momento che le emissioni in quota risentono di condizioni meteorologiche diverse da quelle al suolo e possono quindi venire trasportate a grandi distanze prima di ricadere al terra.
Le indagini epidemiologiche e i dati sperimentali sulle emissioni in atmosfera dimostrano in modo inequivocabile che lo smaltimento di rifiuti debba necessariamente seguire percorsi alternativi a quelli dell’incenerimento, dal momento che questo si rende responsabile della dispersione in atmosfera di cancerogeni, che oltre a colpire un elevato numero di cellule bersaglio, sono in grado di bio accumulare. Nel territorio del Comune di Venezia, invece, la Giunta Regionale del Veneto sta cercando di portare avanti, tra numerose proteste delle associazioni ambientaliste e dei cittadini a cui si aggiunge il parere contrario espresso dal Comune di Venezia, il potenziamento dell’inceneritore SG31 a Porto Marghera in modo tale da consentirgli di bruciare anche rifiuti speciali e tossico nocivi provenienti da tutta Italia. Una posizione paradossale alla luce delle conseguenze che questi tipi di impianti hanno dimostrato di avere.
Leggi anche Mal d’aria, la vera emergenza nel disinteresse della politica
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TRATTO DA" IL CORRIERE DELLA SERA .IT"
SU CURRENT TV
Parte Greensaver, una nuova serie d'inchieste sull'emergenza ambientale
A partire dal 3 marzo, ogni mercoledì in prima serata e per 8 puntate sul canale 130 Sky
MILANO - A partire dal 3 marzo, ogni mercoledì in prima serata e per 8 puntate sul canale 130 Sky andrà in ondaGreenSaver, il nuovo programma sull’emergenza ambientale prodotto da su Current Tv , il canale italiano del social news network globale di scambio d’informazioni e attualità fondato da Al Gore.
In Greensaver si parlerà di cambiamento climatico, politiche di sviluppo sostenibile, combustibili fossili, nuove frontiere delle energie rinnovabili e altro ancora, coerenti con la forte identità ecologista di Current tracciata lungo le linee-guida del film-documentario dell'ex vicepresidente americano Una Scomoda verità (premio Oscar 2007) e del più recente libro «La Scelta».
IL FORMAT - Greensaver mette a frutto una nuova metodologia di indagine, che attraverso l’uso di Internet diventa inchiesta e si fa denuncia. Che utilizza documenti e filmati reperibili in rete, con cui analizzare, indagare e comprendere i tre pilastri di una crisi correlata, la crisi più grande che l’umanità nel suo insieme si sia mai trovata ad affrontare: crisi ambientale, crisi energetica e crisi economica. Il formatr darà la voce a una generazione che si interroga sul significato di benessere e sviluppo, sensibile a quel concetto di bene comune che caratterizzerà le politiche ambientali, energetiche ed economiche dei prossimi anni.
LA PRIMA PUNTATA - S’inizia mercoledì 3 marzo alle ore 21.10 con la puntata dal titolo«Scienza del clima»: nell’ultimo G8 il ministro Prestigiacomo richiama il sistema dell’informazione a dare prova di un maggiore equilibrio sui temi ambientali.«L’informazione gioca un ruolo cruciale per l’educazione ambientale». Queste le parole del ministro. Ma qual è il rapporto tra la scienza e l’informazione? Greensaver ha voluto indagare questa relazione sul tema dei cambiamenti climatici. In che modo è stata gestita la divulgazione del dibattito scientifico? Che ruolo ha giocato l’industria del petrolio? Interessi economici, manipolazione del sapere, censura, vere e proprie azioni di disinformazione: questo è lo scenario che emerge attraverso la ricostruzione di come sono andate le cose tra scienza, politica e informazione. Una democrazia che manipola l’informazione si può ancora chiamare democrazia? Interrogativi destinati a mettere in luce l’inadeguatezza di un sistema politico nell’affrontare la complessa sfida del cambiamento climatico.
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