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30 dicembre 2015

Buon 2016 da Uniti per la Salute

Buon 2016 da Uniti per la Salute



Il countdown per il 2016 e’ iniziato, ancora poche ore ed entreremo nel nuovo anno lasciandoci alle spalle il 2015,un  anno ancora  importante nella  lotta per la tutela  della nostra salute e del nostro territorio.             
Sul finire di questo 2015 
formuliamo i nostri migliori auguri a tutti voi che ci leggete , a tutti coloro che per noi sono stati dei collaboratori preziosi,ed un grande grazie a coloro che credono in noi e ci spingono a proseguire .
Infine auguri a tutti quelli che si prodigano  come noi  affinchè la nostra salute sia    doverosamente tutelata.
Auspichiamo che il 2016  anno sia 
un anno migliore  e piu' sereno per tutti !!!


Che cosa ci porterà  il 2016?
 Ancora non lo sappiamo ......
Quello di cui abbiamo il timore
è che la strada per la tutela della nostra salute continui ad essere ...... in salita .
Ma continuiamo ad avere  la consapevolezza che la posta in gioco...... sia molto alta
 e dopo anni di notevoli sacrifici e di grande impegno siamo determinati a non demordere e..... a  lottare 
con tutte le nostre forze per ottenere
 dalle Istituzioni la massima tutela della nostra salute e del nostro ambiente 
e per un futuro più rispettoso di tali diritti
 per i nostri figli .
 Riformuliamo i nostri più Calorosi Auguri 
per un Buon 2016 a tutti.


                   

Dottor Agostino Di Ciaula :Ilva, Isde su ultimo decreto: tutela salute non adeguatamente rispettata


Tratto da Inchiostro Verde

Ilva, Isde su ultimo decreto: tutela salute non adeguatamente rispettata


 Oggi, ospitiamo le osservazioni e le proposte di modifica  formulate da ISDE Italia (Medici per l’Ambiente). A curare il documento è  il Dottor Agostino Di Ciaula, coordinatore del Comitato Scientifico ISDE, che da tempo segue con attenzione e grande competenza il caso Taranto.
Alessandra Congedo
Premessa
Il decreto in esame si propone, in riferimento all’ILVA di Taranto “da un lato, di garantirne l’esercizio senza soluzione di continuità, diversamente inevitabile con oggettivo e gravissimo pregiudizio per il tessuto socioeconomico del territorio e dei livelli occupazionali, contemperando tali esigenze con quelle della salute e della tutela ambientale e, dall’altro, di semplificare e rendere più trasparente il processo di cessione”. Il “tessuto socioeconomico del territorio” ed i “livelli occupazionali” avrebbero potuto, già dal primo dei decreti “salva-ILVA”, essere salvaguardati indipendentemente dall’esercizio dello stabilimento siderurgico, creando per Taranto e per i tarantini, anche in considerazione della notevole sovracapacità di produzione siderurgica a livello europeo e mondiale e della crisi del settore, alternative sostenibili di lavoro e di sviluppo secondo modelli di dismissione, bonifica, recupero e riconversione già realizzati con successo in altre parti d’Europa e del mondo, in assenza di significative ripercussioni negative sui conti dello Stato e con buone prospettive di crescita socio-economica.
L’analisi di autorevoli stime economiche dei costi sanitari diretti e indiretti (esternalità) causati dal danno ambientale e sanitario prodotto da ILVA indica chiaramente come questi compensino (e probabilmente eccedano) i benefici generati dalla prosecuzione della sua attività produttiva. La EEA (European Environmental Agency) ha infatti stimato, pur escludendo il contributo economico negativo legato alla produzione di gas serra, in 283 milioni di euro/anno i costi aggregati di danno sanitario generati dall’ILVA di Taranto considerando il numero di morti in eccesso associato all’esposizione di inquinanti. La stessa fonte stima in 103 milioni di euro/anno i costi aggregati di danno sanitario da contrazione dell’aspettativa di vita (anni di vita persi).
Nessuno ha fin qui pensato di stimare gli inevitabili effetti sanitari sulle generazioni future, che in base a quanto emerge dalla letteratura internazionale rappresentano la conseguenza più drammatica di qualsiasi situazione di inquinamento persistente dell’ambiente e delle catene alimentari. Inoltre, non sono mai stati adeguatamente valutati né considerati i danni economici subiti nel corso di decenni da intere categorie imprenditoriali (allevatori, agricoltori, mitilicultori), in alcuni casi irreversibilmente danneggiati dalla contaminazione di suolo e acqua che ILVA ha prodotto e continua a produrre, in assenza di bonifiche. I primi dati sulla contaminazione da idrocarburi policiclici aromatici dei mitili del mar piccolo pubblicati in letteratura internazionale risalgono al 1995, con gli Autori che suggerivano già allora “la necessità di aumentare gli sforzi per controllare le sorgenti inquinanti in un’area riconosciuta come una tra le più produttive per la mitilicoltura in Italia”.
Gli sforzi non sono stati sino ad ora adeguati e ancora nel 2014 sono presenti evidenze che documentano negli stessi luoghi contaminazioni preoccupanti dei mitili da diossine e PCB . Il voler perseverare sullo “scenario ILVA” come unico possibile, obiettivo perseguito sino ad ora mediante ben otto decreti legge precedenti a questo, ha fallito sino ad ora il suo principale proposito iniziale, quello di salvaguardare insieme ambiente, salute e lavoro, generando senza soluzioni di continuità ulteriore rischio e danno sanitario e tirannia del diritto alla produzione di acciaio su qualunque altro diritto, compreso quello alla salute.
ilva fabbriL’ultimo aggiornamento pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità sugli indicatori epidemiologici in età pediatrica nell’area di Taranto afferma che “nel primo anno di vita si registra un eccesso di mortalità generale chiaramente ascrivibile ad un eccesso del 45% rispetto all’atteso regionale nel numero dei decessi per condizioni morbose di origine perinatale” .
Nello stesso rapporto (fascia di età 0-14 anni) “un eccesso di rischio viene osservato anche per l’incidenza dei tumori nel loro complesso” e si osserva che “permangono gli eccessi osservati in età pediatrica per i bambini ricoverati per malattie respiratorie acute nonché per la mortalità generale e l’incidenza per i tumori nel loro complesso”. Gli estensori del rapporto sottolineano che “l’osservazione di un eccesso di incidenza dei tumori e delle malattie respiratorie fra i bambini e gli adolescenti contribuisce a motivare l’urgenza degli interventi tesi a ripristinare la qualità dell’ambiente”.
Dal varo della revisione AIA ad oggi sono passati altri tre anni di danno ambientale e di rischio sanitario, con morti, malattie e costi altrimenti evitabili, senza che siano stati avviati concreti interventi di bonifica, senza che gli accorgimenti tecnici previsti dall’AIA siano stati completamente e adeguatamente applicati e senza avere ancora previsioni temporali certe sulla loro completa applicazione, che con il presente decreto-legge verrebbe ulteriormente rinviata di alcuni mesi. Si ricorda, inoltre, che studi previsionali di analisi del rischio prodotti da autorevoli organismi istituzionali (ARPA Puglia, “Primo Rapporto sulla Valutazione del Danno Sanitario”) hanno dimostrato che se anche l’AIA venisse applicata come previsto, resterebbe per Taranto e per i tarantini un rischio sanitario inaccettabile legato all’attività del siderurgico. Questo è eticamente improponibile in un’area geografica sino ad ora discriminata in negativo dal punto di vista ambientale e sanitario rispetto ad altre aree del nostro Paese.
Considerazioni sull’articolato e proposte di modifica
 Aiuti di Stato
“Con il comma 2 dell’articolo 1 si imprime un’accelerazione alle procedure per il trasferimento dei complessi aziendali e contemporaneamente si sostiene finanziariamente la prosecuzione delle attività produttive per il tempo necessario allo svolgimento delle procedure previste dalla legge”. … “al comma 3 è disposta in favore dell’amministrazione straordinaria un’erogazione di 300 milioni di euro, indispensabili per fare fronte alle indilazionabili esigenze finanziarie del gruppo ILVA in amministrazione straordinaria”.
Gli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà indicano che in una situazione come quella attuale, caratterizzata da notevole sovracapacità di produzione siderurgica a livello europeo e mondiale, gli aiuti di Stato ad imprese siderurgiche non siano giustificabili in alcun modo. Per tali ragioni si dichiara esplicitamente l’opportunità di “escludere il settore siderurgico dal campo di applicazione dei presenti orientamenti”.
- Sarebbe pertanto auspicabile evitare qualunque ulteriore forma di finanziamento finalizzato alla prosecuzione dell’attività produttiva di ILVA, nel rispetto delle indicazioni comunitarie.
- Sarebbe inoltre altrettanto auspicabile una decisa variazione di rotta da parte del Governo, mediante la destinazione di eventuali possibilità di finanziamento non alla “questione ILVA” ma alla “questione Taranto”, sostenendo la promozione e lo sviluppo, in quell’area, di altre categorie imprenditoriali (alcune delle quali gravemente danneggiate dall’inquinamento prodotto dal siderurgico) e ponendo basi concrete per la promozione di alternative sostenibili di lavoro e di sviluppo per Taranto e per i tarantini. 

Bloomberg :Le centrali elettriche a gas o carbone non sono più redditizie. E in Germania vengono spente

Tratto da Behindenergy

Le centrali elettriche a gas o carbone non sono più redditizie. E in Germania vengono spente

Un cambiamento di rotta sull’energia senza precedenti in Germania sta trasformando le centrali di recente costruzione in cattedrali nel deserto che non potranno mai produrre elettricità.“
Centrali elettriche convenzionali possono essere a rischio di estinzione” una volta che il costo per lo stoccaggio dell’energia diventa commercialmente redditizio.

Una volta erano la spina dorsale che ha sostenuto la crescita di una delle più grandi economie europee, oggi carbone e gas vengono esclusi da un nuovo mondo in cui solare ed eolico sono di gran moda. Con i prezzi dell’energia elettrica che hanno raggiunto il livello più basso mai registrato nell’ultimo decennio e oltre, la prospettiva è ormai così grave che RWE AG non spenderà mai il suo miliardo di euro per l’impianto di Westfalen-D, mentre EON SE farà in modo quest’anno di chiudere due nuove unità a gas diventate non più redditizie.

Gli impianti tradizionali appaiono oggi come la più grande sfida che le più grandi utility del Paese si trovano ad affrontare. Le due più grandi perdenti guardando al DAX Index tedesco di quest’anno si divideranno nel 2016 nel tentativo di adeguare le loro imprese verso quello su cui spinge incessantemente il Cancelliere Angela Merkel, ossia di aumentare la percentuale di fonti rinnovabili nella produzione di energia in Germania portandola al 45 per cento nei prossimi dieci anni, dal 30 per cento attuale.
“Il calo dei prezzi sul mercato dell’energia all’ingrosso ha causato una crisi per le attività tradizionali e c’è un notevole eccesso di offerta”, ha detto Marc Oliver Bettzuege, direttore dell’Istituto di economia dell’energia dell’Università di Colonia, che ha studiato il mercato per più di un decennio. “La persistente pressione sui prezzi cambia i calcoli sulla redditività degli impianti di nuova realizzazione o in via di completamento”.
RWE, con sede a Essen, ha perso quest’anno più della metà del suo valore di mercato, e venerdì 18 dicembre l’azienda ha affermato che non era più “economicamente sostenibile” completare l’unità la cui costruzione è stata perseguitata da ritardi e difetti, tra cui una fuoriuscita di sostanze chimiche. Questa unità sarebbe abbastanza grande per rifornire 1,6 milioni di case.
All’inizio di quest’anno, EON SE ha ordinato di chiudere temporaneamente due unità che si trovano in Baviera perché non ritenute più redditizie, e saranno ora tenute come riserva per garantire al Paese abbastanza offerta da soddisfare la domanda. Irsching-4 è stato commissionato nel 2011, mentre Irsching-5 ha iniziato un anno prima.
Un altro grande impianto EON ha accumulato cinque anni di ritardo. La società prevede di ricevere l’approvazione da parte del governo del distretto di Muenster per costruire e gestire l’impianto a carbon fossile Datteln-4 il mese prossimo, ha detto Adrian Schaffranietz, un portavoce della società. Può essere costruito entro i due anni dall’ottenimento dei permessi.
Centro industriale
Westfalen-D si trova a Hamm, una città ai margini della cintura industriale occidentale della Germania. Le centrali elettriche condividono il paesaggio della città con l’industria manifatturiera, dai produttori di tubi e fili ai prodotti chimici. Sul sito c’è anche un vecchio reattore del 1980 della RWE, che è stato chiuso 423 giorni dopo 40 anni di attività a causa di problemi tecnici e di una mancanza di redditività.
“In passato, la produzione di energia è stata molto importante per Hamm”, ha detto il sindaco Thomas Hunsteger-Petermann in un’intervista. “Io non oso commentare il futuro” ed ha stimato in circa 500 persone i lavoratori che sono impiegati nelle centrali della città.
Il futuro degli impianti tradizionali è attaccato anche a quanto velocemente saranno sviluppate le batterie su larga scala che potrebbero assorbire energia nelle giornate di sole e vento da immagazzinare ed utilizzare successivamente, ha detto Thomas Deser, un gestore di fondi della Union Investment che detiene partecipazioni sia in RWE sia in EON.
“Centrali elettriche convenzionali possono essere a rischio di estinzione” una volta che il costo per lo stoccaggio dell’energia diventa commercialmente redditizio, ha detto..... Qui l'articolo integrale 
Fonte: Bloomberg
Data: Dicembre 2015

29 dicembre 2015

Italia. vergognosi incentivi alla lobby degli inceneritori

Tratto da QualEnergia

Coordinamento FREE: "vergognosi incentivi alla lobby degli inceneritori"

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"La lobby degli inceneritori ha trovato un altro regalo sotto l'albero di Natale: si tratta degli incentivi previsti nel Decreto ministeriale Fer non fotovoltaiche che al momento è al vaglio di Bruxelles, dopo essere passato in Conferenza Stato-Regioni.
Si tratta di un regalo cospicuo che prevede per gli inceneritori una tariffa incentivante di 119 euro per MWh, quando per un impianto eolico o a biogas sono previste tariffe meno vantaggiose", lo scrive in una nota il Coordinamento Free, fonti rinnovabili ed efficienza energetica che raggruppa 30 associazioni del settore.
"Si tratta di un ennesimo, vergognoso, attacco alle rinnovabili, quelle vere e non quelle fasulle che negli anni hanno goduto di benefici come il Cip 6. E' ora di dire basta all'impoverimento di tecnologie che sono le uniche in grado di porre un limite al cambiamento climatico, in vista di una vera e propria rivoluzione green che in Italia tarda a venire", si legge nel comunicato FREE.
In effetti ci troviamo di fronte ad un altro provvedimento che contraddice tutte le recenti parole del governo sull'emergenza inquinamento di diverse aree del paese, a cominciare dalla pianura padana, dove peraltro sono molti gli inceneritori in funzione. Ricordiamo che oggi in Italia gli inceneritori sono 40 e 6 in costruzione. Il governo inoltre sta presentando la richiesta di realizzarne altri 9 in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Sardegna e 2 in Sicilia.
Secondo i rapporti dell’ Ispra, nonostante una lieve diminuzione tra il 2013 e il 2014, si è passati dai 3,8 milioni di tonnellate di rifiuti inceneriti nel 2005 ai 5,1 milioni dello scorso anno (+34,8%). I più importanti operatori del settore sono: Gruppo Hera, A2A e Iren.
Nel 2014 la percentuale di raccolta differenziata è arrivata al 45,2% (13,4 milioni di tonnellate) con un aumento del 3% rispetto al 2013. Ma questa è solo la quota obbligatoria prevista per il 2008. Oggi l'obiettivo è del 65%. Una seria politica sui rifiuti, che riduca discariche e inceneritori, sarebbe il segnale di una cifra etica e pragmatica dei nostri governi. Ma di questo c'è poco traccia in questo come nei precedenti esecutivi.

Qualenergia:Il settore delle fossili impreparato alla sfida del clima

Tratto da Qualenergia

 

Il settore delle fossili impreparato alla sfida del clima

Le aziende del settore dei combustibili fossili appaiono impreparate alla transizione imposta dalla variabile climatica. Le strategie dei grandi gruppi energetici sono state finora solo sfiorate dal rischio climatico, come dimostrano i 950 miliardi $ investiti nei fossili nel 2013. Ma cosa succederà da qui in avanti? Un articolo di Gianni Silvestrini.
L’attenzione nei confronti delle aziende e degli Stati che basano le loro fortune sui combustibili fossili, in particolare sul greggio e sul carbone, si dovrà accentuare dopo la COP21. Infatti, visto che larga parte delle riserve fossili dovrà rimanere nel sottosuolo, il valore dei giacimenti sarà sempre più a rischio. Nella battaglia contro i rischi dei cambiamenti climatici occorrerà rifocalizzare l’attenzione sul fronte dei consumi energetici e accentuare gli sforzi sul versante dell’estrazione dei combustibili fossili.....
Occhi puntati sulla produzione dei fossili
Nella prossima fase si dovrà poi prestare una crescente attenzione all’estrazione dei combustibili fossili. Le azioni di Greenpeace per bloccare le esplorazioni artiche della Shell, come pure la decisione di Obama di bloccare il progettato oleodotto Keystone, proprio con motivazioni climatiche, vanno in questa direzione. E la campagna internazionale “Divest Fossil”, che invita a dismettere le azioni delle aziende impegnate nel petrolio e nel carbone, è destinata a espandersi. Si tratta di un impegno globale, con un riflesso anche nel nostro Paese. Il referendum sulle trivellazioni che si potrebbe tenere nel 2016 rende utile l’approfondimento di questi temi.
Le strategie dei grandi operatori sono state finora solo sfiorate dal rischio climatico, come dimostrano i 950 miliardi $ investiti nei fossili nel 2013. .......
Ma le perplessità si stanno allargando. Il Segretario generale dell’Ocse ha avvertito che gli investimenti dei decenni passati e quelli programmati rischiano di creare un groviglio di interessi inestricabile. E sia l’Agenzia Internazionale dell’Energia, sia la Banca mondiale non perdono occasione per suggerire la necessità di eliminare progressivamente i sussidi di cui godono i combustibili fossili.....
Basse quotazioni di carbone, petrolio e metano
Per motivi diversi fra loro, le quotazioni dei combustibili fossili in questo momento sono al ribasso e lo saranno prevedibilmente ancora per diversi anni. I prezzi del carbone e del greggio sono tre volte inferiori rispetto ai picchi del 2008 e 2014, mentre quelli del gas naturale si sono dimezzati in Europa e si sono ridotti di quattro volte negli Usa.
Nel caso del carbone, sono i crescenti limiti ambientali e il successo delle rinnovabili a limitarne l’impiego, dagli Usa alla Cina. Petrolio e metano vedono invece una domanda debole sia per il contesto economico di alcuni Paesi che per l’efficacia delle misure di efficienza e la crescita delle rinnovabili. Si aggiunge l’influenza del successo del fracking nelle scelte saudite che stanno determinando un eccesso di offerta di greggio sulla scena mondiale. Quali implicazioni derivano per l’ambiente e il clima?
Si chiudono miniere di carbone e si abbandonano le produzioni di petrolio più a rischio, dall’Artico alle sabbie bituminose. .......
Far cambiare rotta ai transatlantici
...In realtà, la molla che farà cambiare la strategia del settore fossile è intrinsecamente legata ai pericoli che sempre più chiaramente ne mettono in discussione il suo stesso futuro. Il governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, considerando gli enormi rischi legati ai cambiamenti climatici, ritiene che le aziende dovrebbero pubblicizzare le loro strategie per evidenziare i pericoli per gli azionisti connessi con scelte sbagliate.
In effetti, diverse utility elettriche hanno già iniziato questo percorso puntando su efficienza e rinnovabili, un cambiamento di modello di business a portata di mano. Benché molto più complessa, qualcuno potrebbe ritenerla impossibile, la transizione dovrà essere affrontata anche dalle compagnie petrolifere e del carbone. Secondo Fathi Birol, nuovo direttore della IEA che ha sempre avuto a cuore le sorti dei fossili, sbagliano di grosso le compagnie che non includono il clima nelle loro strategie.
Il tutto, in un contesto caratterizzato dalle campagne che incitano a disinvestire dalle fonti fossili e a bloccare le ricerche pericolose per l’ambiente. La prospettiva è quella di apparire sempre più come delle “appestate”, accostandosi nell’immaginario collettivo ai produttori di armi o ai gestori dei giochi d’azzardo. Perché, in fondo, proprio di un gioco d’azzardo stiamo parlando. Nel quale si sa chi perderà, le generazioni future, e nel quale, però, i cittadini/consumatori sono giocatori inconsapevoli. 
In realtà, sempre meno inconsapevoli e sempre più in grado di riappropriarsi delle scelte vitali per il loro futuro, come ci ricordano le manifestazioni nelle piazze di tutto il mondo che si sono svolte il 29 novembre.
L'articolo è stato pubblicato sul n. 5/2015 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo "Fossili impreparati".

28 dicembre 2015

ANALISI - L’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici: miracolo o disastro?

Tratto da Greenreport

L’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici: miracolo o disastro?

Un’analisi dei principali elementi positivi e negativi emersi dalla Cop21, a confronto con le intese siglate in passato.

Parigi Orso
L’ambivalente natura dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici è ben riassunta da questa frase di George Monbiot, apparsa sul quotidiano inglese The Guardian (in un articolo ripubblicato – tradotto in italiano – da Internazionale):rispetto a quello che avrebbe potuto essere, è un miracolo. Rispetto a quello che avrebbe dovuto essere, è un disastro”.[1] L’Accordo di Parigi appare infatti profondamente diverso a seconda del punto di vista da cui lo si osserva. Se infatti lo si guarda da un punto di vista prettamente “formale”, esso appare un ottimo risultato rispetto alle enormi difficoltà che hanno tenuto in stallo i negoziati sui cambiamenti climatici per molti anni; se lo si guarda invece da un punto di vista prettamente “sostanziale”, esso sembra piuttosto un fallimento, dal momento che molto probabilmente non risulterà assolutamente sufficiente per mantenere l’aumento medio della temperatura nell’atmosfera entro i “margini di sicurezza” indicati dalla scienza.
Vediamo quindi quali sono principali elementi positivi e negativi che possono far propendere il giudizio sull’Accordo di Parigi in un senso o nell’altro. In primo luogo, va rilevato che l’Accordo di Parigi è stato giustamente salutato come un risultato storico in quanto, dopo anni di lunghi e laboriosi negoziati, sancisce finalmente il superamento “di fatto” della dicotomia su cui era imperniato il sistema internazionale per la lotta contro i cambiamenti climatici, fin dal tempo della conclusione della Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici del 1992. Tale dicotomia si basava sulla netta distinzione tra Paesi dell’Allegato I (Annex I Countries), corrispondenti ai Paesi maggiormente sviluppati ed industrializzati, e Paesi non appartenenti all’Allegato I (Non-Annex I Countries), che comprendono al loro interno una eterogenea moltitudine di Paesi con livelli di sviluppo economico molto diversi tra di loro. La distinzione tra Paesi del primo e del secondo gruppo era stata l’asse portante delle disposizioni del Protocollo di Kyoto del 1997, che prevedeva obblighi vincolanti di riduzione solo a carico dei Paesi dell’Allegato I. Negli ultimi anni, tuttavia, la rapida ascesa della Cina e di molti altri Paesi non appartenenti all’Allegato I avevano reso questa distinzione del tutto obsoleta.Per questo motivo, il superamento “di fatto” di tale dicotomia, avvenuto a Parigi, rappresenta un grande successo. Con l’Accordo di Parigi, quindi, tutte le Parti hanno l’obbligo di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici, mediante la definizione a livello nazionale dei propri impegni (non vincolanti), detti “contributi intesi determinati a livello nazionale” o, per usare l’espressione inglese comunemente utilizzata “intended nationally determined contributions” (INDCs).
Il sostanziale superamento della dicotomia tra le due categorie di Paesi viste sopra ha comportato però un elevato prezzo da pagare. Si tratta del passaggio da un sistema basato su obblighi giuridici vincolanti, determinati a livello internazionale, come era quello del Protocollo di Kyoto, ad un sistema basato su impegni di tipo volontario, stabiliti dalle Parti a livello nazionale, come è quello dell’Accordo di Parigi. Infatti, in base al nuovo sistema, le Parti possono liberamente determinare I propri impegni a livello nazionale, senza nessun vincolo imposto a livello internazionale, né nella fase di determinazione dei propri obiettivi, né nella fase di attuazione degli stessi. Non vi è, infatti, neppure un sistema internazionale di monitoraggio e controllo sul rispetto dei propri obblighi da parte degli Stati, come era invece stato ipotizzato inizialmente nell’ambito dei negoziati internazionali sui cambiamenti climatici. Tale sistema è stato infatti sostituito nell’Accordo di Parigi da uno strumento, molto più blando, di controllo indiretto sulle attività nazionali delle Parti, denominato “quadro di riferimento basato sulla trasparenza” (“trasparency framework”). In base a tale strumento, le Parti saranno tenute a fornire agli organi di controllo solamente un rapporto periodico sul proprio inventario delle emissioni ed altre informazioni necessarie  per consentire di “tracciare” ex post i progressi fatti da ciascuna Parte nell’attuazione dei propri obiettivi nazionali,  senza tuttavia che siano previsti meccanismi di tipo sanzionatorio nei confronti dei Paesi che risulteranno inadempienti rispetto agli obiettivi che essi stessi si sono dati.
Un altro elemento positivo dell’accordo di Parigi è costituito dall’impegno delle Parti più sviluppate di mettere a disposizione dei Paesi più poveri un fondo pari ad almeno 100  miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2020, per la realizzazione di iniziative finalizzate all’attuazione dell’Accordo di Parigi. Tale impegno finanziario delle Parti, se correttamente attuato, potrebbe innescare sinergie positive anche in relazione all’attuazione del nuovo “meccanismo per lo sviluppo sostenibile”, il meccanismo economico per la mitigazione delle emissioni di gas serra e il supporto dello sviluppo sostenibile introdotto dall’Accordo di Parigi. Il potenziale positivo che caratterizza sia l’impegno finanziario delle Parti sia il nuovo meccanismo economico si potrà tuttavia realizzare pienamente soltanto se i Paesi interessati dimostreranno l’effettiva volontà di perseguire percorsi di sviluppo sostenibile, sulla falsariga del modello di integrazione promosso, tra l’altro, anche dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ed in particolare dall’obiettivo n. 13 degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile (“sustainable development goals” – SDGs).
Fino a qui, l’Accordo di Parigi presenta forse più elementi positivi che negativi. Se tuttavia l’analisi si sposta verso un punto di vista più sostanziale, le preoccupazioni che esso possa nel complesso rivelarsi un fallimento, se non addirittura un disastro, aumentano considerevolmente.
Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che malgrado il nuovo accordo indichi come suo obiettivo principale quello di contenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto dei 2° centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, ed addirittura si impegni a promuovere il raggiungimento di un obiettivo ancora più ambizioso, corrispondente al tentativo di limitare l’aumento medio della temperatura mondiale entro gli 1,5° centigradi, la realtà sembra invece andare in una direzione assai diversa. Infatti, secondo quanto rilevato dal prestigioso istituto di ricerca americano World Resources Institute (WRI), sulla base di una dettagliata analisi di numerosi studi scientifici sul tema,[2] il contributo collettivo della riduzione delle emissioni di gas serra che dovremo attenderci alla luce della sommatoria degli impegni nazionali delle Parti annunciati prima della Conferenza di Parigi non risulta assolutamente in linea neppure con il raggiungimento dell’obiettivo di mantenere l’aumento medio della temperatura a livello globale ben al di sotto dei 2° centigradi. In tal senso, l’Accordo di Parigi potrebbe rivelarsi sostanzialmente un fallimento, in quanto, allo stato attuale, non potrebbe comunque portare al contenimento delle emissioni di gas serra necessario per centrare l’obiettivo dei 2° centigradi.  Non solo, ma esso potrebbe addirittura rivelarsi un disastro, in quanto potrebbe ingenerare nell’opinione pubblica l’erronea convinzione che il raggiungimento dell’obiettivo di mantenere l’aumento medio della temperatura a livello globale ben al di sotto dei 2° centigradi sia a portata di mano, mentre esso costituisce invece un vero proprio miraggio, sulla base di quanto le Parti sembrano disposte a fare, in termini di controllo e riduzione delle proprie emissioni di gas serra nell’atmosfera.
In senso contrario a tale conclusione negativa, tuttavia, può obiettarsi che l’Accordo di Parigi lascia comunque accesa la speranza della possibilità di un ravvedimento “in corsa” da parte della comunità internazionale, che potrebbe conseguire alla “verifica periodica” del progresso collettivo verso il raggiungimento degli obiettivi di lungo termine dell’accordo, prevista con cadenza quinquennale, a partire dal 2023.
 Peccato che la prima revisione sia prevista soltanto 5 anni dopo la data in cui le Parti dovranno definire i loro impegni nazionali (iniziali) e ben 8 anni dopo la conclusione dell’accordo stesso, ma certamente l’esistenza di una tale meccanismo di verifica periodica è uno dei principali elementi che alla fine può fa pendere l’ago della bilancia verso un cauto ottimismo circa la portata complessiva dell’Accordo di Parigi che, tutto sommato, tende forse di più ad un possibile miracolo, piuttosto che ad un potenziale disastro.
[1] G. Monbiot, L’accordo sul clima è pieno di promesse che si possono rimandare, in Internazionale, 13 Dicembre 2015, http://www.internazionale.it/opinione/george-monbiot/2015/12/13/l-accordo-sul-clima-parigi-fallimento-promesse.
[2] Vedi World Resources Institute (WRI), “Insider: Why Are INDC Studies Reaching Different Temperature Estimates?”, 9 November 2015, http://www.wri.org/blog/2015/11/insider-why-are-indc-studies-reaching-different-temperature-estimates.

inquinamento ambientale:I danni che provoca all'organismo e la volontà vera di combatterlo per risolvere il problema

Tratto da Civico20news

Alcune brevi considerazioni sull'inquinamento ambientale

I danni che provoca all'organismo e la volontà vera di combatterlo per risolvere il problema

Articolo scritto da  Rodolfo Alessandro Neri
cinaVi sono molte forme  di inquinamento, ma quelle che hanno il maggior impatto per noi sono l'inquinamento dell'aria e dell'acqua. L'inquinamento atmosferico da cui siamo letteralmente tormentati in questi giorni, derivante dall'immissione nell'ambiente di differenti materiali di scarto ha effetti negativi per l'ecosistema in cui viviamo.
La causa principale dell'inquinamento ambientale dipende dalle attività industriali, dai fumi, dalle sostanze tossiche rilasciate dalle industrie che vengono immesse nell'aria che respiriamo e nei cibi che ingeriamo.  Sono tutti elementi dipendenti dalla presenza dell'uomo di cui abbiamo piena coscienza; sappiamo che le conseguenze saranno oltremodo gravi, se non verrà attuato  un cambio di rotta nelle nostre abitudini quotidiane. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, sotto forma di riscaldamento globale, mari contaminati, aumento dei casi di malattie polmonari e molto altro ancora.

Quando si bruciano combustibili fossili, di cui sembrerebbe non si possa più fare a meno, vengono rilasciati nell'atmosfera ogni giorno una altissima varietà di prodotti chimici dannosi all'organismo. Le sostanze tossiche  che inaliamo senza interruzione determinano un tremendo impatto sulla nostra salute, come dimostrano i dati sull'incremento delle malattie dell'apparato polmonare. 
Tali manifestazioni di solito dipendono dal  tempo di esposizione, nonché dal tipo e dalla concentrazione di sostanze chimiche e particelle esposte Gli effetti a breve termine includono irritazione agli occhi, naso e gola, e le infezioni delle vie respiratorie superiori, come la bronchite e polmonite. Altri includono mal di testa, nausea e reazioni allergiche.

L'inquinamento atmosferico a breve termine può aggravare le condizioni mediche di individui con asma ed enfisema. 
Gli effetti sulla salute a lungo termine possono essere costituiti da malattie croniche respiratorie, cancro ai polmoni, malattie cardiache, e anche danni al cervello, nervi, fegato o reni. La continua esposizione all'inquinamento atmosferico colpisce i polmoni dei bambini che crescono e può aggravare rapidamente o complicare le condizioni di salute negli anziani.
uselMa non solo l'aria viene ad essere inquinata dalla nostra eccessiva immissione nell'atmosfera di sostanze tossiche. Molte di queste finiscono nei fiumi, nei mari e nei laghi  determinando un grave inquinamento idrico, altrettanto pericoloso. Al pari dell'aria che respiriamo, l'acqua è vitale per la nostra sopravvivenza. Abbiamo bisogno di acqua pulita da bere, per irrigare i nostri raccolti e per mantenere pulito l'ambiente in cui si trova a vivere la fauna marina, di cui in gran parte ci cibiamo.
L'acqua è una risorsa preziosa che può essere facilmente inquinata e la contaminazione viene trasferita ai nostri organismi, con grave danno per la  nostra salute. Le acque inquinate da sostanze chimiche come metalli pesanti, piombo, mercurio, pesticidi e idrocarburi possono causare malattie ormonali e problemi riproduttivi, danni al sistema nervoso, al fegato e ai reni fino a essere causa di insorgenza di neoplasie, per citarne solo alcune. Essere esposti al mercurio provoca il morbo di Parkinson, malattie cardiache, può favorire  l'Alzheimer fino ad essere causa di morte.
Sono trascorsi decenni da quando siamo divenuti tutti consapevoli che il nostro pianeta è assimilabile ad una navicella spaziale in cui le risorse sono limitate. Terminate quelle, alterato l'ambiente in cui gli occupanti sono costretti loro malgrado a vivere non rimangono, come è facilmente intuibile, alternative  alla sopravvivenza.
Viviamo in un ecosistema in cui una singola azione potenzialmente può causare gravi danni. Ma sappiamo anche che una singola azione positiva può essere vantaggiosa per molti. I nostri errori hanno  inquinato l'ambiente in cui viviamo; stiamo cercando di correre ai ripari, ma quanto si sta facendo, talvolta, offre l'immagine di provvedimenti solo palliativi.
E' necessario cominciare a pensare seriamente di studiare in quale modo ci possiamo liberare dall'eccessivo consumo degli idrocarburi.
Il modo esiste, e non si tratta di ipotesi campate in aria o fantascienza, è realtà. Sta diventando obbligatorio pensare di attrezzare le città verso un maggior utilizzo dell'elettricità autoprodotta. Pannelli solari e pale eoliche possono permettere un apporto energetico capace di abbattere in maniera considerevole l'utilizzo degli idrocarburi, con grande rispetto dell'ambiente. Siccome un tale cambiamento richiede tempi lunghi, sarebbe ora di cominciare a pensare come organizzare le indispensabili modifiche, pianificandone uno studio serio gestito da esperti del settore........

Per chi ha il potere di decidere sarebbe sufficiente cominciare; si noterebbe la reale volontà di cambiare qualcosa in questo sistema malato, che si sta rapidamente deteriorando....

teslaNicolas Tesla fin dagli anni 20 del secolo scorso sosteneva, inascoltato e deriso, la possibilità di ottenere una notevole quantità di energia che avrebbe permesso all'umanità di muoversi senza inquinare, a costi praticamente nulli.  Purtroppo i metodi da lui indicati, come è ovvio,non avrebbero prodotto reddito.