COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE.

QUESTO BLOG UTILIZZA COOKIES ,ANCHE DI TERZE PARTI.SCORRENDO QUESTA PAGINA ,CLICCANDO SU UN LINK O PROSEGUENDO LA NAVIGAZIONE IN ALTRA MANIERA ,ACCONSENTI ALL'USO DEI COOKIES.SE VUOI SAPERNE DI PIU' O NEGARE IL CONSENSO A TUTTI O AD ALCUNI COOKIES LEGGI LA "COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE".

30 gennaio 2017

Polmoni senza diritti:Meno del 20% dei cittadini in Europa respira aria“in regola” rispetto alle linee guida dell’Oms.


Meno del 20% dei cittadini in Europa respira aria “in regola” rispetto alle linee guida dell’Oms. E anche se è migliorata rispetto a dieci anni fa, l’esposizione della popolazione resta critica, come spiega in questa intervista Marie-Ève Héroux, responsabile tecnico per la qualità dell’aria e del rumore nell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Cominciamo dai dati. Quante vittime fa la cattiva qualita dell’aria che respiriamo? Siamo tutti giustamente proccupati dell’aria esterna, a cui attribuiamo almeno tre milioni di vittime ogni anno nel mondo, ma anche quella degli ambienti chiusi può essere altrettanto mortale. Si stima che 6,5 milioni di decessi (l’11,6% di tutte le morti a livello mondiale) nel 2012 possono essere associati all’inquinamento dell’aria, outdoor e indoor (al quale contribuiscono altre sostanze, ndr). Quasi il 90% delle morti si verifica nei paesi a basso e medio reddito, quasi due su tre in Asia sudorientale e nelle regioni occidentali del Pacifico.
Dove si trova l’aria piu inquinata? Le regioni che hanno i più alti livelli di inquinamento atmosferico sono il Sudest asiatico, il Mediterraneo orientale e le regioni del Pacifico occidentale, anche se in alcuni di questi posti c’è una grande quota di polvere naturale che viene inclusa nelle stime.
E in Europa che aria respiriamo? Meno del 20% dei cittadini nei paesi europei respira entro il livello indicato dalle nostre linee guida, ovvero 10 μg/ m3 per il pm2,5. Va sottolineato che le preoccupazioni per la salute non si limitano ai centri più inquinati: effetti sostanziali si notano anche nelle città più pulite d’Europa o del Nord America, dove i livelli di particolato sono 3-5 volte inferiori a quelli delle città più inquinate.
La situazione è migliore o peggiore del passato? In generale, la qualità dell’aria è migliorata negli ultimi dieci anni in Europa. Tuttavia l’esposizione della popolazione rimane significativa.
Bisogna rivedere i limiti di legge? Ci sono evidenze successive alla pubblicazione delle nostre linee guida del 2006 che dicono come livelli anche più bassi di particolato hanno impatto sulla salute. Ecco perché le linee guida, anche se non giuridicamente vincolanti, sono in fase di revisione per aiutare i paesi a ridurre il carico globale di malattie da infezioni respiratorie, malattie cardiache e il cancro ai polmoni. Inoltre si potranno ridurre anche le emissioni di gas che contribuiscono al cambiamento climatico.
Dovendo fare una vostra classifica, quali sono le fonti di inquinamento atmosferico più preoccupanti e cosa si può fare per ridurre i rischi per la salute? Sono il trasporto con veicoli e carburanti inquinanti, la combustione inefficiente di combustibili a uso domestico per la cottura, l’illuminazione e il riscaldamento, le centrali termoelettriche a carbone e la combustione dei rifiuti. Tutte le politiche che cercano di ridurre queste fonti possono avere un effetto positivo sulla qualità dell’aria. Gli Stati membri dell’Oms hanno adottato nel 2015 una risoluzione per “affrontare gli effetti negativi sulla salute dell’inquinamento atmosferico”. Nel 2016 hanno concordato una road map per “una migliore risposta globale agli effetti negativi sulla salute dell’inquinamento atmosferico”. Questa agisce su quattro pilastri: l’ampliamento di prove e conoscenze sugli impatti sanitari; il monitoraggio e il reporting degli impatti e le tendenze dell’inquinamento; il rafforzamento del coordinamento globale fra istituzioni; le strategie per rafforzare il settore sanitario e indurre la politica e il processo decisionale a sviluppare piani d’azione per ridurre i rischi per la salute. Bisogna impegnarsi per farla rispettare.

29 gennaio 2017

Duccio Facchini :La bolla degli inceneritori

Tratto da Altreconomia 
La bolla degli inceneritori
Nel 2015, l'inceneritore di Brescia (A2a) ha bruciato 686mila tonnellate di rifiuti
Se la produzione italiana dei rifiuti mantenesse le dinamiche attuali -ovvero in calo costante- e la raccolta differenziata raggiungesse il 65% -come il nostro Paese si era impegnato a fare entro il 2012-, la capacità di incenerimento già installata sarebbe già in eccesso. Eppure il Governo ha individuato un “fabbisogno” ulteriore, gonfiato del 68% in più rispetto alla realtà

L’Italia non ha bisogno di altri forni inceneritori per gestire i rifiuti urbani. In prospettiva, potrebbe addirittura farne anche a meno. Eppure, nonostante gli ultimi dati pubblicati a fine 2016 nel Rapporto Rifiuti Urbani” dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA, www.isprambiente.gov.it), un decreto dell’agosto scorso dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi individua una capacità potenziale di incenerimento che rischia di rivelarsi decisamente sovrastimata.....

Stando al “decreto Renzi” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nell’ottobre 2016, infatti, il nostro Paese detiene già una “capacità nazionale di trattamento dei rifiuti urbani e assimilati” pari a 5,9 milioni di tonnellate annue. Cui si possono aggiungere virtualmente quelle autorizzate ma “non in esercizio”, che pesano per altre 665.650 tonnellate. Arrotondando si ottiene quindi una capacità esistente di circa 6,5 milioni di tonnellate. Per l’esecutivo, però, non è abbastanza. Ed è per questo che ha stimato un “fabbisogno impiantistico da realizzare” per altre 1,8 milioni di tonnellate (solo la Sicilia ne ospiterebbe 690mila). Totale: quasi 8,4 milioni di tonnellate.
La bolla degli inceneritori inizia qui. Immaginando -contrariamente a quanto sta già accadendo- che la produzione dei rifiuti resti costante nei prossimi anni (29 milioni di tonnellate) e che la differenziata, lentamente, raggiunga il sofferto traguardo del 65%, i rifiuti indifferenziati da gestire si ridurrebbero a poco più di 10 milioni di tonnellate. Se gli inceneritori continuassero ad erodere la quota destinata alla discarica (oggi al 58% contro il 42% dei forni), vorrebbe dire che la capacità necessaria non supererebbe quota 5 milioni di tonnellate, ben distanti dalle 8,4 immaginate dal Governo. Un sovradimensionamento non necessario del 68%......Continua  qui

28 gennaio 2017

GENOVA:Centrale a carbone, il blitz degli ambientalisti

Tratto da Il Secolo XIX

Genova - "Stop ai veleni", "No alle fonti fossili". La protesta delle associazioni ambientaliste arriva di prima mattina con striscioni e slogan contro la possibile ripresa delle attività della centrale Enel. Un blitz in contemporanea all'attracco della nave “Sider Tis” partita lunedì da Capodistria con poco più di tremila tonnellate di carbone. Il carico è ancora a bordo della nave e potrebbe essere scaricato lunedì.
La nave-cargo era già attesa domenica scorsa ma aveva scaricato 4mila tonnellate di carbone ad Ancona, prima di raggiungere lunedì scorso Capodistria, in Croazia.
"L'apertura della centrale non porta nessun vantaggio ai cittadini, solo a Enel e alla Francia a cui verrà inviata energia. Per noi resterà solo il particolato e i rischi per la salute - attacca Andrea Agostini di Legambiente - Ci battiamo da vent'anni per la dismissione di questa centrale pericolosissima, abbiamo mostrato il nostro dissenso con civiltà ma non devono essere solo i cittadini a cercare di difendersi. Il sindaco e i politici locali possono fermare tutto, basta una delibera, una loro decisione. Ma questa ipotesi non è stata nemmeno presa in considerazione".

26 Gennaio 2017 Irlanda: la prima nazione del mondo a divestire fondi pubblici da petrolio, gas, carbone

Tratto da Dorsogna blogspot


Irlanda: la prima nazione del mondo a divestire fondi pubblici da petrolio, gas, carbone


Thomas Pringle, nel proporre la legge che vieta ai fondi pubblici irlandesi di essere investiti in petrolio, gas e carbone
Eamon Ryan-Youtube
Il giorno 26 Gennaio 2017 e' stato un giorno epocale per l'Irlanda.

Il parlamento ha votato per il divestimento totale dei soldi pubblici dalle fonti fossili. La prima nazione del mondo che non investira' i fondi nazionali in petrolio, gas e carbone.  Si tratta di circa 8 miliardi di euro tolti all'energia sporca. 

La legge si chiama Fossil Fuel Divestment Bill e regolamenta il cosiddetto Ireland’s Strategic Investment Fund fondi naizonali sotto il Republic’s National Treasury Management Agency.
  
Il voto e' passato 90 a 53.

Nel 2015 anche la Norvegia aveva votato di divestire, ma solo dal carbone, non dal petrolio.
E grazie! Sono un grande produttore di petrolio e il tutto sarebbe sembrato poco coerente! 

Il legislatore che ha proposto questa legge si chiama Thomas Pringle, e dice che

"Il principio di finanza etica e' un segnale a queste corporazoni globali che il loro continuo manipolare la scienza del clima, il negare i cambiamenti climatici e il modo controverso che usano nel fare lobby presso i governi del mondo non sara' piu' tollerato. Non possiamo piu accettare le loro azioni mentre milioni di poveri nel mondo e in nazioni meno sviluppate soffrono le conseguenze delle loro azioni e dei cambiamenti climatici nella forma di fame, migrazione di massa e discontento civile."....


27 gennaio 2017

AMBIENTE INQUINATO E MALATTIE CRONICO-DEGENERATIVE, INFIAMMATORIE E TUMORALI

Tratto da portalemisteri

AMBIENTE INQUINATO E MALATTIE CRONICO-DEGENERATIVE, INFIAMMATORIE E TUMORALI...

NON C’È MALATTIA CHE NON SIA INDOTTA DALL’INQUINAMENTO DELL’AMBIENTE.
Così affermano gli studi relativi a quella che viene definita rivoluzione epigenetica” e uno tra i maggiori esperti in questo nuovo campo di conoscenze il dr. Ernesto Burgio, presidente del Comitato tecnico-scientifico dell’Associazione Medici per l’ambiente ISDE (International Society of Doctors for Environment), Coordinatore Comitato Scientifico ISDE-Italia, Membro del Comitato Scientifico di ARTAC France (Association pour la Recherche Thérapeutique Anti-Cancéreuse), Membro ENSSER (European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility), Membro Commissione Cancerogenesi Ambientale – AIOM (Ass Italiana di Oncologia Medica),  Membro Commissione Ambiente-Salute della SIP (Società Italiana di Pediatria), Referente regionale Progetti OMS di Promozione della Salute – Sicilia.
Ma che cos’è l’epigenetica?
In estrema sintesi e in modo semplice si può definire l’epigenetica come quella branca della genetica che studia tutte le modificazioni che alterano l’attività dei geni senza modificare le sequenze del DNA; modifiche che possono essere anche ereditate.
Per semplificare: il DNA  può essere pensato come l’hardware di un computer e le attività ad esso connesse come il software. Il software in questo caso funziona più o meno bene a seconda delle informazioni che gli arrivano dall’esterno, cioè dall’Ambiente. Ogni giorno della nostra vita le nostre cellule ricevono in forma di molecole, correnti elettromagnetiche, sostanze chimiche di sintesi etc., informazioni dall’attuale Ambiente esterno inquinato e inducono interagendo con l’epigenoma il DNA – il genoma –  a funzionare in maniera diversa da come dovrebbe. Il che, in parole povere, significa che l’Ambiente inquinato interferisce in modo negativo sull’attività del DNA. Il dottor Mauro Mocci dell’ISDE, per la verità, ci aveva già trasmesso questa importante informazione nel convegno di Manziana del 2012.
E qual è il dato più allarmante di questi studi epigenetici?
Che trovano riscontro in un aumento spaventoso del numero di malattie cronico-degenerative, infiammatorie e tumorali sempre più in crescita nei paesi industrializzati e quindi con un più alto livello di inquinamento ambientale.
In Italia una persona su due, prima o poi contrae il cancroper non parlare di tutta una serie di altre patologie in continuo incremento. Il problema da affrontare è dunque di ordine collettivo e se la collettività non riuscirà entro fine secolo a fare qualcosa per rovesciare il nostro attuale rapporto con l’Ambiente, l’intera specie umana sarà a rischio.
Queste sono parole del dottor Ernesto Burgio che si fondano anche su dati rilevati e su ricerche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La visione di questi due filmati non lascia più dubbi.
Grazie a questa esposizione molto chiara del dottor Ernesto Burgio ora possiamo tutti sapere che siamo in una vera e propria crisi ambientale e sanitaria e che sarebbe criminale non intervenire subito. Ed è bene sapere che non c’è essere al mondo, nemmeno il bioprofittatore, che non sia esposto alle trasformazioni della composizione dell’aria che respiriamo, alle trasformazioni della catena alimentare (per lo più impregnata di benzene e pesticidi) e alle trasformazioni degli ecosistemi che costituiscono il cuore della biosfera.
Ma qual è la soluzione?
La soluzione sta in una presa di coscienza collettiva, con o senza il permesso dell’attuale sistema politico-finanziario che ha dimostrato di non avere gli strumenti etici per rinunciare all’attuale modello di sviluppo economico lineare che ci sta portando diritti al rischio estinzione, anche se con un consolatorio stigma “bio” o “green”. Noi cittadini, invece, possiamo ancora fare qualcosa: dobbiamo cambiare la nostra visione del rapporto ambiente-salute ed esigere, senza se e senza ma, che i nostri amministratori centrali o locali compiano il loro mandato nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute, applicando il Documento Programmatico ISDE su Ambiente e Salute (www.isde.it).
Chiediamolo a tutti i Sindaci e a tutti i presidenti di Provincia e Regione. .......
Ringraziamo di cuore la dottoressa Antonella Litta, referente dell’Associazione medici per l’Ambiente – Isde di Viterbo, che ci ha segnalato questi importantissimi filmati del dottor Ernesto Burgio e precisiamo che il nome Valerio, spesso richiamato dal dottor Burgio, corrisponde alla persona del dottor Valerio Gennaro, epidemiologo dell’IST (Istituto Nazionale Per La Ricerca Sul Cancro) di Genova.

26 gennaio 2017

Venerdì 27 gennaio alle ore 18, incontro con il giornalista e scrittore Fulvio Colucci e presentazione del libro “ILVA football club”

Tratto da Savona News
Vado come Taranto, unite nella lotta all'inquinamento. Incontro alla Ubik

Venerdì 27 gennaio alle ore 18, incontro con il giornalista e scrittore Fulvio Colucci e presentazione del libro “ILVA football club” La squadra di calcio del quartiere più avvelenato d'Italia: il Tamburi di Taranto

Vado come Taranto, unite nella lotta all'inquinamento. La storia della squadra di calcio del quartiere Tamburi a ridosso dell’ILVA di Taranto. Una generazione di calciatori scomparsa a causa dell'inquinamento Venerdì 27 gennaio alle ore 18: incontro con il giornalista e scrittore Fulvio Colucci (vincitore del premio "Ilaria Alpi '95") e presentazione del libro “ILVA football club” La squadra di calcio del quartiere più avvelenato d'Italia: il Tamburi di Taranto (Kurumuny editore)
Introducono Danilo Bruno e la giornalista Debora Geido. A cura dell'Agorà degli ecologisti e civici di Savona “Alexander Langer”, in collaborazione con la Rete savonese fermiamo il carbone
Un giornalista sportivo nato al quartiere Tamburi di Taranto, dopo il sequestro dell'Ilva da parte della magistratura per disastro ambientale, decide di riannodare i fili del passato. Sente di doverlo al padre, morto di cancro; a quella generazione di calciatori, scomparsa a causa dell'inquinamento, di cui aveva fatto parte negli anni '70 e '80; alla storia della sua città, stretta dalla crudele morsa dell'acciaio che le impedisce di costruire memoria e futuro. Col pretesto di cercare, con vana consapevolezza, la "maglia grigia" (indossata durante un torneo e che tanto ricordava il colore del siderurgico) si trasforma in un viaggiatore nel tempo. Si dipana così la vicenda di un Ulisse catapultato negli anni drammatici in cui il "colosso d'acciaio" era il totem fasullo di un tragico benessere; fino alla trasfigurazione della vicenda nel grande racconto collettivo di undici, anonimi, campioni.
Fulvio Colucci, giornalista e scrittore, lavora nella Gazzetta del Mezzogiorno. Nel 1995 ha vinto il premio “Ilaria Alpi”. Ha pubblicato “Invisibili. Vivere e morire all’Ilva di Taranto” (2011); “Liberté!” (2011); “La zattera” (2015).

25 gennaio 2017

Centrale Enel, arriva il carbone.....La società civile genovese è ancora in allarme.

Tratto da Genova24 

Centrale Enel, arriva il carbone.....


Genova. La società civile genovese è ancora in allarme: Enel e il Ministero per lo sviluppo economico, dopo la lodevole decisione di bloccare la vecchia e obsoleta centrale a carbone, sembra abbiano fatto dietro front.
Un nuovo carico di 3.100 tonnellate di carbone è già salpato, sempre a bordo della nave Sider Tis, verso il porto di Genova, destinato ad alimentare l’impianto. ......Le organizzazioni per l’ambiente e la salute di Genova hanno segnalato il carico di carbone imbarcato sulla Sider Tis a Capodistria”, commenta Roberto Malini, co-presidente di EveryOne Group.

“E prontamente TheMediTelegraph ha confermato i timori. L’aspetto inquietante della vicenda è che le istituzioni sembrano voler mettere la cittadinanza di fronte al fatto compiuto. Genova è una città inquinata e più volte il Comune ha annunciato di voler eliminare le fonti di sostanze tossiche. ........
Ricordiamo che la Cina si è appena sbarazzata di 85 centrali a carbone, ritenendole causa di migliaia di decessi. L’unione europea sta seguendo una politica simile, per evitare le 22mila morti annue causate da questi impianti. L’Italia sta per seguire una tendenza opposta ed è una politica non responsabile, perché non ottiene benefici economici e, cosa assai più grave, mette chissà quali interessi al di sopra della salute pubblica e di quella del delicato ambiente naturale”, prosegue Malini.

Le organizzazioni per l’ambiente e i diritti umani proseguono nelle loro azioni a difesa della vita e della salute della città, depositando esposti alle autorità locali e segnalando alle istituzioni dell’Unione europea e alle Nazioni Unite il pericolo insito nella decisione assunta dal governo italiano. “Alcuni consiglieri comunali e regionali si stanno impegnando accanto a noi, al WWF, a Legambiente e ad altre associazioni,” conclude Roberto Malini.....Ma è importante che il Sindaco, il Prefetto e tutte le autorità cittadine mettano da parte ideologie obsolete e si attivino per tutelare la salute della cittadinanza......

I cambiamenti climatici hanno già danneggiato l’Ue per oltre 400 miliardi di euro L’Italia nel mirino.


Cover Image
Tratto da GREENREPORT

I cambiamenti climatici hanno già danneggiato l’Ue per oltre 400 miliardi di euro

L’Italia nel mirino. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente «l’Europa meridionale e sud-orientale è destinata a essere una zona sensibile»

A quanti guardano soltanto al portafogli l’Agenzia europea dell’ambiente ricorda oggi che «i costi economici legati ai cambiamenti climatici possono essere molto elevati», e che il conto sta diventando di anno in anno sempre più salato. Guardando solo ai danni provocati dagli eventi estremi legati al clima che cambia, dal 1980 ad oggi le perdite economiche in Europa sono state «superiori ai 400 miliardi di euro».
Presentando oggi il nuovo rapporto Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2016, il direttore esecutivo dell’Agenzia Hans Bruyninckx ha sottolineato che «i cambiamenti climatici continueranno per molti decenni a venire. La portata dei futuri cambiamenti climatici e il loro relativo impatto dipenderà dall’efficacia dell’attuazione degli accordi globali per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Altrettanto importante sarà la predisposizione delle giuste strategie e politiche di adattamento per ridurre i rischi derivanti dagli eventi climatici estremi attuali e previsti».
Ai continui record per le temperature globali ed europee – sempre più calde – si sommano già oggi un incremento del livello del mare, un diverso carattere delle precipitazioni atmosferiche, una diminuzione in volume dei ghiacciai e del manto nevoso; a crescere in frequenza e intensità sono invece gli eventi climatici estremi, quali «ondate di calore, forti precipitazioni e siccità».
Spiace avere conferma che l’Italia più di altri paesi si trova in prima fila. Tutte le regioni europee sono vulnerabili ai cambiamenti climatici, ma alcune subiranno ripercussioni più negative rispetto ad altre. Secondo le stime – riporta l’Agenzia – l’Europa meridionale e sud-orientale è destinata a essere una zona sensibile ai cambiamenti climatici, in quanto si prevede che dovrà affrontare il maggior numero di ripercussioni negative. Questa regione sta già affrontando forti aumenti degli eventi estremi relativi a ondate di calore e diminuzioni nelle precipitazioni e della portata dei fiumi, che hanno incrementato il rischio di siccità più gravi, di calo dei rendimenti dei raccolti, di perdita della biodiversità e di incremento del rischio di incendi boschivi. Le ondate di calore più frequenti e i cambiamenti nella distribuzione delle malattie infettive sensibili ai cambiamenti climatici, dovrebbero aumentare i rischi per la salute e il benessere dell’uomo».......
Incomprensibilmente i temi che riguardano l’ambiente sono ancora troppo spesso in coda nella scaletta delle notizie come delle agende politiche, quando invece rappresentano ormai una questione di sicurezza nazionale. Oggi, e sempre più in futuro.
«Le stime disponibili relative ai costi futuri dovuti ai cambiamenti climatici in Europa considerano solo alcuni settori e mostrano una notevole incertezza», ma in ogni caso «si prevede che i costi dovuti ai danni legati al cambiamento climatico saranno più elevati nella regione del Mediterraneo».
Non si tratta di una condanna già eseguita, ma di un processo avviato sul quale è possibile – e indispensabile – agire da subito con la massima decisione. ....
Continua a leggere su GREENREPORT

23 gennaio 2017

Con l'inquinamento cuore a rischio per l'ipertensione

Con l'inquinamento cuore a rischio per l'ipertensione

Tratto da salute24.il sole 24ore

Un'aria poco salubre può far aumentare la pressione anche in seguito a brevi esposizioni. Ecco gli inquinanti che minacciano la salute

L’ipertensione è il più importante fattore di rischio per infarti, ictus, aneurismi, arteriopatie periferiche, insufficienza renale cronica e retinopatie. Per prevenirla è importante agire sullo stile di vita, ad esempio abbandonando cattive abitudini come fumare, ma non solo: anche ridurre l’esposizione all’inquinamento atmosferico può aiutare a proteggere la salute dalle complicanze di una pressione troppo alta. A dimostrarlo sono gli studi sul tema presenti nella letteratura scientifica, recentemente rianalizzati in una pubblicazione sulla rivista Hypertension di un gruppo di esperti coordinato da Tao Liu, epidemiologo della divisone di salute ambientale del Guangdong Provincial Institute of Public Health di Guangzhou, in Cina.

I 17 studi riesaminati hanno incluso più di 108 mila pazienti ipertesi e 220 mila individui senza problemi di ipertensione. L’incidenza di quest’ultima - definita come una condizione in cui la cosiddetta massima supera i 140 mmHg oppure la minima supera i 90 mmHg - è stata confrontata con l’esposizione ad alcuni inquinanti emessi nell’aria dalla combustione del carbone, con i gas di scarico dei veicoli e sotto forma di polveri. Ne è emerso che l’ipertensione è associata sia all’esposizione a lungo termine al diossido di azoto (prodotto dell’uso dei combustibili fossili, inclusi quelli utilizzati per alimentare i motori delle automobili) e al particolato inquinante che all’esposizione a breve termine al particolato e all’anidride solforosa (derivante soprattutto dall’uso dei combustibili fossili).

Abbiamo scoperto un rischio significativo di sviluppare l’ipertensione a seguito dell’esposizione all’inquinamento atmosferico”, spiega Liu, secondo cui “le persone dovrebbero limitare la loro esposizione [agli inquinanti] nei giorni in cui il livello di inquinamento nell’aria è molto elevato, soprattutto coloro che hanno la pressione alta, anche un’esposizione molto breve potrebbe aggravare le loro condizioni”.

Il meccanismo alla base dell’associazione resta ancora da accertare. L’ipotesi è che ad entrare in gioco siano infiammazione e stress ossidativo; entrambi questi fattori potrebbero infatti influenzare il funzionamento delle arterie, portando così all’aumento della pressione. “Pensiamo di immergerci ulteriormente negli effetti del particolato e delle loro fonti sul rischio di ipertensione - racconta Liu - nella speranza di fornire ulteriori informazioni a chi si occupa delle politiche per il controllo dell’inquinamento atmosferico”.

Renzo Rosso: Terremoti, valanghe e frane. Cos’è l’effetto domino nei disastri naturali.

 

Terremoti, valanghe e frane. Cos’è l’effetto domino nei disastri naturali.

Terremoti, valanghe e frane. Cos’è l’effetto domino nei disastri naturali
Che in alta montagna le scosse di un terremoto possano provocare non solo frane ma anche valanghe è un rischio abbastanza noto e ne abbiamo avuto la conferma diretta in Nepal nel 2015.
Il nostro gruppo di ricerca lavora da tempo in questo Paese, giacché studiamo il comportamento delle calotte glaciali, dall’Himalaya al Karakorum: sono le torri d’acqua dell’Asia, dove abbiamo fatto varie spedizioni scientifiche. Fu perciò enorme l’emozione per il disastro delle valanghe distaccatesi dalle pendici dell’Everest in seguito alle scosse sismiche della primavera di quell’anno, anche se il numero delle vittime fu poi ridimensionato (meno di 20 morti e una sessantina di feriti) rispetto agli iniziali timori, poiché c’erano quasi mille persone come possibile bersaglio. Ed eravamo in apprensione per gli amici e i collaboratori che vivono e lavorano lì.
Quanto accaduto a Rigopiano è del tutto diverso, se pensiamo che l’albergo è a quota 1.200 metri, mentre il ghiacciaio del Khumbu è a 4.900 metri di quota. Anche in Abruzzo abbiamo comunque assistito a una manifestazione dell’effetto domino che rappresenta uno degli aspetti più difficili da affrontare in caso di emergenza.
Questo effetto può manifestarsi in due forme. La prima è l’azione moltiplicatrice che innesca lo stesso tipo di catastrofe. Per esempio, il crollo di una diga può provocare il successivo crollo di altri sbarramenti a valle, come accadde nel 1975 in Cina, dove il disastro di Banquio provocò 26mila vittime. Alla seconda forma sono assimilabili i disastri concatenati di diversa natura, come nel caso abruzzese: le scosse possono attivare le frane, soprattutto se latenti, e innescare le valanghe sui versanti innevati.
In mare, il terremoto può generare uno tsunami, con grave pericolo per le coste, anche lontane dall’epicentro. All’uragano Matthew del 2016 ha fatto seguito un numero enorme di dissesti. Gli incendi sono una delle cause della desertificazione e, se il terreno bruciato viene colpito da un nubifragio prima che il suolo si sia ricostruito, le piene possono diventare rovinose e così le colate detritiche. E qualcuno potrebbe ribattere che il disastro di Banquio seminò la morte anche dopo, per via della carestia e delle epidemie: più di 200mila vittime.
Prevedere dove le catastrofi possano colpire e con quanta probabilità lo possano fare si basa su conoscenze, tecniche e pratiche di zonazione abbastanza consolidate, anche a fine risoluzione spaziale. Ciò vale per il rischio sismico e alluvionale, così come per il rischio di valanga, di frana, di tsunami e d’incendio, anche se in Italia manca del tutto una capillare, efficiente e trasparente raccolta dei dati necessari. Ma basta guardare l’assetto geomorfologico e idrografico dell’impluvio a monte dell’albergo abruzzese per porsi qualche domanda imbarazzante.
Al contrario, prevedere la concatenazione degli eventi e stabilire con quanta probabilità l’effetto domino possa manifestarsi è molto più difficile. In qualche caso, il principio di precauzione può venire in aiuto. Per esempio, uno studio dell’Oecd rivela che in Italia ci sono almeno un migliaio di siti classificati come pericolosi dalla direttiva Seveso; siti che sono, nello stesso tempo, potenzialmente inondabili. In caso di inondazione, l’effetto di dilavamento e la successiva diffusione sul territorio di potenti inquinanti può produrre danni assai maggiori di quelli della sola alluvionale. Non sarebbe quindi sbagliato provvedere alla sicurezza di questi siti anche con metodi di auto-protezione di emergenza, il cosiddetto flood proofing. E l’applicazione dello stesso principio potrebbe mitigare anche altre manifestazioni dell’effetto domino.
Ancora più complesso è stabilire le probabilità, marginale e condizionale, per cui, in seguito a un evento catastrofico in atto, se ne possano innescare a catena altri ugualmente se non più disastrosi. E la vicenda del terremoto di L’Aquila del 2009 ha insegnato molto, ma forse non abbastanza

22 gennaio 2017

Centrale di Genova, per il momento stop al carbone

Centrale di Genova, per ora stop al carbone
Tratto da La Repubblica.it
Tutto il carico della nave "Sider Tis" è stato scaricato nel porto di Ancona.
Niente carbone nel porto di Genova, per il momento. Il carico a bordo della Sider Tis, destinato al porto di Ancona e a quello di Genova, è stato tutto quanto scaricato nello scalo adriatico. La nave quindi non raggiungerà il porto di Genova, come inizialmente previsto. Secondo i programmi indicati, il carico di 11mila tonnellate avrebbe dovuto essere diviso fra Ancona (7mila tonnellate) e Genova (4mila). Ma alla fine si è optato per fare l'intera operazione ad Ancona. Resta da capire che cosa accadrà ora della centrale di Genova, la cui riapertura temporanea per far fronte alle richieste francesi ha suscitato durissime reazioni. "Ci è stato detto che la nave non verrà più, non abbiamo informazioni su quello che succederà in futuro" commenta il console della compagnia portuale "Pietro Chiesa" Tirreno Bianchi. In attesa di un pronunciamento ufficiale dell'Enel, resta ancora l'incertezza sul futuro dell'impianto che era stato chiuso la scorsa estate e su cui già si era ipotizzata una nuova vita sotto forma di museo. “La priorità - commenta Roberto Malini, co-presidente di EveryOne Group - viene accordata dalle istituzioni a un interesse che dovrebbe sempre essere primario: la salute e il benessere della cittadinanza, l’integrità di un ambiente di per sé delicato. La società civile, però, non deve però allentare la vigilanza finché quel vero e proprio ‘mostro’ obsoleto e inquinante non sia chiuso in via definitiva e riconvertito, secondo i progetti dell’estate scorsa, in un museo”.

20 gennaio 2017

La lettera delle associazioni ambientaliste italiane al nuovo presidente Trump!

Tratto da Greenreport

Pochi minuti dopo che Trump è diventato presidente, cancellato ogni riferimento ai cambiamenti climatici dal sito web della Casa Bianca»

[21 gennaio 2017]
1
Pochi minuti dopo che Donald Trump aveva prestato giuramento come 45esimo presidente 45 degli Stati Uniti d’America,  dal  sito internet della Casa Bianca ha  sono state oscurate tutte le pagine che illustravano i piani dell’ex presidente Barack Obama per combattere il cambiamento climatico.
Il sito web della Casa Bianca  ha ora invece una pagina  “An American First Energy Plan” che dettaglia la posizione della nuova amministrazione Trump su energia e (inesistente) politica climatica. Il piano è praticamente la copia delle promesse/minacce  fatte da Trump durante la campagna elettorale:  estrazione di combustibili fossili senza limiti,  in particolare nelle terre federali, annullamento delle politiche climatiche Obama,  come il Climate Action Plan e il  Waters of the United States rule, e investimenti nelle “tecnologie del carbone pulito”.
Durissimo il commento di Michael Brun, direttore  esecutivo di  Sierra Club, la più grande e diffusa associazione ambientalista Usa,  «Pochi minuti dopo che aveva, qualsiasi illusione che Trump avrebbe agito nel migliore interesse delle famiglie in questo Paese come presidente è stata  spazzata  via da una dichiarazione di priorità che costituisce un errore storico su una delle crisi principali che affliggono il nostro pianeta e un assalto . sulla salute pubblica.  Quello  che Trump ha pubblicato non è certo un piano:  è una lista dei desideri degli inquinatori che renderà la nostra aria e la nostra acqua più sporche, il nostro clima e le nostre relazioni internazionali più instabili e i nostri bambini più malati.........Continua a leggere su Greenreport

Tratto da greenreport

La lettera delle associazioni ambientaliste italiane al nuovo presidente degli Stati Uniti d’America

[20 gennaio 2017]
Trump insediamento
Le maggiori associazioni ambientaliste italiane hanno aderito alla Campagna “Surprise us, President Trump!”, in occasione della investitura del nuovo Presidente statunitense.
La Campagna – promossa da Oliviero Sorbini, Vincenzo Ferrara, Grazia Francescato, Marco Gisotti, Marco Lion e Regina Susan Valletta–  «nasce dalla preoccupazione destata dalle dichiarazioni di Trump in campagna elettorale sulle questioni ambientali, che se dovessero avere un seguito, porterebbero indietro di decenni la comunità internazionale rispetto alla lotta ai cambiamenti climatici», spiegano gli organizzatori.
Oggi alle 11 i presidenti delle Associazioni e molti noti ambientalisti, ........Una delegazione, quindi, si recherà all’Ambasciata Usaper consegnare la “prima” copia della lettera “Surprise Us President Trump!”, firmata dai Presidenti delle Associazioni, a cui poi seguiranno tutte quelle che i cittadini da oggi potranno sottoscriverla sul sito internet  Surprise Us, President Trump!
Ecco il testo della lettera:
Le scrivo nella Sua veste di nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America,
il Paese più potente nel mondo, le cui scelte di governo incidono sulla vita di tutti noi.
Nel suo programma elettorale Lei ha posto, comprensibilmente, gli interessi dei cittadini americani come primo obiettivo del suo mandato.
Ora che inizia la Sua presidenza, le vogliamo ricordare che i cittadini americani, prima di tutto, sono bambini, donne e uomini la cui salute e benessere dipendono in primo luogo dallo stato del nostro Pianeta.
La comunità scientifica di tutto il mondo è d’accordo sul fatto che, se non si prenderanno gli adeguati provvedimenti, la vita di milioni di persone sarà a rischio, e questo non nel prossimo millennio ma fra poche decadi.
Per questo Le chiediamo il massimo impegno della Sua Amministrazione nei prossimi anni perché incoraggi l’uso delle energie rinnovabili, perché persegua l’obiettivo di contenere i gas nocivi nell’atmosfera, perché si impegni nello sviluppo delle azioni internazionali per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. E ci auguriamo che tutto ciò possa essere fatto, sotto la Sua Presidenza, ancora in maniera più efficace che in passato.
Il futuro dei Suoi figli e nipoti e quello dell’intera umanità, dipende dalle scelte in campo ambientale che gli Stati Uniti e gli altri paesi industrializzati faranno nei prossimi anni.
Muri e frontiere non possono bloccare la pioggia, l’aria e la luce del sole. E noi tutti li condividiamo.
Le Sue dichiarazioni durante la campagna elettorale sul cambiamento climatico ed il futuro energetico ci hanno portato a scriverle. Per questo, con gli auguri di un mandato di successo, per ciò che riguarda l’ambiente globale, le chiediamo: per favore,
Ci Sorprenda, Presidente Trump!
Accademia Kronos– Lipu – Legambiente – Wwf Italia – Earthday Italia – Fondazione Univerde/Obiettivo Terra – Focsiv – Fipsas – Anpana – Gruppo Intervento Giuridico – Rangers Italia – Climalteranti – Marevivo – Italian Climate Network – Climazione – Giornalisti nell’Erba – Fima (Federazione italiana media ambientali) – Greenaccord – Kyoto Club – Isde Italia – Legambiente Terracina – Konrad – Fare Verde – Vivere Da Sportivi – Pentapolis – PEFC – Trio onlus, ambiente e salute – Giga – Press Play.                            Qui l'articolo integrale

19 gennaio 2017

Eastonline :Le prospettive incerte dell’industria del carbone americana

Tratto da Eastonline

Nel corso dell’ultimo decennio l’industria del carbone americana è entrata in una profonda crisi. A cavallo tra il 2006 e il 2015 la produzione di carbone negli USA è passata da 1170 milioni di tonnellate a 900 milioni, con una perdita di posti di lavoro pari a oltre il 20% degli addetti al comparto (oltre 20.000 unità), la potenza installata a carbone è passata da 313 a 279 GW e la produzione di energia elettrica da carbone è crollata da 2 milioni a 1,3 milioni di GWh annui.


Nonostante il Presidente eletto Donald Trump abbia puntato il dito contro l’Environmental Protection Agency (EPA) e il nuovo regolamento sulle emissioni, è improbabile che la sola revisione della normativa ambientale possa rivitalizzare il settore.  Le radici della crisi, infatti, sono profonde e ramificate.

Una crisi complessa

Lo straordinario aumento della produzione di gas, connesso alla Shale Revolution e allo sviluppo delle riserve convenzionali, non solo ha ridotto il differenziale tra le quotazioni del carbone grezzo e del gas naturale a poco meno del 20% (il dato fa riferimento al prezzo pagato dagli operatori del settore elettrico alla consegna ), ma ha anche stimolato imponenti investimenti nella power grid e nel segmento della trasformazione che hanno prodotto una rapida espansione della rete di trasmissione del gas, una contrazione dei costi della logistica e un notevole aumento dell’efficienza energetica degli impianti gas-fired.
Il progressivo abbattimento del costo di produzione dell’energia da fonti rinnovabili, in particolare eolico e solare termodinamico, e le istanze di efficientamento di cui è stata fatta oggetto la power grid nazionale hanno inferto un ulteriore colpo alla competitività delle centrali coal-fired, concepite per sostenere il carico di base della rete elettrica e quindi caratterizzate generalmente da grandi dimensioni e scarsa dinamicità produttiva.
La normativa EPA di conseguenza ha solo accelerato la fine di impianti che già attraversavano gravi difficoltà sotto il profilo finanziario e industriale e che, in molti casi, dopo un onorato servizio di 40/60 anni, avrebbero comunque cessato l’attività nel giro di pochi anni o di un decennio.
D’altronde alle condizioni attuali le prospettive di medio/lungo periodo per il settore sono sconfortanti e i principali operatori del mercato elettrico americano stanno dirottando oramai da anni gli investimenti sul gas e sulle fonti rinnovabili.
Se la nuova amministrazione vorrà garantire un futuro di lungo periodo all’industria del carbone americana non sarà sufficiente la deregulation promessa dal Presidente eletto, ma sarà necessario un approccio molto più ampio e articolato.....

Efficienza energetica e controllo delle emissioni
Generalmente, la scarsa efficienza energetica e l’elevato impatto ambientale sono considerati i due principali limiti delle centrali coal-fired.
L’efficienza media delle centrali a carbone americane è di oltre il 30% inferiore a quella delle centrali gas-fired, mentre le emissioni, soprattutto di anidride solforosa e particolato, sono drammaticamente superiori.........

I costi e l’orizzonte temporale

Date le dimensioni medie degli impianti, legate a economie di scala e di rete, e le caratteristiche della materia prima, decisamente più impura del gas naturale, i costi di avviamento e di O&M delle centrali coal-fired sono decisamente superiori a quelli delle centrali gas-fired.
Mediamente, a seconda delle dimensioni e dello schema costruttivo, una centrale a carbone ha costi di avviamento e di gestione, a parità di potenza, pari al 50/120% in più di una centrale a gas, paragonabili a quelli delle centrali solari termodinamiche o a quelli delle stazioni eoliche offshore.
Proprio per questa ragione, per assicurare un futuro all’industria del carbone americana è necessario garantire un orizzonte temporale di lungo periodo agli investimenti nel settore.
Dopo aver goduto per secoli di un differenziale di prezzo estremamente vantaggioso rispetto ai principali competitors, l’industria del carbone americana si trova all’improvviso a fronteggiare il ritardo strutturale, infrastrutturale, industriale e tecnologico accumulato nel corso del lungo predominio fondato sulla convenienza naturale della materia prima.
Se l’amministrazione Trump vuole assicurare delle prospettive di medio/lungo termine al segmento minerario e a quello della trasformazione deve mettere in campo politiche speculari a quelle messe in campo dall’amministrazione Obama sul fronte delle fonti rinnovabili: detrazioni fiscali, incentivi, interventi strutturali sulla normativa e sulla power grid. Sostanzialmente, deve garantire il sostegno pubblico al settore che assicuri agli operatori un orizzonte temporale di 40/60 anni.
Ma intraprendere una simile battaglia per meno di 100.000 posti di lavoro e per un segmento industriale che, anche per effetto dell’eredità culturale dei due mandati Obama, riscuote sempre meno simpatia nell’opinione pubblica, potrebbe comportare un costo politico rilevante.
E, nonostante la Longview preveda di cessare le attività del suo impianto di Maidsville per il 2060/2070, al momento, ben pochi altri operatori pagherebbero oltre 2 miliardi di dollari una simile scommessa.Qui l'articolo integrale