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31 luglio 2015

La Repubblica:Tirreno Power e veleni a Savona La Perizia di Arpal

 Su "La Repubblica di oggi 31 luglio 2015"
Tirreno Power e veleni a Savona
La Perizia di Arpal

Secondo lo studio dell' Agenzie per L' Ambiente la centrale contribuiva per i 3/5

 Dal post del 13 marzo 2015

TP CHIUSA ,L'ARIA e' MIGLIORATA MA....... 
Tratto da Uomini Liberi 

TP CHIUSA
L'aria è migliorata ma...


Non riescono a dichiarare che con la Centrale chiusa l’aria è migliorata, gli si blocca la lingua, sono costretti ad ammetterlo, ma devono aggiungere qualcosa che minimizzi la notizia, come ha fatto oggi il direttore dell’Arpal che ha aggiunto.... «Ma ha piovuto molto».

Riportiamo il post del  26 settembre 2014.

ARPAL : ARIA PIU' PULITA CON LA CENTRALE CHIUSA
Immagine tratta da Il Secolo XIX da pag 15 del 9 settemre 2014.
Tratto da "Il Secolo XIX "


Vado Ligure (Savona) - Nei cinque mesi di chiusura degli impianti di Tirreno Power, da marzo ad agosto, l’inquinamento nei territori interessati del savonese è diminuito. 
Lo dicono gli ultimi rilevamenti provinciali dell’Arpal che mettono in evidenza un calo in percentuale nell’ambiente dell’anidride solforosa, la So2, derivante dalla presenza di zolfo nel carbone.
I numeri sono ufficiali e, con l’autorizzazione della Regione, verranno diffusi nei prossimi giorni, ma il direttore del dipartimento Arpal di Savona, Gino Vestri,
 ha anticipato il concetto di base:
l’inquinamento è diminuito
Un risultato che va contro tutti quelli – peraltro numerosi - che sostenevano una situazione immutata, pur a seguito della chiusura degli impianti. Oggi, invece, dall’Azienda regionale per  l’ambiente, arriva la smentita con l’obiettività dei rilevamenti. 
Anche se, ribadisce Vestri, è necessario fare le dovute precisazioni che, tuttavia, sembrano rafforzare la tesi del decremento di So2. «È necessario – dice il direttore del dipartimento – ricordare che il periodo di osservazione tra la chiusura degli impianti e la data di osservazione, agosto, è troppo breve e non sufficiente per una valutazione. La normativa, infatti, prevede che la valutazione venga effettuata sui rilevamenti di almeno un anno».
Anche le centraline non sorgono nei punti cruciali.
«La rete di rilevamento – continua Vestri – ha una collocazione non specificamente mirata al monitoraggio della Centrale: si tratta, infatti, di centraline che erano state poste prima dei tempi sospetti, mirate soprattutto a controllare la situazione dell’aria nelle zone a maggior densità di popolazione. Una, ad esempio, si trova nel centro di Vado, area che, si è visto, non risultava particolarmente colpita dai fumi dell’azienda in questione».
Detto questoresta il fatto che lo stop della Tirreno Power sta dando i suoi effetti, messi in evidenza da una rete di rilevamento pur non mirata e posta nelle zone dove maggiori sono stati gli effetti individuati legati a Tirreno Power.
«A fronte di tutto quanto premesso – dice Vestri – quello che osserviamo è un leggero calo della concentrazione di Anidride solforosa. Il tutto in un periodo di tempo assai limitato. Questo ci permette di dire che la tendenza ad oggi registrata è quella a una diminuzione dell’inquinamento». Affermazioni ponderate, quelle del direttore di dipartimento, che tuttavia permettono di individuare una direzione ben precisa in cui si dà ragione a coloro che sostenevano il decremento dell’inquinamento con la chiusura degli impianti.
 La direzione dei rilevamenti Arpal, ad oggi, avvalora la via del minor inquinamento a motori spenti costringendo tutti a una riflessione. In primis l’azienda che dovrà valutare e dovrà mettere in conto, ormai al sesto mese di blocco degli impianti, le conseguenze reali registrate dalle centraline.
______________________

 Post del 15 Luglio 2014
Centrale a carbone, l’Ordine dei Medici di Savona : “Meno inquinamento con la chiusura degli impianti” 

Tratto da IVG

Centrale a carbone, l’Ordine dei Medici: “Meno inquinamento con la chiusura degli impianti”


Savona. “Ci sono dati contrastanti e spesso si crea confusione. Noi come Ordine dei Medici abbiamo fornito un quadro informativo chiaro che possa dimensionare l’incidenza del carbone sulla salute e la qualità dell’aria, che non lascia dubbi: i numeri parlano chiaro”. 
Lo ha detto questa mattina il presidente dell’Ordine dei Medici Ugo Trucco durante il convegno in corso al Priamar di Savona sull’impatto del carbone per la salute e la funzione sociale del medico.

E il presidente dell’Ordine dei Medici chiarisce: “Con la centrale spenta le sostanze inquinanti si sono ridotte e certamente i quattro mesi di tempo presi in esame dalle centraline Arpal di Vado e Quiliano non sono sufficienti per avere una visione scientifica della situazione. L’eccesso di mortalità nel comprensorio c’è e non si può negare, lo abbiamo sempre evidenziato nelle nostre relazioni scientifiche. E, inoltre, si sono state violazioni nelle procedure per le necessarie autorizzazioni della centrale che ne hanno determinato lo stop produttivo”.
Quanto alle ripercussioni occupazionali provocate dalla chiusura della centrale a carbone di Vado così come sul delicato tema salute-lavoro, ecco la posizione dei medici savonesi: “Il lavoro non è legato agli ambientalisti che vogliono chiudere con la centrale. E’ legato scelte miopi di carattere politico e industriale degli ultimi anni. 

                            Dal post del 13 marzo 2015
Tratto da Ninin

Ecoway: Il 91,2% dell’inquinamento ligure è prodotto dalle "utilities" (leggi centrali elettriche)


.......Risulta evidente come la presenza di centrali elettriche a carbone contribuisca in modo determinante all’aumento dell’inquinamento massivo. 
Il Rapporto Ecoway lo conferma: La graduatoria ligure delle emissioni vede al primo posto il settore industriale delle utilities (produzione di energia) con il 91,2% delle emissioni totali, seguito da raffinazione (3,2%), vetro (2,5%), altro (2,2%), metallurgia (0,6%), carta (0,2 %), laterizi e ceramiche (0,02%), cementifici (0% circa)”

Patrizia Gentilini ,Roberto Gava :Conoscere e prevenire le patologie cardiovascolari e il cancro.

Conoscere e prevenire le patologie cardiovascolari e il cancro: una proposta di cammino insieme




cuore
Le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Italia
Le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Italia, eppure i dati epidemiologici di cui disponiamo sono stupefacenti: la maggior parte delle patologie metaboliche e cardiovascolari sarebbe evitabile se adottassimo una corretta igiene di vita e migliorassimo l’ambiente in cui viviamo, perché queste patologie dipendono sia dai nostri comportamenti individuali (per esempio alimentazione scorretta, obesità, abitudine al fumo, sedentarietà, stress), sia dall’ambiente in cui viviamo (specialmente dalla qualità dell’aria che respiriamo, ma anche dall’inquinamento dell’acqua che beviamo e degli alimenti che mangiamo).

Fattori eziologici modificabili e non modificabili dal singolo soggetto
A livello cardiovascolare, in genere, tutto inizia con un semplice sovrappeso corporeo a cui possono seguire un aumento del colesterolo plasmatico e/o della glicemia e poi anche della pressione arteriosa............

Oltre a questi fattori eziologici modificabili su base individuale, oggi si sta invece inserendo in modo sempre più preponderante il ruolo di molti fattori non modificabili dalla singola persona. Un importante esempio è quello del Particolato Atmosferico (PM, dall’inglese Particulate Matter), ovvero di quell’insieme di particelle presenti nell'aria che respiriamo e che ormai sappiamo essere tanto più pericolose quanto più sono piccole. Col termine PM10 si indicano le particelle con diametro inferiore a 10 micron (particelle inalabili che in genere si fermano nelle prime vie respiratorie o nei bronchi più grandi), mentre con la sigla PM2,5 si indicano le particelle con diametro inferiore a 2,5 micron (particelle respirabili o fini che penetrano sino agli alveoli polmonari). 

Ancora più piccole e pericolose sono le Particelle Ultra Fini (UFP) - di dimensioni simili a quelle dei virus – che una volta inalate sono in grado di passare nel sangue polmonare e giungere in ogni distretto dell’organismo. Queste particelle possono essere di origine naturale (ceneri vulcaniche, sabbie del deserto, aerosol marino), ma più spesso originano dalle attività umane, in particolare dai processi di combustione per trasporti, produzioni industriali e incenerimento di rifiuti. I rischi per la salute umana si verificano sia a breve termine con aumento di eventi ischemici e respiratori, sia a lungo termine con aumento del rischio di cancro al polmone. È ormai assodato che per ogni incremento di 10 microgrammi/m3 di PM2.5, nella popolazione esposta vi sia un incremento del rischio:
- del 6% di morte per ogni causa,
- del 12% per le malattie cardiovascolari,
- del 14% per il cancro del polmone.


L’ultimo Rapporto dell’UE sulla qualità dell’aria in Europa ha stimato che nel nostro Paese vi siano ogni anno ben 65.000 morti premature per esposizione al PM2,5. L’Italia è al 2° posto dopo la Germania e prima della Polonia per numero di morti premature per PM2,5 e in soli questi tre Paesi (Germania, Italia e Polonia), si registra ben il 39% di tutte le morti europee annue (458.000) attribuibili al PM2,5. ........

L’inquinamento dell’aria influenza tutte le patologie moderne


In realtà, se è vero che l’inquinamento dell’aria comporta patologie cardiovascolari, respiratorie ed è stato riconosciuto dalla IARC nell’ottobre 2013 come un fattore cancerogeno certo per il polmone e la vescica, non va dimenticato che l’ambiente nella sua accezione più ampia (considerando l’inquinamento di aria, acqua e cibo da parte di pesticidi, interferenti endocrini, metalli pesanti, particolato ultrafine, ecc.) entra in gioco in tutte le patologie moderne che oggi affliggono i Paesi industrializzati, e va ricordato che sono purtroppo soprattutto i bambini a pagarne le conseguenze più gravi, sia perché alcuni organi e apparati sono ancora immaturi.

.....A questo proposito l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che globalmente nel mondo il 25% delle malattie dell’adulto e ben  il 33% delle malattie nei bambini sia dovuto a cause ambientali evitabili.

Le persone devono acquisire la consapevolezza che le centinaia e centinaia di sostanze chimiche estranee presenti nell’ambiente entrano - attraverso l’acqua, l’aria, il cibo e la nostra stessa pelle - all’interno del nostro corpo alterando la corretta funzione dei nostri organi e causando malattie.

Purtroppo, queste sostanze estranee tossiche e cancerogene, presenti nel corpo della madre, arrivano anche all’embrione e al feto durante la gestazione, nel momento quindi più delicato dello sviluppo e possono compromettere non solo la salute nell’infanzia, ma anche porre le basi di patologie che si verificheranno nella vita adulta. Le condizioni tossicologiche ambientali sono oltre l’immaginabile e stanno raggiungendo i limiti massimi di sopportazione del nostro organismo. La gente comune non è assolutamente cosciente di questa gravità, perché sono ancora troppo pochi i medici che ci informano sulla realtà attuale per farci crescere in conoscenza e in consapevolezza in modo da permetterci di prendere adeguati e salutari provvedimenti.

......Anche a livello oncologico, ricorriamo a interventi chirurgici, chemioterapie, radioterapie e a numerosi approcci terapeutici sintomatici, ma anche questo non è un trattamento eziologico risolutivo, perché non colpisce la causa prima della formazione del tumore: eliminare tutte le cellule tumorali è certamente un ottimo obiettivo, quando possibile, ma non esclude che lo stesso soggetto non ricada con un altro cancro. 

A livello di salute pubblica, poi, ancor più raramente si adottano politiche volte a ridurre la produzione, e di conseguenza l’esposizione, alle sostanze tossiche e cancerogene, anche se sappiamo tutti che questi interventi sarebbero i soli in grado di ridurre il rischio di ammalarsi e di tutelare quindi la salute della popolazione. Pensiamo al ritardo anche di decenni che è stato necessario per riconoscere la tossicità del fumo di tabacco, dell’amianto, del piombo, dei PCB (PoliCloroBifenili), dei pesticidi … e l’elenco potrebbe continuare a lungo.


Viene allora da chiedersi: perché il nostro Governo non interviene? Mancano le conoscenze, le possibilità attuative o la volontà politica?

A questa domanda ha già brillantemente risposto nel secolo scorso un grande scienziato italiano, Lorenzo Tomatis, medico che ha posto le basi della cancerogenesi e Direttore dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC): “La Prevenzione Primaria tutela la salute e protegge il ricco come il povero, ma non porta fama, onori o denari ed è purtroppo negletta ai Governi e alle Istituzioni”
D’altra parte, non possiamo pensare che questa triste realtà sia cambiata ai giorni nostri e la salute umana - anche se a parole tutti dicono di volerla difendere - non è quasi mai un fattore di cui si tiene adeguatamente conto da parte di chi ci governa.
Nell’attesa di una salvaguardia da parte delle Istituzioni, dobbiamo intervenire a livello personale...


Per fare questo però, noi dobbiamo fare un cammino di consapevolezza: 
1) dobbiamo prendere coscienza che la Medicina Farmacologica è prevalentemente sintomatica; 
2) dobbiamo agire prima che la malattia si manifesti intervenendo con una vera Medicina Preventiva (che va nettamente differenziata dagli attuali interventi di Diagnosi Precoce); 
3) nel caso la patologia si sia già manifestata, dobbiamo chiederci cosa l’ha causata; 
4) nella fase di remissione, quando la patologia acuta è adeguatamente controllata, dobbiamo agire per cambiare la predisposizione a ripetere eventi patologici simili o per evitare che si instauri una cronicizzazione.

Affinché quest’ultimo punto venga adeguatamente soddisfatto, la persona deve però impegnarsi su due fronti parimente importanti: 
1) il fronte personale, che implica una correzione delle nostre abitudini sbagliate e l’impostazione di una corretta igiene di vita a 360 gradi; 
2) il fronte sociale, che implica un impegno a migliorare la nostra società, sia testimoniando le nostre convinzioni e il nostro personale cambiamento migliorativo, sia impegnandoci attivamente affinché gli errori sociali vengano individuati e corretti. 
È vero che ognuno di noi, singolarmente, può fare poco per cambiare la società attuale, ma se nessuno agisce, nulla mai cambierà. Madre Teresa era solita dire: “Ognuno di noi è come una goccia, ma se noi non la mettiamo, il mare sarà più povero”.
Occorre poi ricordare che sono attivi, nel nostro come in altri Paesi, aggregazioni di cittadini, sotto forma di Movimenti e Comitati, impegnate tanto per contrastare specifiche fonti di inquinamento quanto per informare la popolazione sui rischi per l’ambiente e la salute che tali fonti comportano. 
Unendo fra loro tante singole gocce è possibile aumentare la loro forza: può così accadere - ed è accaduto - che le Istituzioni locali siano state costrette a rivedere le loro scelte sotto la pressione dei cittadini organizzati, la cui azione è andata a beneficio della salute e del benessere di tutti.

Ognuno di noi è responsabile, sia per se stesso, sia per gli altri

Oggi si parla tanto di prevenire le malattie, ma nella realtà pratica sono pochissimi quelli che fanno qualcosa di concreto, sia a livello istituzionale, sia a livello del singolo medico, sia a livello di singola persona.
Eppure sono molti i consigli pratici che possiamo conoscere per non ammalarci e per sviluppare le nostre meravigliose potenzialità personali.
Non possiamo aspettare di ammalarci gravemente per fare qualcosa. L’informazione e l’acquisizione di sempre nuove conoscenze sanitarie oggi sono non solo un diritto, ma anche un dovere di ogni persona, sia per migliorare la propria esistenza, sia per rendere più vivibile e felice quella delle generazioni future. 

Rivolgendo il pensiero proprio alle future generazioni o, più concretamente, ai nostri figli e ai nostri nipoti, dobbiamo domandarci quale mondo stiamo consegnando loro e impegnarci di conseguenza per rendere più vivibile il pianeta in cui viviamo.
Infatti, come dice Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato sì, dobbiamo tutti collaborare “per difendere la nostra Casa Comune”.

Non possiamo cullarci nell’illusione che i cambiamenti calino spontaneamente dall’alto: oltre quindi a cercare di difendere singolarmente la nostra salute, collaboriamo attivamente con quanti già si adoperano per difendere il proprio ambiente di vita, vuoi con azioni concrete, vuoi con la diffusione delle informazioni sui rischi per la salute derivanti dall’inquinamento ambientale oltre che da errate abitudini personali e sociali.

Un primo passo concreto …

Il 17 ottobre 2015, noi abbiamo organizzato un Convegno pubblico che ha per tema il titolo di questo stesso articolo....
Qui l'articolo integrale               29/07/2015

Banca Mondiale :"L’utilizzo continuo del carbone è un fardello economico considerevole ...ha un impatto nefasto sulla salute ed accelera il cambiamento climatico....«Il carbone è un fattore di povertà e non una soluzione.»

Tratto da QualEnergia


Carbone, per la Banca mondiale non serve a lottare contro la povertà

«I suoi costi sociali sono innumerevoli e pericolosi, puntare su energie pulite»
[30 luglio 2015]
Carbone
Rachel Kyte, vice-presidente ed inviata speciale per il cambiamento climatico della Banca mondiale, ha attaccato le compagnie carbonifere, petrolifere e gasiere ricordando che «L’utilizzo continuo del carbone è un fardello economico considerevole per alcuni dei Paesi più poveri del mondo, ha un impatto nefasto sulla salute ed accelera il cambiamento climatico, che a sua volta aggrava ancora di più le difficoltà dei Paesi in via di sviluppo».
Intervenendo a Washington ad un’iniziativa organizzata da New Republic e dal Centre for American Progress , la Kyte ha detto che «In generale, globalmente bisogna smettere di utilizzare il carbone. Il carbone ha un costo sociale enorme, così come gli altri combustibili fossili che ci impediscono di respirare aria pulita».
Un vero è proprio schiaffo in faccia alle Big Oil ed ai King Coal che dicono che solo i combustibili fossili possono ridurre la povertà energetica che rappresenta un handicap sociale ed economico per i Paesi in via di sviluppo.
La Kyte ha ribattuto che «Il carbone è un fattore di povertà e non una soluzione. Pensate che il carbone sia un rimedio contro la povertà? Oggi, più di un miliardo di persone non hanno accesso all’energia».
Fornire elettricità prodotta con il carbone a tutti questi esseri umani distruggerebbe il pianeta, ma anche se così non fosse non sarebbe una buona idea: «Se domani avessero tutti accesso all’elettricità da carbone, il livello di malattie salirebbe alle stelle, ecc, ecc […] Dobbiamo migliorare l’accesso all’energia dobbiamo farlo nella maniera più pulita possibile, perché i costi sociali del carbone sono innumerevoli e pericolosi, proprio come le emissioni».
Secondo la Banca mondiale il cambiamento climatico sta mettendo a rischio 30 anni di sviluppo globale, per questo chiede con forza che la Conferenza delle parti Unfccc di Parigi raggiunga un accordo per mantenere la crescita delle temperature entro i 2 gradi centigradi. La Kyte però evidenzia che «Nemmeno un accordo di questo tipo permetterebbe di evitare le gravi conseguenze che dovranno affrontare alcuni Paesi tra i più poveri del mondo. 2 gradi non sono niente. E’ il limite che dobbiamo darci»....
Su  QualEnergia l'articolo integrale

30 luglio 2015

Qualenergia :segnali di fuga dal carbone

Tratto da QUALENERGIA

Segnali di fuga dal carbone

Anche se gli investimenti globali del sistema bancario nel carbone rimangono stabili, alcuni segnali sembrano delineare una fuga da questa inquinante fonte fossile. Anche le numerose campagne "no coal" in atto nel mondo potrebbero rafforzare questa tendenza. Un articolo di Giuseppe Onufrio di Greenpeace pubblicato sull'ultimo numero della rivista bimestrale QualEnergia.
Nel rapporto The end of Coal, elaborato per conto di Sierra Club, Rainforest Action Network e BanckTrack (2015), si delineano le tendenze in atto in un settore energetico chiave per la lotta ai cambiamenti climatici. Il sistema bancario globale nel 2014 ha investito 69,6 miliardi di dollari nell’estrazione del carbone (un dato in crescita rispetto ai 55,3 dell’anno prima), mentre gli investimenti nelle più grandi aziende elettriche che utilizzano il carbone erano in discesa a 74,4 miliardi di dollari rispetto agli 89,6 dell’anno precedente.
Se dunque, nel complesso, gli investimenti globali del sistema bancario nelle attività legate al carbone rimangono stabili, una serie di fatti nuovi è emersa nel corso del 2014 indicando una tendenza che lascia intravedere un declino degli investimenti in questa fonte. Non è chiaro, conclude il rapporto, se questo declino sia abbastanza rapido da avere un sufficiente impatto nella riduzione delle emissioni. La tendenza registrata dal rapporto è continuata anche nel 2015, come vedremo di seguito.
Disinvestire dal carbone
Negli ultimi anni una campagna internazionale per chiedere di disinvestire dal carbone e dalle fonti fossili si è sviluppata sotto l’impulso di associazioni come 350.org e testate come The Guardian.
Il Pension Fund Global norvegese - il più grande fondo pensione del mondo con circa 900 miliardi di dollari investiti – aveva introdotto un anno fa criteri di investimento per escludere alcune attività legate al carbone, escludendo oltre una cinquantina di aziende (vedi link). In queste settimane un voto trasversale del Parlamento norvegese ha approvato una raccomandazione di disinvestire da tutte le aziende che ricavano oltre il 30% da attività legate al carbone. Questa era la principale richiesta della campagna, non l’unica, ma che da sola porterà a disinvestire una cifra di circa7,7 miliardi di euro da 122 aziende che operano nel settore carbone (Fonte: Urgewald, Greenpeace Norvegia, Future in Our Hands).
In Italia, l’unica azienda che ha attività collegate al carbone e su cui il fondo norvegese ha investito oltre 5 miliardi di corone è Enel. «Se tre anni fa ci avessero detto che il più grande fondo pensioni avrebbe disinvestito dal carbone, ci saremmo messi a ridere», ha dichiarato Bill McKibben, leader ambientalista e co-fondatore di 350.org, l’organizzazione che ha lanciato la campagna.
Assieme alla recente decisione della compagnia assicurativa AXA di disinvestire 500 milioni di dollari dal carbone e di investire 3 miliardi di dollari in rinnovabili, e altre decisioni dello stesso segno da parte dell’Università di Oxford e della Chiesa d’Inghilterra, le brutte notizie per il settore del carbone, lungi dall’essere finite, sono solo all’inizio.
Infatti, segnali come questo, avvenuto peraltro a seguito di una campagna che va montando in diversi Paesi e che non ha fatto che accelerare una linea già in atto, possono effettivamente tradursi in un effetto domino e cioè una progressiva fuga “finanziaria” dal carbone.
Certo, che a muoversi sia il fondo norvegese che raccoglie comunque proventi petroliferi, può sembrare una contraddizione, ma a ben vedere non lo è. L’effetto netto è quello di spostare gli investimenti in fonti rinnovabili o in settori green: dalle liste negative (esclusioni dagli investimenti) il passaggio a quelle positive (priorità d’investimento) è possibile ed è già in atto.
Nel suo rapporto di sostenibilità 2013, la Banca olandese ING (ING Group Sustainability Report, 2013) riporta gli incontri con una coalizione di associazioni sul tema di investimenti legati al carbone e la decisione di disinvestire progressivamente dal carbone per investire in rinnovabili (e in particolare si riportano progetti finanziati in Germania, Italia e Scozia).
Un’evoluzione del “portafoglio” energetico per il settore delle aziende elettriche e delle rinnovabili della Banca mostra come dal 2008 al 2013 gli investimenti nel carbone siano scesi da quasi il 20 al 13%, mentre le rinnovabili nello stesso periodo passano da circa il 20 al 39%, e il gas mostra una flessione da quasi il 60 al 48%. Il Fondo dei fratelli Rockfeller, eredi della dinastia petrolifera proprietaria della Exxon, che amministra circa 860 milioni di dollari, annunciava nel settembre 2014 di voler disinvestire da ogni attività relativa ai combustibili fossili che rappresentavano circa il 7% del proprio portafoglio.
Per quanto i fondi disinvestiti siano limitati, l’annuncio ha avuto una grande eco e ha dato una grande visibilità alla campagna internazionale. La Chiesa d’Inghilterra, che ha fondi d’investimento per 9 miliardi di sterline, ha annunciato lo scorso aprile che disinvestirà da aziende i cui proventi dovuti all’estrazione di carbone da vapore o di petrolio dagli scisti bituminosi siano superiori al 10%. Una scelta dello stesso segno è stata fatta dall’Università di Oxford che ha deciso lo scorso maggio di escludere futuri investimenti del suo fondo multimiliardario sia nel carbone che negli scisti bituminosi, rifiutando però la richiesta avanzata da un movimento tra i suoi stessi studenti, di azzerare ogni investimento fossile (notizia riportata dal The Guardian, ndr).
Queste decisioni, prese da soggetti di grande visibilità, non sono che quelle più rilevanti e fanno parte di una vera e propria escalation di cui dà conto l’associazione internazionale BankTrack. Solo nei primi sei mesi del 2014, infatti, molte sono state le operazioni di disinvestimento dal carbone e dalle fossili: a gennaio Goldman Sachsritira un finanziamento per il terminale carbonifero a Cherry Point nella West Coast americana, a marzo IFC ed EBRD cancellano un investimento nella raffineria SOCAR e nel progetto associato di centrale a carbone in Turchia, a maggio l’Università di Stanford annuncia che non investirà più i propri fondi in circa 100 aziende che hanno come attività principale l’estrazione di carbone, tra maggio e giugno quattro importanti gruppi bancari – Deutsche Bank, HSBC, RBS e Barclays – annunciavano che non avrebbero finanziato l’espansione del porto carbonifero di Abbott Point in Australia.
L’analisi del consumo di carbone in Cina relativa ai primi 4 mesi del 2015 mostra una riduzione dell’8% rispetto allo stesso periodo del 2014, con una riduzione relativa delle importazioni di carbone di quasi il 38%, una tendenza che potrebbe avere un significato strutturale. Nel complesso, le emissioni di CO2 della Cina nel primo quadrimestre del 2015 sarebbero scese del 5%.CONTINUA A LEGGERE QUI

Commissione Igiene e sanità del Senato. Indagine conoscitiva sugli effetti dell’inquinamento ambientale sull’incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica

Tratto da  Tuttosanità Puglia

Commissione Igiene e sanità del Senato/Indagine conoscitiva sugli effetti dell’inquinamento ambientale sull’incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica: audizione di esperti sulle problematiche relative alla centrale Enel di Cerano (Brindisi)

Commissione Igiene e sanità del Senato
22 Luglio 2015
Indagine conoscitiva sugli effetti dell’inquinamento ambientale sull’incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica: audizione di esperti sulle problematiche relative alla centrale Enel di Cerano (Brindisi).

Dott Emilio Gianicolo
“Senatrici e sanatori buon pomeriggio e grazie per l’invito a partecipare in audizione presso questa Commissione . Il mio nome è Emilio Gianicolo. Io ho diviso il mio intervento in tre parti che attengono alle domande di ricerca di cui ci occupiamo nel contesto in cui esse sorgono ai principali filoni di indagini in cui si inseriscono le nostre ricerche e ai principali risultati , il loro grado di persuasività scientifica e alcune considerazioni conclusive che si possono ricavare dai risultati che esaminiamo. Ho depositato il testo del mio intervento considerata la necessità di comprimerlo salterò alcune parti a questo punto. 
Le domande di ricerca cui in questi anni abbiamo lavorato sono strettamente connesse al contesto di cui parliamo. Da quasi 30 anni il Ministero dell’Ambiente ha inserito il Comune di Brindisi in un’area definitiva ad elevato rischio di crisi ambientale, con l’obiettivo di porre le basi ad interventi finalizzati a prevenire ulteriori degradi del territorio e a ridurre o eliminare i fenomeni di squilibrio ambientale e di inquinamento.Da oltre 15 ann,i inoltre, Brindisi è sito di interesse nazionale per le bonifiche per motivi di ordine ambientale riconducibili all’estensione dell’area inquinata e alle caratteristiche degli inquinanti presenti nell’aria; di ordine sociale per la percezione del rischio da parte della popolazione coinvolta; di ordine sanitario per evidenze di alterazione dello stato di salute della popolazione residente nel darci nel sito di Brindisi il livello di contaminazione di suolo, sottosuolo e falde è elevato e ci sono delle aree come la discarica Micorosa diventate luoghi incompatibili con la vita . Micorosa era una laguna incontaminata che Montecatini prima e Montedison ed ENI dopo, hanno colmano negli anni con un milione e mezzo di metri cubi di scorie contenenti composti pericolosi quali tra gli altri il cloruro di vinile , il benzene e l’arsenico.....

Altreconomia : Salvare l'Ilva violando la Carta ....


Tratto da Altreconomia

Ambiente Sette gli articoli della Costituzione che sarebbero stati violati dal Governo

Salvare l'Ilva violando la Carta

Ecco perché il Giudice per le indagini preliminari di Taranto ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del cosiddetto decreto "salva Ilva", licenziato dal Governo e approvato con fiducia dal Parlamento. Una norma "improria", "approssimativa" e "grossolana" che ha bloccato il sequestro dell'altoforno Afo2, dove in giugno è morto un operaio

L'Ilva di Taranto viene prima di tutto: della sicurezza di chi ci lavora, dell'ambiente e -da qualche tempo- della Costituzione italiana. Tra la Carta e l’ultimo decreto “salva Ilva” (92/2015) del Governo ci sarebbe infatti una “siderale divergenza”.È per questo motivo che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, Martino Rosati, ha deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale del provvedimento licenziato dal Governo in fretta e furia sabato 4 luglio, cinque giorni dopo il decreto di sequestro dell’altoforno “Afo2” dell’Ilva. Lì il 12 giugno scorso era morto l’operaio Alessandro Morricella, infortunatosi -secondo l’accusa- per via della “mancata predisposizione di protezioni […] idonee a garantire l’incolumità dei lavoratori”. Non c’erano nemmeno le “strumentazioni per il prelievo della ghisa e la misurazione della relativa temperatura”.
Alla morte segue il sequestro preventivo d’urgenza. Al sequestro seguono titoli scandalizzati di alcuni quotidiani nazionali -per Il Sole 24 Ore “l’incidente mortale sul lavoro verificatosi all'Ilva di Taranto rischia di rendere ancora più complicata l'attuazione del progetto di risanamento”-. E ai titoli segue l’intervento “atecnico e approssimativo” (le parole sono del Gip Rosati) dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi. L’obiettivo dichiarato è salvaguardare l’operatività dell’Ilva.
Lo strumento prende la forma di un decreto legge, licenziato sabato 4 luglio e firmato dal Capo dello Stato Mattarella, dal premier e dai tre ministri Orlando, Guidi e Galletti.......
All’articolo 3, il decreto del governo svuota la portata d’ogni iniziativa che leda l’attività di impresa “degli stabilimenti di interesse strategico e nazionale, che possono continuare ad operare nonostante un provvedimento di sequestro anche “quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori”.

Le 14 pagine dell’atto sottoscritto dal Gip Rosati e depositato il 14 luglio scorso (qui il documento integrale dalla rivista penalecontemporaneo.it) restituiscono un’immagine drammatica e farsesca dell’azione governativa, bollata come “eccentrica”, “impropria”, dalla “irripetibile singolarità”, per certi versi “grossolana”.
Non si tratta che di un “trattamento di favore” a danno di inviolabili diritti costituzionali -eguaglianza e salute su tutti-, nell’interesse dell’azienda chiamata (per onere e non per obbligo) a redigere entro 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro un piano d’intervento senza che nessuno possa eccepirne il contenuto, o verificarne l’attuazione.
“Nulla si dice -scrive Rosati- sulla natura di tali ‘misure aggiuntive’: che quindi potrebbero essere rappresentate, in ipotesi, anche soltanto da meri cartelli di segnalazione, dispositivi di protezione individuale, prassi operative od altri strumenti (come i rudimentali ed estemporanei pannelli metallici che l'ILVA s'è affrettata a piazzare dopo la tragedia morte dell'operaio Morricella), del tutto insufficienti a garantire adeguatamente la sicurezza dei lavoratori”.
Ma l’Ilva viene prima di tutto, nonostante il Gip abbia ricordato che ”Afo2” ha “manifestato anche nei giorni seguenti pericolose disfunzioni, con massive dispersioni di materie incandescenti” e che altro non sia che “un'offesa alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana di chi vi lavora”.
Gli articoli 2, 3, 4, 32, 35, 41 e 112 della Costituzione vengono così sacrificati, in un “regime di deregolamentazione e deresponsabilizzazione” -le parole sono del professor Francesco Forzati dell’Università di Napoli- che abbraccia anche il commissario straordinario Gnudi, cui è riservata dall’inizio dell’anno (decreto 5/2015) una “area di (sostanziale) immunità penale riferita alle azioni attuative del piano previsto dall’Autorizzazione integrata ambientale Ilva del marzo 2014”.

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23 luglio 2015 - Associazione PeaceLink
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