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31 luglio 2021

Sergio Costa: La tutela dell'ambiente è la tutela del futuro nostro e dei nostri figli e nipoti.

Tratto  dalla pagina Facebook dell’ ex ministro dell’ Ambiente Sergio Costa ...

Era il 22 maggio 2015 allorché entrò in vigore la legge sugli ecodelitti. Era attesa da oltre 30 anni. Tutti noi l'abbiamo salutata con grande soddisfazione considerandola una conquista. Disastro ambientale,  inquinamento ambientale, omessa bonifica ed altri ancora finalmente erano riconosciuti nel diritto positivo.  Rammento ancora la frustrazione che io e la mia squadra abbiamo vissuto per anni quando facevamo indagini, notte e giorno, senza sosta e risparmio, poi però non avevamo lo strumento giuridico adeguato per vedere quelli che sapevamo essere i responsabili rispondere dell'aggressione all'ambiente che avevano perpetrato. I reati ambientali sono reati che pesano sulle vite delle persone: aggrediscono l'ambiente e anche la salute. Molto spesso ti seguono per la vita e incidono sulla sicurezza della tua famiglia per decenni. Adesso, con la riforma della giustizia, i reati ambientali non sono contemplati tra quelli che godono di termini estesi di giudizio, prima di essere dichiarati dal giudice improcedibili. 

Indagini complesse e articolate che rischiano di andare perdute. Tutti noi ci spertichiamo nel sostenere in tutte le sedi che l'ambiente e la salute sono i due grandi  temi attuali e del futuro della popolazione mondiale e poi inciampiamo in una roba del genere. È un errore grossolano,  perché rischia di favorire indirettamente chi considera l'ambiente territorio di conquista per i propri loschi scopi. Chiedo, congiuntamente a Legambiente, WWF, Greenpeace,  di non commettere questo errore. Pensateci per favore. La tutela dell'ambiente è la tutela del futuro nostro e dei nostri figli e nipoti. La politica guardi alle necessità più importanti e non alle convenienze egoistiche. Non compromettete ciò che ci dona la vita. Per favore non lo fate.

PETIZIONE: Ecoreati: non fermate i processi!

Tratto da Peacelink
Firma la petizione al Governo e al Parlamento

Ecoreati: non fermate i processi!

Vogliamo raccogliere le voci di cittadini e associazioni per chiedere una modifica della legge che salvi i grandi processi per disastro ambientale e per altri gravi ecoreati. Il rischio della riforma Cartabia è quello di vanificare l'impegno dei magistrati nella lotta agli ecoreati.
30 luglio 2021
Associazione PeaceLink

Ecoreati: non fermate i processi!

C'è troppa fretta di fare una legge che in tanti contestano perché manderebbe in fumo processi complessi, con molti testimoni e molti imputati. Già alcune modifiche sono state proposte per reati gravi e socialmente rilevanti.

Manca ancora però una modifica al testo elaborato dal governo sulla delicata questione degli ecoreati e in particolare del disastro ambientale. I processi per disastro ambientale, per la loro complessità, non possono essere posti sullo stesso piano del furto di un'auto. Richiedono indagini e processi che si contrappongono spesso a forti poteri economici che possono pagare avvocati ed esperti agguerriti, capaci di usare tutti gli strumenti per allungare i processi e arrivare alla cosiddetta "improcedibilità".  

Con questa petizione al Governo e al Parlamento vogliamo raccogliere le voci di cittadini e associazioni per una modifica profonda della legge che salvi i grandi processi per disastro ambientale e per altri gravi ecoreati.

Non bisogna vanificare l'impegno dei magistrati nella imprescindibile lotta agli ecoreati e a tutti quei disastri che hanno provocato enormi sofferenze fra i cittadini e i lavoratori.

Clicca qui per firmare la petizione



Tratto da Peacelink

Lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi

Ecoreati: la riforma della giustizia non fermi i magistrati che difendono i diritti ambientali

I processi per "disastro ambientale" sono spesso tecnicamente complessi. Applicare tempi eccessivamente stringenti nelle indagini significherebbe indebolire le prove. Così pure i tempi per l'appello e la Cassazione devono tenere conto della oggettiva difficoltà dei processi ambientali.
28 luglio 2021
Associazione PeaceLink

Logo PeaceLink

Lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi

Gentile Presidente,

la riforma della giustizia è attualmente oggetto di un approfondimento critico e a tal fine Le scriviamo per chiederLe di includere in tale approfondimento critico gli ecoreati, e in particolare il "disastro ambientale".
I processi per "disastro ambientale" si rivelano spesso molto complessi dal punto di vista tecnico-scientifico. Applicare tempi eccessivamente stringenti alla fase delle indagini significherebbe non avere a disposizione elementi di prova tali da andare oltre il "ragionevole dubbio". Così pure i tempi per l'appello e la Cassazione devono tenere conto necessariamente della oggettiva complessità dei processi, che non di rado coinvolgono anche pubblici amministratori compiacenti. Non deve essere consentita a questi ultimi la possibilità di "sfilarsi" dai processi più ampi perché questo incentiverebbe la corruzione e l'illegalità in generale.
Il processo Ambiente Svenduto, che ha coinvolto a Taranto oltre quaranta imputati, costituisce un esempio di processo estremamente complesso e articolato rispetto al quale una tempistica eccessivamente contratta porterebbe non ad un processo breve ma alla morte del processo stesso.
Una tempistica ristretta per appello e Cassazione porterebbe alla spasmodica ricerca, da parte delle difese, di un ostuzionismo esasperato per allungare i tempi nella speranza di giungere alla cosiddetta "improcedibilità", con avvocati e testimoni che perderanno la voce in aula o che accuseranno misteriosi malori.
L'articolo 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo sancisce: 
 
"Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un'istanza nazionale". 
Precludere la possibilità di concludere il processo, con gli attuali tempi imposti dalla riforma, significherebbe pertanto negare la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, tutelati dall'articolo 2 della Costituzione Italiana. 
Nei processi per disastro ambientale sono quasi sempre in gioco i diritti tutelati 
dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e quindi dalla Costituzione Italiana. Se la riforma della giustizia non tutelasse i diritti inviolabili dell'Uomo - compromessi dai disastri ambientali -  sarebbe gravissimo. Questo aumenterebbe i ricorsi alla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) per mancata tutela dei diritti inviolabili dell'uomo da parte dello Stato italiano che - interrompendo i processi - non renderebbe giustizia alle vittime dei disastri ambientali, ai morti per inquinamento e per le omissioni letali nella sicurezza sui luoghi di lavoro.
Le chiediamo pertanto di considerare, nella riforma in discussione, anche gli ecoreati, e in particolare il disastro ambientale, fra i reati per i quali prevedere una più realistica valutazione dei tempi necessari a far concludere i processi. 
Distinti saluti
Prof. Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink


27 luglio 2021

Diritto umano a un ambiente sano. Passi avanti post pandemia? Sabrina Bergamini

Tratto da Orvieto News

Diritto umano a un ambiente sano. Passi avanti post pandemia?



Diverse agenzie Onu, fra cui Unep, Who, Unicef, Unhcr, chiedono il riconoscimento del diritto umano a un ambiente sano. Il tempo per riconoscere, attuare e proteggere il diritto umano a un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile è ora. Perché la crisi ambientale e climatica, la perdita di biodiversità, l’inquinamento compromettono la salute delle persone e del pianeta.

La 46 ° sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che si è svolta da febbraio a marzo 2021, ha di recente approvato una risoluzione che invita gli Stati a conservare, proteggere e ripristinare gli ecosistemi, cruciali per la salute e il benessere umano.

Durante l’appuntamento 15 agenzie dell’Onu hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui esprimono il loro sostegno al riconoscimento globale del diritto a un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile.

La dichiarazione congiunta afferma che “il riconoscimento globale del diritto a un ambiente sano sosterrà gli sforzi per non lasciare indietro nessuno, garantire una transizione giusta verso un mondo ambientalmente sano e socialmente equo e realizzare i diritti umani per tutti”. E ancora: “Il diritto a un ambiente sano è riconosciuto da oltre 150 Stati membri delle Nazioni Unite, ma non è stato formalmente riconosciuto a livello globale, ritardando così il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, esacerbando le disuguaglianze e creando lacune nella tutela, in particolare per i difensori dei diritti umani ambientali, bambini, giovani, donne e popolazioni indigene che spesso sono stati e continuano ad essere agenti di cambiamento per la salvaguardia dell’ambiente. Siamo di fronte a una triplice crisi ambientale: cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento. I diritti delle generazioni presenti e future dipendono da un ambiente sano”.

Se presente e futuro dell’umanità dipendono dallo stato dell’ambiente, questa consapevolezza contrasta però con le conseguenze che inquinamento, cambiamento climatico, perdita di biodiversità hanno sulla salute del Pianeta e delle persone. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il 23% di tutti i decessi sono legati a “rischi ambientali” come l’inquinamento atmosferico, la contaminazione dell’acqua, l’esposizione a sostanze chimiche pericolose e tossiche.

L’elenco, seppur sintetico, delle ragioni per riconoscere come diritto umano il diritto a un ambiente sano è messo giù dall’Unep – il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.
Avere un pianeta compromesso dal punto di vista ambientale compromette la salute dei suoi abitanti e il diritto alla salute. Ambiente e salute vanno di pari passo, come forse dovrebbe insegnarci anche la pandemia da Covid-19.....

continua qui

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PEACELINK :L'amianto colpisce anche il fegato

Tratto da Peacelink

E' importante adesso formare una nuova consapevolezza

L'amianto colpisce anche il fegato

Un gruppo di ricercatori indipendente ha rilevato la presenza di fibre di amianto nel fegato e nelle vie biliari di pazienti dando un’ulteriore validazione a questa ipotesi. L’amianto sarebbe associato ai colangiocarcinomi, aumentando pertanto il rischio di tumore al fegato, oltre che ai polmoni.
Rischio

Per anni l'amianto è stato associato ai polmoni e al mesotelioma pleurico.

E' importante adesso formare una nuova consapevolezza, ossia che l'amianto può colpire anche il fegato. Le micropolveri, da PM1 a PM0,1 ad esempio, possono oltrepassare gli alveoli polmonari ed entrare nel flusso sanguigno e quindi entrare anche nel fegato. E se queste micropolveri contengono amianto ecco che l'impatto con il fegato è molto probabile.

Nel 2013 un gruppo di ricerca presso il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi ha studiato 155 casi di un tipo di tumore al fegato chiamato colangiocarcinoma ed è arrivato alle seguenti conclusioni:

"L'esposizione all'amianto aumenta il rischio di tumore al fegato. E' giunto a questa conclusione un team guidato da Giovanni Brandi, docente di Oncologia medica al Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale, in collaborazione con la Medicina del Lavoro dell'Università di Bologna".

E' un significativo passo in avanti anche per le controversie legali legate all’esposizione all’amianto.

Già nel 2008 il prof. Giovanni Brandi e altri ricercatori avevano avviato una ricerca sull'esposizione all’amianto in pazienti affetti da neoplasie delle vie biliari.

Il prof. Giovanni Brandi ha dichiarato recentemente: "Fino ad oggi non si avevano evidenze solide dell’esistenza di una correlazione tra l’esposizione all’amianto e i tumori dell’apparato gastrointestinale ed in particolare del fegato. Ora stiamo raggiungendo evidenze forti che l’amianto abbia un ruolo nella genesi dei tumori delle vie biliari e in particolar modo dei colangiocarcinomi intraepatici. Abbiamo pubblicato uno studio retrospettivo che ha messo in luce come la possibilità di contrarre un colangiocarcinoma sia 5 volte maggiore per le persone che siano state esposte all’amianto. Inoltre sta per essere pubblicato, sempre dal nostro team, uno studio prospettico dove il rischio è aumentato addirittura di 7 volte. Un altro gruppo di ricercatori indipendente ha rilevato la presenza di fibre di amianto nel fegato e nelle vie biliari di questi pazienti dando un’ulteriore validazione a questa ipotesi".

20 luglio 2021

L’inquinamento atmosferico da PM2.5 pesa sul 15% delle morti da Covid-19 in Italia

Tratto da greenreport

L’inquinamento atmosferico da PM2.5 pesa sul 15% delle morti da Covid-19 in Italia

Pozzer: «La pandemia finirà, ma non esistono vaccini contro una cattiva qualità dell’aria o la crisi climatica. Il rimedio è mitigare le emissioni»

Oltre 6mila morti in meno da Covid-19, ovvero il 15% delle vittime: a tante ammontano le vite che la pandemia avrebbe potuto finora risparmiare in Italia se l’aria che respiriamo non fosse inquinata da PM2.5, il particolato atmosferico fine. È questa la conclusione cui è giunto un team internazionale di ricercatori, guidato da Andrea Pozzer dell’International Center for Theoretical Physics di Trieste e del Max-Planck-Institute for Chemistry di Mainz, che ha individuato a livello globale i legami tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico e un rischio di morte molto più elevato da Covid-19.

Lo studio Regional and global contributions of air pollution to risk of death from Covid-19, pubblicato sulla rivista scientifica peer-reviewed Cardiovascular research, ha esteso a livello globale i risultati precedentemente ottenuti all’Università di Harvard sulla relazione tra esposizione al PM2.5 e mortalità da Covid-19, ottenendo per la prima volta dati Paese per Paese.

Da questa nuova ricerca è emerso che circa il 15% dei decessi in tutto il mondo da Covid-19 potrebbe essere attribuito all’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico. Si va dal 29% registrato per la Repubblica Ceca o dal 27% in Cina e dal 26% in Germania, al 3% dell’Australia o all’1% della Nuova Zelanda. Il dato europeo è al 19%, mentre quello italiano identico alla media globale: 15%.

Pozzer spiega che «questa scoperta non dimostra una relazione diretta di causa-effetto tra l’inquinamento atmosferico e la mortalità da Covid-19. Si tratta piuttosto di un effetto indiretto: le nostre stime mostrano l’importanza dell’inquinamento sugli esiti fatali dell’infezione virale per la salute, cioè aggravando le comorbilità».

Il ricercatore sottolinea che «la mortalità effettiva è influenzata da molti fattori aggiuntivi come il sistema sanitario del Paese», ma anche se è già possibile «distinguere chiaramente il contributo dell’inquinamento atmosferico alla mortalità da Covid-19» restano «notevoli incertezze» da affrontare.

Ovvero? «In primo luogo – ci spiega telefonicamente dalla Germania – abbiamo potuto calcolare l’impatto ma tecnicamente non sappiamo i meccanismi biologici attraverso i quali l’inquinamento atmosferico incrementa la mortalità da Covid-19. Abbiamo delle intuizioni in merito ma per rispondere con certezza servono studi dedicati, la nostra è un’elaborazione statistica. Quel che sappiamo è che un organismo sottoposto per lungo termine all’inquinamento atmosferico è meno resiliente di fronte all’arrivo del coronavirus, che più probabilmente porterà a un esito nefasto».

Come riassume un altro co-autore della ricerca, Thomas Münzel dell’Universitätsklinikum Mainz, «quando le persone inalano aria inquinata, le piccolissime particelle inquinanti migrano dai polmoni al sangue e nei vasi sanguigni, causando infiammazione e grave stress ossidativo. Questo causa danni al rivestimento interno delle arterie, l’endotelio, e porta al restringimento e all’irrigidimento delle arterie. Anche il virus Covid-19 entra nel corpo attraverso i polmoni, causando danni simili ai vasi sanguigni. Se l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico e l’infezione con il virus Covid-19 si uniscono, allora abbiamo un effetto negativo aggiuntivo sulla salute, il che porta a una maggiore vulnerabilità e a una minore resilienza al Covid-19». Un po’ come accade per chi fuma tabacco.

Se i meccanismi biologici restano da chiarire, ciò non toglie che tutte le evidenze scientifiche finora raccolte in merito alle correlazioni tra Covid-19 e inquinamento atmosferico vadano nella stessa direzione. Una relazione che peraltro trova conferma dai risultati di studi cinesi simili basati sull’epidemia di Sars, che hanno analizzato l’inquinamento da PM2,5 e le conseguenze dell’epidemia da Sars-Cov-1 nel 2003.

Un’altra «incertezza» che va tenuta in debito conto è poi quella collegata alla natura stessa della ricerca, uno studio di tipo statistico. Ad esempio il dato rilevato per l’Italia (il già citato 15%) è compreso in un intervallo di confidenza al 95% che spazia dal 7 al 34%. Questo significa che in media in Italia – dalle zone rurali poco inquinate a quelle attanagliate nello smog della pianura padana o delle grandi città del nord – si ha il 15% in più di morire per Covid-19 a causa dell’esposizione a lungo termine al PM2,5, ma questa probabilità è racchiusa in un ventaglio più ampio che va dal 7 al 34%.

«Quel che preme sottolineare – aggiunge Pozzer – è che nonostante la variabilità che abbiamo messo in evidenza, questo numero non è mai zero. Un italiano in media se viene contagiato dal Sars-Cov-2 ha il 15% di possibilità in più di morire rispetto a quella che avrebbe se fosse nato in un paese totalmente non inquinato da PM2,5 proveniente da fonti antropogeniche, come quelle legate all’utilizzo dei combustibili fossili».

In Italia ad esempio circa i due terzi delle emissioni antropiche di PM2.5 sono attribuibili agli impianti di riscaldamento e, allagando lo sguardo a tutta Europa, sappiamo che l’80% di tutto il consumo di calore viene ancora soddisfatto bruciando combustibili fossili. Dunque promuovendo l’impiego di fonti energetiche più pulite, come le rinnovabili, anche la nostra salute ne guadagnerebbe? «Questo è indiscutibile – osserva Pozzer – Più in generale, è necessario ridurre la nostra impronta ecologica al minimo. Quella dei nostri antenati durante l’Età della pietra era certamente più bassa dalla nostra, ma allora l’aspettativa di vita se andava bene arrivava a 30 anni. Quindi dobbiamo riconoscere che il progresso tanto male non ha fatto e tornare all’Età della pietra sarebbe peggio. Ma qui non si tratta di chiudere d’un colpo tutte le attività inquinanti: lo sviluppo tecnologico ci ha messo a disposizione molte possibilità per ridurre drasticamente le emissioni e migliorare la qualità della nostra vita, mi sembra giusto spingere in questa direzione».

«Come abbiamo rilevato alla fine della nostra ricerca – continua Pozzer – La pandemia di Covid-19 si concluderà con la vaccinazione della popolazione o, speriamo di no, con l’immunità di gregge attraverso un’infezione estesa. Ma in ogni caso finirà. Tuttavia, non potremo smettere semplicemente di respirare né esistono vaccini contro una cattiva qualità dell’aria o la crisi climatica. Il rimedio è mitigare le emissioni, e questa è una soluzione win-win». Ovvero, ne guadagna in salute l’ambiente e dunque anche noi.

E nonostante i progressi fatti, ne resta di lavoro da fare. A partire dall’Italia: la Commissione europea pochi giorni fa ha avviato una (nuova) procedura d’infrazione verso il nostro Paese, per il mancato rispetto della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria .  I dati disponibili per l’Italia mostrano infatti che «il valore limite per il PM2,5 non è stato rispettato in diverse città della valle del Po (tra cui Venezia, Padova e alcune zone nei pressi di Milano). Inoltre le misure previste dall’Italia non sono sufficienti a mantenere il periodo di superamento il più breve possibile».

Una performance pessima, che comporta non solo enormi danni ambientali ma soprattutto decine di migliaia di vite umane spezzate. Secondo gli ultimi dati messi in fila dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) nel suo Air quality in Europe 2019, tre inquinanti (PM2.5, NO2 e O3) bastano a provocare in Italia 76.200 decessi prematuri ogni anno. Da solo, il PM2.5 miete 58.600 vittime ogni dodici mesi, il secondo dato più elevato in Europa. Anche questa è una crisi sanitaria, che deve essere trattata come tale.

Il testo di quest’articolo è stato redatto per “il manifesto” – oggi in edicola con il titolo “Polveri e Covid, cocktail letale” -, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale

WWF. BRINDISI LO CONFERMA: IL CARBONE FA MALE ALLA SALUTE

 Tratto da WWF

BRINDISI LO CONFERMA: IL CARBONE FA MALE ALLA SALUTE

Lo studio epidemiologico sugli effetti delle esposizioni ambientali di origine industriale sulla popolazione residente a Brindisi, reso noto stamane dalla Regione Puglia conferma, in modo inequivocabile, gli effetti negativi del carbone e di altre lavorazioni industriali inquinanti sulla salute .

. A Brindisi sorgeva una centrale a carbone Edipower (ferma dal 2012), sorge ed è tuttora attiva la centrale Enel Federico II (2640 MW, quattro gruppi,  a carbone) e il polo Petrolchimico.

Nell’area brindisina sottoposta ad esame si è verificato, dati alla mano, un eccesso di mortalità e morbilitàriconducibile proprio agli impianti termoelettrici e al petrolchimico. Peraltro è evidente il nesso tra funzionamento degli impianti a carbone e danni sulla salute che risultano maggiori in passato quando cioè a funzionare erano due impianti a carbone e la stessa Federico II operava per un numero maggiore di ore/anno. Il fatto che ancora oggi, malgrado il miglioramento rispetto al passato, persista un eccesso significativo di mortalità e morbilità e che tutto questo avvenga (come hanno detto i ricercatori nel corso della presentazione) nel pieno rispetto delle norme sulle emissioni, sono il segno che gli effetti dell’inquinamento tendono a permanere nel tempo e che i limiti non sono adeguati a evitare i danni. Il carbone, quindi,  fa sempre male anche quando rispetta i limiti di legge sulle emissioni e questo non lo dicono gli ambientalisti ma in Puglia oggi è arrivata l’ennesima conferma dalla comunità scientifica.

Dietro questi numeri c’è la sofferenza di moltissime persone e di un’intera comunità”. Ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia che chiede di “fissare un punto, concreto, per mettere fine a tutto questo, e costruire, da subito, alternative di sviluppo pulito e rinnovabile, molto più nelle corde di una delle Regioni più ricche di natura. Gli inquinatori, i cui nomi sono a tutti noti, ora non ingaggino la solita lotta sui numeri e le cifre, ma diano concreti e visibili segni e contributi per cambiar rotta, porre fine alle produzioni inquinati e risanare l’area”. “Con la Strategia Energetica Nazionale c’è la concreta possibilità di cominciare a scrivere, nero su bianco la data della fine del carbone in Italia: noi chiediamo che questa data sia al massimo il 2025 – conclude Midulla -. È un’opportunità per i brindisini, per la Puglia e per l’Italia. E’ un dovere morale, perché il carbone è anche il primo killer del clima, dal quale dipendono le condizioni per la vita di tutti”.

MARCO GRONDACCI: I Biodigestori senza AIUTI durerebbero "quanto un gatto in tangenziale"!

Tratto da Note di Grondacci 

I Biodigestori senza AIUTI durerebbero "quanto un gatto in tangenziale"!


UN ESEMPIO CONCRETO, SENZA TROPPE INTERPRETAZIONI, PER CUI SENZA GLI INCENTIVI DEL BIOMETANO I BIODIGESTORI NON REGGONO LO LEGGETE NELLA MEMORIA DI REPLICA DI IREN AL NOSTRO RICORSO CONTRO IL BIODIGESTORE SPEZZINO IN RELAZIONA ALLA UDIENZA DI SOSPENSIVA DI DOMANI DI FRONTE AL TAR LIGURE. ECCO COSA SCRIVONO QUESTI SIGNORI:

Per converso ove tali attività venissero sospese si determinerebbe un  irrimediabile gravissimo danno in capo alla Società, consistente nella perdita degli incentivi energetici del biometano in autotrazione, previsti dal  D.M. 2 marzo 2018 (“Promozione dell’uso del biometano e degli altri biocarburanti avanzati nel settore dei trasporti”), il quale contempla quale condizione per il relativo riconoscimento il rispetto della data del 31 dicembre 2022 per la messa in esercizio di impianti di produzione di biometano.......Continua qui 

 PIU' CHIARO DI COSI'  🤷🏻


N‍ON SIAMO DI FRONTE AD INCENTIVI PER PROMUOVERE LA ECONOMIA CIRCOLARE MA UN CHIARO AIUTO DI STATO DIRETTO AD UN UNICA TIPOLOGIA DI IMPIANTO CHE STA SCATENANDO IN TUTTA ITALIA UNA GARA NON A CHIUDERE IL CICLO DEI RIFIUTI MA A CONQUISTARE PRIMA DEI CONCORRENTI I QUESTI AIUTI. 

PER QUESTO STANNO CERCANDO DI AUTORIZZARE BIODIGESTORI FUORI DALLA PIANIFICAZIONE PUBBLICA DEROGANDO ALLE NORME AMBIENTALI: NON HANNO TEMPO DA PERDERE PER IL LORO BUSINESS! 

PENSARE CHE LA LEGGE, NON QUELLO CHE PENSO IO, METTE SULLO STESSO PIANO IN RELAZIONE AGLI INCENTIVI E AIUTI IL COMPOSTAGGIO AEROBICO CON QUELLO DEI BIODIGESTORI (ARTICOLO 182-TER DEL DLGS 152/2006), MA GUARDA CASO GLI AIUTI SI DANNO SOLO A QUESTI ULTIMI, UN CASO? 


CONCLUDENDO

La finalità di molti progetti di biodigestori (compreso quello proposto da Iren Recos su Vezzano Ligure sopra citato) è: "ci sono gli incentivi per il biometano ? bene allora presento un progetto anche se non previsto dalla pianificazione perchè prima lo presento e prima anticipo altri concorrenti per ottenere gli incentivi". 
Siamo all'opposto della ratio della normativa vigente infatti il biodigestore è prima di tutto un impianto di gestione rifiuti costruito con le finalità disciplinate dal testo unico ambientale: realizzare impianti che garantiscano la autosufficienza di ambito regionale e/o provinciale nella gestione dei rifiuti urbani anche da raccolta differenziata. 
L'incentivo al biometano (sottoprodotto del biodigestore) è una conseguenza dell'impianto non una premessa, invece nella logica dei "cacciatori" di incentivi diventa la vera ragione per cui si realizzano questi impianti. 


In questo modo si trasformano gli incentivi da strumento per favorire il recupero di energia dai rifiuti in una logica di economia circolare a vero e proprio aiuto di stato per favorire unilateralmente una tecnologia violando i principi suddetti della normativa sui rifiuti ma a mio avviso anche le norme UE sugli aiuti di stato.

14 luglio 2021

TG3 Liguria del 13 luglio 2021 INQUINAMENTO TIRRENO POWER , LE ANALISI DELLA PROCURA .

Inoltriamo  il link all’ articolo su TG 3 di ieri 13 luglio ore 19,30 

: la problematica Tirreno Power inizia del minuto 6




Riportiamo il testo integrale del servizio del tg3 

NETTA RIDUZIONE DEGLI INQUINANTI, 
MACROSCOPICO AUMENTO DELLE BIODIVERSITA’ 
,INATTENDIBILITA’ DELLO STUDIO ARPAL DEL 2018 
é quanto evidenziato dalla  Consulenza tecnica della  Procura di Savona durante l’udienza nel Processo Tirreno Power.

La Perizia si basa sulle  INDAGINI EFFETTUATE 
SULL’AREA  PRIMA E DOPO LA CHIUSURA DEI GRUPPI A CARBONE.
INDAGINI CHE METTEREBBERO IN LUCE COME 
GLI INQUINANTI COLLEGATI ALLA CENTRALE SIANO DIMINUITI DEL 70%.

VERREBBE COSÌ SCONFESSATO IL DOCUMENTO ARPAL DI  TRE ANNI FA IN CUI INVECE NON SI EVIDENZIAVA UNA DIMINUZIONE SIGNIFICATIVA DEI PARAMETRI DOPO LO STOP DEI GRUPPI A CARBONE.

IL SECOLO XIX : Savona, la perizia: “Inquinamento crollato dopo la chiusura

Tratto da IL SECOLO XIX on line

Savona, la perizia: “Inquinamento crollato dopo la chiusura. I licheni rivelarono i danni di Tirreno Power”

Il consulente della procura, Stefano Scarselli, ha snocciolato ieri i particolari dell’accusa: isolati gli inquinanti legati alla centrale

Savona – «L’accurata analisi dei dati, forniti dalle centraline posizionate a Vado, sulla via Aurelia, e a Savona, dal centro Varaldo, evidenzia una decrescita significativa di alcuni inquinanti, direttamente influenzati dalle emissioni di Tirreno Power, successivamente alla chiusura della Centrale a carbone.

 Nelle zone di massima ricaduta, con la chiusura della Centrale è stato registrato anche un significativo incremento della biodiversità lichenica».

È il fulcro della deposizione di Stefano Scarselli, consulente tecnico della Procura, che ieri, per quasi cinque ore di udienza, davanti al giudice Francesco Giannone e al pm Elisa Milocco, nel Tribunale di Savona, ha confutato il documento Arpal del 2018, in cui si sosteneva, invece, che non ci fosse stata una significativa diminuzione degli inquinanti dopo lo stop dei gruppi a carbone.

È stata una giornata di svolta, quella di ieri, nell’ambito del processo per disastro ambientale e sanitario colposo relativo a Tirreno Power, nel quale sono a giudizio 26 persone tra manager ed ex manager della Centrale di Vado. Il lungo e articolato intervento del consulente della Procura (quella di ieri era la sua terza udienza) non è stato quasi mai interrotto: sono stati richiesti solo dieci minuti d’intervallo, giusto il tempo per un caffè, mentre il pm Milocco ha richiesto alcune precisazioni rispetto alle pagine in cui ritrovare i grafici illustrati. Nessuna domanda è stata avanzata nemmeno dalla pletora degli avvocati, in aula, a rappresentare gli imputati: anche perché il consulente della Procura, biologo e specialista in biomonitoraggio, ha dettagliato e sviscerato nei minimi dettagli ogni passaggio della relazione, anticipando, di fatto, le possibili osservazioni.

«Mi è stato anche chiesto – ha detto Scarselli- di verificare l’attendibilità dei rapporti tecnici di Arpal del 2016 e del 2018 non attenendomi esclusivamente all’esame dell’aggregato mensile, fornito dall’Agenzia, bensì con il dato giornaliero intervenendo con un pre-trattamento statistico, che ha permesso di epurare i dati da elementi distorsivi, che avrebbero potuto determinare interferenze».

Due le centraline che hanno rilevato i dati più significativi rispetto alla diminuzione degli agenti inquinanti post chiusura: quella al centro Varaldo di Savona (in Valloria) e quella di Vado, sull’Aurelia. 

Dal 2011 al 2018 il biossido di zolfo è diminuito del 45,26 per cento a Savona e del 69,42 a Vado. Il particolato atmosferico Pm 2,5 è calato del 24, 18 per cento a Savona e del 26,52 a Vado. Il biossido di azoto ha fatto registrare un meno 39 per cento al Varaldo e un meno 24,96 nella centralina dell’Aurelia, a Vado. Non sono emerse, invece, variazioni rispetto alle centraline non esposte in modo diretto alle emissioni. Per quanto riguarda il secondo quesito posto a Scarselli dalla Procura, ossia la produzione di mappe per l’indagine sanitaria, il consulente ha evidenziato i risultati relativi alla biodiversità dei licheni.

«Gli studi di Arpal – ha detto- hanno utilizzato licheni nativi che, però, non erano sufficientemente estesi sul territorio per garantire un monitoraggio completo. Noi abbiamo utilizzato un altro sistema: abbiamo posizionato licheni nelle zone interessate, collocando gli stessi, su rametti, a tre metri di altezza, distanza di sicurezza, a riparo da possibili contaminazioni. Abbiamo effettuato due campagne di indagini: autunnale (dal 16 settembre al 4 gennaio) e primaverile, (10 aprile- primo agosto)». I benefici più consistenti, a seguito della chiusura dei gruppi a carbone, sono stati registrati nelle zone di massima ricaduta e cioè nelle stazioni del Promontorio di Bergeggi e di Valle di Vado. A Bergeggi l’indice di incremento della biodiversitò lichenica ha superato il 90 per cento.

              Immagini tratte da Il Secolo XIX  in edicola oggi 



Sotto l’ immagine tratta da “La Stampa “oggi in edicola 

13 luglio 2021

NETTISSIMA RIDUZIONE DEGLI INQUINANTI, "MACROSCOPICO E INCONTROVERTIBILE" AUMENTO DELLA BIODIVERSITA' LICHENICA TOTALE ED ASSOLUTA INATTENDIBILITA’' DELLO STUDIO ARPAL 2018

  

                         COMUNICATO STAMPA

ALL'UDIENZA DEL PROCESSO TIRRENO POWER IL CONSULENTE DELLA PROCURA CONFRONTA LA SITUAZIONE DELL'INQUINAMENTO ATMOSFERICO ANTE E POST CHIUSURA DEI GRUPPI A CARBONE DELLA CENTRALE: 

NETTISSIMA RIDUZIONE DEGLI INQUINANTI

"MACROSCOPICO E INCONTROVERTIBILE" AUMENTO DELLA BIODIVERSITA' LICHENICA

TOTALE ED ASSOLUTA INATTENDIBILITA’' DELLO STUDIO ARPAL 2018

 

La consulenza tecnica presentata quest'oggi evidenzia i notevoli effetti e i benefici sulla qualità dell'aria prodotti dalla chiusura dei gruppi VL3 e VL4 della centrale, avvenuta (non per volontà dell'azienda, ma per ordine del giudice) nel marzo 2014, partendo da due diverse indagini relative allo stato ante e post chiusura gruppi a carbone:

a) studio scientificamente approfondito sui dati degli inquinanti rilevati dalle centraline ARPAL che evidenziano sostanziose riduzioni di diversi inquinanti;

b) ripetizione delle indagini sulla biodiversità lichenica che restituiscono un quadro di notevole miglioramento dei parametri di biodiversità anche con salti di ben due classi.

 

risultati delle centraline ARPAL, correttamente analizzati, forniscono un esito "sensibilmente differente e sostanzialmente divergente" rispetto a quanto evidenziato nel documento ARPAL di Genova del 2018, allegato al verbale dell’Osservatorio regionale.

 

Infatti i dati raccolti dimostrano la sostanziale riduzione delle concentrazioni dei macroinquinanti maggiormente associati alla combustione di carbone, e cioè SO2 e PM2,5 nelle postazioni di misura collocate sottovento alla CTE (Vado L. via Aurelia e Quiliano mercato generale), ma non in quelle esterne all’area di ricaduta e/o interessate da sorgenti tipiche dell’ambiente urbano.  

 

Le concentrazioni atmosferiche di anidride solforosa (SO2) si sono ridotte in modo eclatantesoprattutto a Vado L. (-69,42 %), ma anche presso SV Varaldo (-45,24 %).

La consulenza tecnica della Procura, utilizzando gli stessi dati delle centraline ARPAL, sconfessa dunque clamorosamente il documento ARPAL 2018 recante non si osserva una diminuzione di entità significativa dopo lo stop  dei gruppi a carbone della CTE”, documento peraltro sbandierato dalle difese degli imputati quasi ad ogni udienza di questo processo.

 

Un tale esito, al di là della sua rilevanza processuale, che verrà evidentemente valutata dal Giudice, solleva pesanti interrogativi su quest'ultimo studio ARPAL, su cui gli amministratori e i politici locali e regionali non possono evitare di confrontarsi.

 

All'udienza odierna dinanzi al Tribunale di Savona (Giudice Giannone; PM Milocco) il consulente tecnico della Procura dott. Stefano Scarselli ha illustrato gli esiti di una consulenza conferitagli nel 2019, producendo una relazione contenente la valutazione degli effetti dovuti alla chiusura dei gruppi a carbone sulla qualità dell'aria e sulla flora sensibile nel territorio circostante. 

In particolare, da un lato, il consulente ha esaminato i dati registrati nelle rete di monitoraggio provinciale della qualità dell'aria ARPAL e, dall'altro, ha esposto gli esiti delle nuove misure di biodiversità lichenica (2019) effettuate in un congruo numero di stazioni già campionate nel 2012  per conto della Procura per realizzare un confronto scientifico ante e post chiusura dei gruppi a carbone avvenuta nel 2014.  

 

Il CT  della Procura ha innanzitutto riferito dell'esame del documento ARPAL del 2018 allegato al

verbale della riunione dell’Osservatorio Regionale salute-ambiente del 9 luglio 2018, documento che è stato reiteratamente citato dalle difese degli imputati  nell'intento  di dimostrare come  non vi fossero state riduzioni significative degli inquinanti con la chiusura dei gruppi a carbone.

 

L'esame del documento ARPAL da parte del dott. Scarselli e delle specialiste Prof.sse Laura Tositti ed Erika Brattich  dell'Università di Bologna  (ausiliarie del dott. Scarselli) ha evidenziato innanzitutto i gravi limiti delle centraline utilizzate da ARPAL (anche in ragione della loro collocazione), oltreché l'inadeguatezza delle modalità con cui sono stati trattati i dati (aggregati mensili e non anche come giornalieri), senza considerare inoltre l' influenza dalla meteorologia. 

 

Il dott. Scarselli ha confrontato i dati emersi dai rilevamenti dell'indagine del 2019 sulla Biodiversità lichenica con i dati dei rilevamenti effettuati prima della chiusura dei gruppi a carbone e gli esiti delle misure, ripetute nelle medesime stazioni a distanza di sette anni e a cinque anni dalla chiusura dei gruppi a carbone della CTE TP, hanno restituito un quadro totalmente mutatoevidenziando un sensibile miglioramento della situazione di biodiversità lichenica.

Questo notevole miglioramento avvenuto dopo la chiusura dei gruppi a carbone  è stato particolarmente evidente nelle zone esposte  alle ricadute degli inquinanti della centrale (con salti in positivo anche di due classi) mentre non si sono registrati miglioramenti nelle zone non esposte.

 

Il venir meno dell’effetto della maggiore sorgente di inquinamento della zona si è riflettuto in una significativa e misurabile riduzione del danno alla flora lichenica.

In una situazione di sostanziale invarianza dell’impatto dovuto agli altri fattori di pressione antropica ancora attivi nell’area, tale riduzione del danno si è espressa in misura rilevante solamente nelle zone di ricaduta delle emissioni della centrale; mentre, al contrario, nelle stazioni esenti dall’effetto delle emissioni della CTE (sopravento ai camini), non si è registrata alcuna variazione significativa della Biodiversità Lichenica.


I benefici più consistenti e apprezzabili a seguito della chiusura dei gruppi a carbone sono stati registrati nelle zone di massima ricaduta e cioè nelle stazioni del Promontorio di Bergeggi e di Valle di Vado. Particolarmente degno di nota, sia per consistenza e sia per il peculiare significato ambientale ed ecologico che riveste è il miglioramento riscontrato sul Promontorio di Bergeggi (area protetta e di pregio naturalistico ricadente nella omonima Riserva Naturale Regionale, nonché Sito di Interesse Comunitario) che ha registrato un incremento dell'indice di biodiversità lichenica di circa il 96%!

Il consulente precisa che la risposta positiva della flora lichenica registrata in questo sito, identificato da tutti i modelli previsionali applicati alle emissioni della CTE quale zona di massima ricaduta in termini assoluti, è dunque "macroscopica e incontrovertibile".