COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE.

QUESTO BLOG UTILIZZA COOKIES ,ANCHE DI TERZE PARTI.SCORRENDO QUESTA PAGINA ,CLICCANDO SU UN LINK O PROSEGUENDO LA NAVIGAZIONE IN ALTRA MANIERA ,ACCONSENTI ALL'USO DEI COOKIES.SE VUOI SAPERNE DI PIU' O NEGARE IL CONSENSO A TUTTI O AD ALCUNI COOKIES LEGGI LA "COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE".

31 agosto 2015

L’esposizione acuta all’inquinamento ambientale aumenta il rischio di attacchi cardiaci, anche quando i livelli delle sostanze tossiche sono considerati «sicuri» secondo la legislazione europea.

Tratto da Il Corriere della sera
Giovani che rischiano l’infarto per colpa dell’inquinamento.

Secondo gli esperti della Società Europea di Cardiologia, l’inquinamento ambientale predispone alle malattie cardiovascolari allo stesso modo di fumo e ipertensione
di Adriana Bazzi

I gas inquinanti, come il biossido di azoto, fanno più male al cuore dei giovani. Le polveri sottili, tipo il Pm10, a quello degli anziani. Insomma, l’inquinamento compromette la salute di tutti, anche se in modo diverso, e oggi è considerato un fattore di rischio cardiovascolare al pari, se non peggio, di fumo, ipertensione, eccesso di colesterolo, obesità. E’ l’allarme lanciato dalla Società Europea di Cardiologia in occasione del suo congresso annuale in corso a Londra. Che ha scelto proprio il tema dell’inquinamento come leitmotif dell’anno e vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e i politici con una Giornata mondiale dedicata a questo tema che si terrà alla fine di settembre.

Tossici «tollerati»

Un primo studio, presentato al congresso, ha dimostrato che l’esposizione acuta all’inquinamento ambientale aumenta il rischio di attacchi cardiaci, anche quando i livelli delle sostanze tossiche sono considerati «sicuri» secondo la legislazione europea. Ed è uno studio belga, non a caso. Primo, perché il Belgio ha vissuto una situazione drammatica di inquinamento ambientale, negli anni Trenta. Secondo perché in Belgio esiste un sistema capillare che monitora l’inquinamento sul territorio. Terzo perché il Belgio è una nazione fortemente industrializzata. «Una delle prime descrizioni delle devastanti conseguenze dell’inquinamento ambientale – spiega Jean-Francois Argacha, cardiologo all’University Hospital di Bruxelles e autore dello studio – riguarda il nostro Paese. Negli anni Trenta, nella Meuse Valley, la combinazione dell’inquinamento, provocato dalle industrie, unito ad avverse condizioni climatiche, ha provocato la morte di 60 persone».

Relazioni pericolose

Lo studio belga ha, appunto, osservato la relazione fra l’esposizione all’inquinamento ambientale (acuta, non cronica) e la comparsa di infarti gravi (quelli dove una coronaria, una delle arterie che porta sangue al muscolo cardiaco, è completamente chiusa da un trombo) in oltre 11 mila pazienti. E ha concluso che l’esposizione acuta sia ai gas sia alle polveri sottili aumenta il rischio di malattia, con le differenze già dette fra giovani e anziani. «Perché queste differenze? – risponde Argacha – Forse perché il biossido di azoto (NO2) è legato al traffico veicolare e i giovani, per ragioni professionali, sono più esposti a questo inquinante rispetto agli anziani. Sta di fatto comunque che l’inquinamento fa male a tutte le età». Un secondo studio aggiunge molte preoccupazioni in più per quanto riguarda i danni da inquinamento.

Infiammazione

E’ stato condotto in Polonia, in due diverse aree: quella di Cracovia, una delle città più inquinate d’Europa, e quella di Lublin. «Abbiamo scoperto che i giovani di Cracovia presentano un maggior rischio cardiovascolare – conferma Krzysztof Bryniarski della Jagiellonian University di Cracovia – legato a un aumento degli indici infiammatori». Perché? Oggi si ritiene che l’infiammazione sia uno dei fattori di rischio delle malattie vascolari. Ma come si vede la presenza di infiammazione? Misurando per esempio la Pcr, proteina C reattiva nel sangue. L’inquinamento altera, appunto, questi indici infiammatori. «La sola differenza fra i giovani che vivono a Cracovia e a Lublin è proprio legata all’alterazione di questi indici infiammatori - precisa Bryniarski - Non ci sono differenze legate alla pressione arteriosa, all’attività fisica, al fumo, all’età o ad altri fattori».

Conclusioni

Allora, tre considerazioni conclusive. Primo: non ci sono solo i classici fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, fumo, colesterolo, eccetera) da prendere in considerazione quando si è di fronte alla salute del cuore. Ma anche l’inquinamento ambientale. Secondo: la genetica non è tutto. E’ vero che siamo predisposti a malattie, ma l’ambiente fa la sua parte, alla grande. Terzo: occorre ritornare all’epidemiologia (la scienza che studia come mai certi fenomeni, come appunto le malattie, si presentano in determinati ambienti) per capire che cosa succede alla nostra salute. In fondo l’origine del colera si è scoperto proprio a Londra. Grazie all’epidemiologia.

Gli alti livelli di mercurio trovati nel Grand Canyon mostrano gli effetti che il mondo industrializzato ha in ambienti come i nostri parchi nazionali.

Tratto da Blueplanetair


Alti livelli di mercurio trovati nel Grand Canyon!!! Potrebbero costituire minaccia per gli esseri viventi

Pesci, fauna selvatica e, in definitiva le persone potrebbero essere esposti a livelli pericolosi di sostanze chimiche tossiche nelle acque del fiume Colorado che scorre attraverso il Grand Canyon, secondo un nuovo studio condotto dal US Geological Survey.

Lo studio, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista scientifica Environmental Toxicology e Chimica, ha scoperto che le concentrazioni di mercurio e selenio nelle reti trofiche del Grand Canyon, le catene alimentari interconnesse che esistono all’interno di un ecosistema, hanno superato regolarmente livelli considerati soglia di rischio per il consumo di pesce e altro animali.

Ricercatori provenienti da USGS hanno esaminato sei siti distribuiti su un tratto di 250 miglia del fiume Colorado nel Grand Canyon, a valle della diga di Glen Canyon, e hanno trovato concentrazioni potenzialmente pericolose di sostanze chimiche

La presenza delle sostanze chimiche tossiche in un posto come il Grand Canyon, “uno degli ecosistemi più remoti degli Stati Uniti”, sottolinea l’USGS, mostra la vasta portata degli effetti che il mondo industrializzato ha in ambienti ancora in gran parte ben conservati come i nostri parchi nazionali.

upi
La gestione dei rischi riguardo l’esposizione del Grand Canyon a queste sostanze sarà una sfida, perché fonti e meccanismi di trasporto di mercurio e selenio si estendono ben oltre i confini Grand Canyon”, ha detto il dottor
 Walters David, un ricercatore ecologista dell’ USGS e autore principale dello studio, in un comunicato stampa.

Uno dei più importanti meccanismi di trasporto del mercurio è costituito da un tipo di alghe che si getta nel Colorado dal Lago Powell. Alghe queste, che portano elevate quantità di una forma biodisponibile di mercurio, che vengono ingerite dalle mosche, che a loro volta vengono mangiate dalle trote presenti nel fiume.

Parte di mercurio che è presente nel Grand Canyon proviene dal atmosfera, come dice lo studio, da fonti artificiali come miniere d’oro e dalle centrali elettriche a carbone, nonché in natura il mercurio che è già nell’aria. Può anche arrivare da centrali elettriche lontane come la California o addirittura in Asia, dopo essere stato alla deriva nell’atmosfera per mesi dopo che è stato emesso. Il selenio, d’altra parte, entra dell’ecosistema del grande canyon in gran parte grazie alla irrigazione di terreni ricchi di selenio nel bacino superiore del fiume Colorado, come ha dichiarato l’USGS.

L’esposizione a elevati livelli di mercurio e selenio “è stata collegata all’abbassamento del tasso di riproduttività, di crescita e sopravvivenza dei pesci e della fauna selvatica, e infine, può essere dannoso per le persone che consumano pesci e animali che lo contengono in generale, se i livelli di rischio di queste sostanze chimiche sono superati.

30 agosto 2015

Agostino di Ciaula:In nome del Popolo Italiano. Il principio di precauzione per i Giudici del Consiglio di Stato

Impatto ambientale, progetti inquinanti: il principio di precauzione per i Giudici del Consiglio di Stato


Tratto da facebook del Medico Isde Agostino di Ciaula (coordinatore del Comitato scientifico nazionale ISDE ).https://www.facebook.com/agostinodiciaula?pnref=story

Il principio di precauzione è uno degli strumenti principali da utilizzare per ogni progetto che abbia impatto incerto su ambiente e salute e per il quale sia oggettivamente difficile fornire prove certe di innocuità.

Una importante e recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 02495/2015) ribadisce ancora una volta l’utilità e l’importanza del principio di precauzione “ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa”.
Scusandomi con i giuristi per l’approssimazione della descrizione (e consigliando comunque la lettura integrale dell'atto), provo a sintetizzare
gli aspetti più rilevanti della sentenza ai fini della tutela ambientale e sanitaria delle Comunità “a rischio”.
In estrema sintesi, viene richiesta dai proponenti un’autorizzazione per concessione coltivazione idrocarburi.
Questa attività potrebbe comportare rilevanti e irreversibili conseguenze ambientali e sanitarie, ben identificate dalla Commissione VIA regionale che ha esaminato la richiesta.
A fronte dei pareri positivi espressi dai Ministeri competenti, il Comitato VIA regionale esprime invece parere negativo avvalendosi, tra le altre motivazioni, del principio di precauzione per le possibili conseguenze negative dell’opera.

Il TAR Abruzzo accoglieva parzialmente il ricorso della società proponente, tra le altre motivazioni, per il “carattere di pubblica utilità dell’attività estrattiva” e respingendo per “difetto di motivazione” il principio di precauzione, indicando però alcune “regole applicative” dello stesso, da utilizzarsi in un nuovo procedimento VIA. Tra le “regole” era previsto che il proponente dovesse “fornire la prova di innocuità dell’intervento da realizzarsi”. La società promuove allora successivo ricorso al Consiglio di Stato (chiedendo anche il risarcimento per “danni patiti e potenziali”), pretendendo l’autorizzazione e contestando duramente, tra le altre cose, il Comitato VIA (chiede addirittura la sostituzione dei membri con uno o più commissari ad acta) e le “regole applicative” del principio di precauzione che “si atteggerebbe come un potere di interdizione totale”, la più comune e banale delle motivazioni solitamente addotte per contestare tale principio.
La sentenza del Consiglio di Stato conferma la validità delle conclusioni del Comitato VIA e sancisce, tra l’altro, che la decisione dei ministeri e quella del comitato VIA regionale non sono in conflitto, in quanto “alle due amministrazioni fanno capo due procedimenti autonomi a tutela di interessi distinti e non conflittuali”.                   _________________________ 


Ma l’aspetto più rilevante è che il Consiglio di Stato ribadisce la validità del ricorso al principio di precauzione sottolineando un principio fondamentale: “ il richiamato principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione.
                          _________________________

L’applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali (cfr., ex multi, Cons.Stato Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525)”.

L’importanza di questa sentenza sta nel ribadire ancora una volta, pur se indirettamente, la rilevanza del concetto di PREVENZIONE PRIMARIA DEL DANNO. Troppo spesso, infatti, le Comunità si trovano di fronte alla necessità di quantificare dal punto di vista epidemiologico danni irreversibili che sarebbero stati evitabili semplicemente con il ricorso a tecniche di epidemiologia predittiva e di analisi del rischio
In altri termini, troppo spesso si arriva troppo tardi, semplicemente perché si è ignorata la disponibilità di importanti e validati strumenti di previsione del danno, di solito proprio per la fatidica definizione di “carattere di pubblica utilità” attribuita ai progetti e brandita come se fosse un lasciapassare universalmente valido. 

Ho già avuto modo di ricordare in altre occasioni che, dal punto di vista scientifico, non abbiamo bisogno di ulteriori dimostrazioni per affermare che l’ambiente è uno dei determinanti fondamentali della salute umana e che la qualità di entrambi dipende fortemente dalle scelte politiche che li coinvolgono.
                      ________________________

Troppo spesso la politica dimentica questo semplice assunto e per fortuna, in casi come quello descritto, arrivano i giudici a ricordarlo, IN NOME DEL POPOLO ITALIANO, alle Comunità e a chi, negli enti pubblici, gestisce iter autorizzativi dai quali può dipendere il futuro della propria Comunità.


PUGLIA, INQUINAMENTO E TUMORI: LA TRISTE STORIA.

Tratto  da nel mese .it

PUGLIA, INQUINAMENTO E TUMORI: LA TRISTE  STORIA INFINITA

Circa 300 bambini delle scuole primarie del Salento saranno sottoposti a test per verificare la presenza nel sangue e nelle urine di metalli dalle proprietà neurotossiche e di inquinanti organici. Si chiama progetto Jonico-salentino, ed è  l’iniziativa della Regione Puglia che ha assegnato 350mila euro alla provincia di Lecce per monitorare l’esposizione agli agenti inquinanti dei bambini in ambiente scolastico. Questa iniziativa serve anche a monitorare la zona salentina colpita dal così detto “paradosso di Lecce”, ossia un’ elevata mortalità a causa di tumori provocati dall’inquinamento, nonostante la zona non sia tra le province più “calde” della nostra regione, da sempre al centro di numerosi scandali che connettono una disastrosa gestione dell’ambiente con un altro disastroso livello di incidenza di tumori.
Se si analizza il Registro Tumori Puglia, la raccolta dati sullo sviluppo di tutti i tipi di cancro utilizzato anche dalle ASL, si può notare come vi sia una stretta correlazione tra l’inquinamento industriale e l’aumento di tumori in particolari aree della regione Puglia, la quale risulta essere una delle regioni con il più alto tasso di inquinamento dell’aria, nonostante le norme sulle emissioni siamo più stringenti rispetto al resto del paese.
TARANTO- Al primo posto, senza troppo stupore, c’è la provincia di Taranto, con ben il 54% della popolazione tra gli zero e i 14 anni che sviluppa in particolar modo tumori al polmone, alla pleura, malattie respiratorie acute e croniche, mentre negli adulti si registra una particolare incidenza di tumori allo stomaco, al fegato, alla mammella. Sono aumentati del 100% i casi mesotelioma e tumore al rene, del 50% i tumori al polmone, del 40% il tumori al fegato.
I casi di persone che contraggono il cancro sono raddoppiati nell’arco di 10 anni e particolarmente circoscritti a determinate zone della città, come il noto quartiere Tamburi.
Non si hanno dubbi nel connettere questo disastroso quadro sanitario all’inquinamento industriale della zona, in particolar modo a quello prodotto dall’ Ilva. Le polveri inquinanti si raccolgono con la calamita, e non si stupisce che i tarantini costretti a mangiare pane e polvere si ammalino con questa frequenza di tumore.
BRINDISI- A Brindisi ci sono troppi tumori, e a confermarlo è il Cnr, il quale riporta un eccesso di casi di cancro alla pleura, alla laringe, al polmone e evidenzia la presenza di malattie croniche di tipo respiratorio. L’incidenza per linfoma di Hodgkin in provincia di Brindisi supera  la media nazionale e vi è un aumento di incidenza per leucemia mieloide nelle donne del 75% rispetto al resto d’Italia. Una delle principali cause è la presenza di biossido di zolfo nell’aria proveniente dalla inquinatissima zona industriale e dal porto. Il gruppo No carbone, attivo nella città, si scaglia principalmente contro la centrale a carbone di Cerano presente sul territorio brindisino che ha portato un’impennata di casi di tumore ai polmoni sopratutto nei bambini, rovinando la qualità dell’aria e compromettendo anche l’agricoltura delle zone circostanti alla centrale.
La centrale di Cerano è al diciottesimo posto in Europa nella classifica delle industrie pesanti per livello di emissioni inquinanti prodotte, 34 posizioni prima dell’ Ilva.  Confrontando i livelli di emissioni di biossido di zolfo e anidride carbonica tra le due centrali sembra che la centrale brindisina produca una quantità di inquinanti dell’aria molto maggiore rispetto all’acciaieria di Taranto, che invece supera Cerano per livelli di particolato ( le poveri sottili).
Leggi l'articolo integrale su NEL MESE .IT

28 agosto 2015

Patrizia Gentilini :Autismo e qualità dell’aria: i dati allarmanti caduti nel vuoto

A questo proposito vorrei ricordare l’appello lanciato il 7 nov. 2006 dalla Harvard School of Public Health intitolato:
“Una pandemia silenziosa, sostanze chimiche industriali stanno danneggiando lo sviluppo del cervello dei bambini in tutto il mondo”.

Tratto da Il Fatto Quotidiano del 4 aprile 2015

Autismo e qualità dell’aria: i dati allarmanti caduti nel vuoto

Si è celebrata il 2 aprile,  anche nel nostro paese, la giornata mondiale sull’autismo, patologia in costante crescita in tutto il mondo e che negli Stati Uniti colpisce ormai un bambino su 68. Sono stati liberati palloncini blu, di blu sono stati illuminati monumenti, si sono fatti discorsi e cerimonie, ma in realtà cosa sappiamo di questa patologia fino a pochi decenni fa indubbiamente molto più rara?
In realtà più che di autismo è  corretto parlare di “disturbi dello spettro autistico” (Asd), intendendo in questo modo indicare che in ciascuna persona il quadro clinico si presenta in forme di diversa gravità. I disturbi dello spettro autistico originano da una compromissione dello sviluppo che coinvolge le capacità di comunicazione e di socializzazione; la disabilità compare in età infantile ma accompagna il soggetto per tutta la durata della vita: si tratta quindi di problematiche anche fortemente invalidanti non solo sul piano personale, ma anche familiare e sociale. Per anni gli Ads sono stati erroneamente considerati un disturbo dovuto a inadeguate relazioni nell’ambiente familiare e si sono in questo modo colpevolizzati inutilmente i genitori. Attualmente la posizione scientifica condivisa a livello internazionale considera la patologia una sindrome comportamentale associata a un disturbo dello sviluppo del cervello (alterazioni della struttura e delle funzioni nervose) e della mente (alterazioni dello sviluppo psico-cognitivo ed emozionale) con esordio nei primi tre anni di vita, che ha origine molto verosimilmente già durante la vita fetale.
Sia fattori genetici che ambientali sono oggi considerati all’origine di questa patologia. E proprio sui fattori ambientali vorrei focalizzare l’attenzione  richiamando quanto emerge da alcune recenti indagini. Intanto vi è  quasi completo accordo fra i ricercatori sul fatto che i miglioramenti diagnostici non possono spiegare compiutamente l’incremento della patologia che negli anni 70 interessava circa 4 casi ogni 10.000 bambini ed oggi negli Usa colpisce, come si è visto,  un bambino ogni 68. Per lo stesso motivo è illogico pensare che fattori genetici possano essersi modificati in modo tale da giustificare  un tale aumento nel giro di 2 generazioni. Di fatto il ruolo dei fattori ambientali nello sviluppo del cervello e delle sue funzioni appare sempre più importante: il cervello in via di sviluppo, specie durante la vita intrauterina, è un organo delicatissimo ed estremamente sensibile agli agenti tossici: è l’unico organo in cui è presente tessuto grasso e sostanze lipofile tossiche, quali ad esempio pesticidi o diossine, trovano in esso un ideale organo bersaglio. A questo proposito vorrei ricordare l’appello lanciato il 7 nov. 2006 dalla Harvard School of Public Health intitolato: “Una  pandemia silenziosa, sostanze chimiche industriali stanno danneggiando lo sviluppo del cervello dei bambini in tutto il mondo”.
Il termine pandemia stava appunto ad indicare la diffusione planetaria del fenomeno e l’aggettivo silenziosa voleva significare il fatto che spesso si tratta di disturbi che si palesano solo nel tempo in modo subdolo e progressivoL’appello accompagnava la pubblicazione su  Lancet dell’articolo “Developmental neurotoxicity of industrial chemicals” (Grandjean PLandrigan PJ, Lancet 2006 Dec 16;368(9553):2167-78), in cui si forniva un elenco di 202 sostanze chimiche note per danneggiare il cervello in via di sviluppo e fra le quali erano compresi pesticidi, solventi, metalli pesanti, diossine etc. La lista inoltre non era da ritenersi completa perché oltre 1000 sono le sostanze che hanno dimostrato una neurotossicità in esperimenti di laboratorio su animali. Secondo gli autori dell’articolo su Lancet già nel 2006 si poteva stimare che “Un bambino su sei presenterebbe danni documentabili al sistema nervoso e problemi funzionali e comportamentali, che vanno dal deficit intellettivo, alla sindrome da iperattività, all’autismo” (con costi enormi – sia detto per inciso – anche sul piano economico: si calcola che negli Stati Uniti d’America i costi per i danni neurologici da piombo nei bambini ammonterebbero a circa 43 miliardi di dollari e per quelli da mercurio a 8.7 miliardi).
Uno degli autori della ricerca, Philippe Grandjean, affermava: “ il cervello umano è un organo prezioso e vulnerabile, e poiché il suo ottimale funzionamento dipende dalla integrità dell’organo, anche un piccolo danno può avere serie conseguenze” ed ancora: “I cervelli dei nostri bambini sono la nostra più importante risorsa economica e noi non abbiamo capito quanto essi siano vulnerabili, noi dobbiamo fare della protezione dei giovani cervelli il più grande obiettivo di salute pubblica, c’è una sola occasione per sviluppare un cervello”. A questo appello indubbiamente drammatico sono seguiti numerosi altri studi che hanno evidenziato come sia soprattutto l’esposizione durante la vita fetale ad agenti tossici e inquinantia comportare le maggiori conseguenze. Numerose ricerche hanno ad esempio confermato come l’esposizione a pesticidi organofosfati in utero si associ ad  esiti negativi sulla sfera cognitiva, comportamentale, sensoriale, motoria e sul QI.
Di particolare interesse sono poi recenti studi che correlano l’inquinamento atmosferico ed in particolare il particolato Pm 2.5 all’autismo.
Da decenni è noto che l’inquinamento atmosferico contiene svariati elementi  con azione neurotossica e che induce sulle cellule umane  stress ossidativo e disfunzioni mitocondriali..........
Gli autori concludono che “l’inquinamento dell’aria è un fattore di rischio modificabile dell’autismo ed il miglioramento della qualità dell’aria potrebbe contribuire a ridurre l’incidenza dell’ Asd e ridurre in modo sostanziale i costi economici per le famiglie e la società”. Purtroppo queste informazioni, come del resto gli appelli allarmanti ed accorati di ricercatori e scienziati di indiscutibile prestigio, quali quelli della Scuola di Salute Pubblica di Harvard, non trovano mai purtroppo adeguata risonanza e mai arrivano alla ribalta dell’attenzione del grande pubblico, finendo per cadere sempre  nel vuoto.
E quando finalmente l’attenzione viene posta sugli Asd, come avviene il 2 aprile, possiamo forse accontentarci di illuminare monumenti o liberare palloncini, senza cercare di raccogliere ogni possibile indizio sulle cause, specie se modificabili, che li generano e che comportano una loro così preoccupante  e crescente incidenza?
Perché tanto miope torpore? Forse proprio perché, come ebbe ad affermare un grande pediatra statunitense nell’ottobre 2006,Bruce P. Lanphear (Children’s Environmental Health Center  U.S.A):  “A dispetto del grande affetto che noi abbiamo per i nostri bambini e della grande retorica della nostra società sul valore dell’infanzia, la società è riluttante a sviluppare quanto necessario per proteggere i bambini dai rischi ambientali”. Questo “miope torpore”  ha un prezzo inaudito e non solo per l’infanzia: l’ultimo rapporto sulla Qualità dell’Aria in Europa stima che per esposizione a Pm 2.5  si registrino ogni anno ben 65.000 morti premature nel nostro paese, secondi in Europa solo alla Germania.
Già Ippocrate aveva capito che: “L’aria è il primo alimento ed il primo medicamento”: agire con maggior determinazione per migliorarne la qualità non solo ridurrebbe i rischi di una alterazione nello sviluppo cerebrale dei nostri bambini, ma porterebbe immediati e grandi benefici a tutti noi.

Le rinnovabili abbassano il costo dell'energia elettrica in Germania buttando fuori mercato il nucleare

Tratto da Mondoelettrico

La sapete l'ultima? Le rinnovabili abbassano

 il costo dell'energia elettrica in Germania buttando fuori mercato il nucleare

Proprio così. Lo scrive Bloomberg 
 riportando una realtà che viene 
 non addirittura dalla progredita 
Germania.

Quello che si racconta nell'articolo 

di ieri 24 Agosto a firma di Rachel Morison , 
German Electricity Falls Below 30 Euros for First Time
 Since’03, riguarda i contratti di riferimento a un anno per 
l'energia elettrica tedesca che vengono fissati sotto 30 
euro a megawattora per la prima volta dall'ottobre 2003
 sotto l'influsso del crollo dei prezzi dell'energia.

I contratti sono scesi a partire da 29,99 euro alla European

 Energy Exchange (Borsa europea dell'energia), secondo
 i dati compilati da Bloomberg. dove la consegna della 
German electricity per il 2017 è calata del 2 per cento a
 29.35 euro al MWh nel trading broker, record di un
 minimo per i contratti.....
Le rinnovabili sono in crescita
La quota di energie rinnovabili sul consumo potenza 

tedesca lorda è aumentato di 2,4 punti percentuali l'anno 
scorso salendo al 27,8 per cento, come confermato dal 
Ministero dell'Economia e dell'Energia il 5 Marzo scorso,
 mentre nel 2014 il carbone, lignite e nucleare avevano 
rappresentato il 59 per cento della produzione tedesca, 
secondo AG Energiebilanzen e. V., l'associazione di 
lobby energetiche e istituti di ricerca economica.

Adesso alcune centrali a carbone e nucleari faranno 

fatica a coprire i costi fissi con prezzi dell'energia 
inferiori a 30 euro.

Quindi la Germania ha previsto di chiudere i suoi otto 

reattori nucleari ancora funzionanti entro il 2022. 
Già EON SE Grafenrheinfeld ha chiuso il suo impianto
 il 27 giugno, prima della scadenza della sua licenza di 
esercizio, a causa della redditività calante tra l'aumento 
della produzione da fonti rinnovabili e una tassa sul 
combustibile nucleare.
I prezzi dell'energia inferiori a 30 euro in Germania, a 
lungo termine "creerebbero la necessità di richiedere 
più incentivi per restare nel nucleare che mandarli in
 pensione prima degli date stabilite". Bene!

27 agosto 2015

L'incredibile decrescita di un combustibile: come si e'passati dal re carbone al carbone Killer


MINIERA DI CARBONE

Tratto da Huffingtonpost in traduzione simultanea

L'incredibile decrescita di un  combustibile: come si e'passati  dal re carbone al carbone Killer.       


In appena un decennio, il carbone è passato da re  carbone a carbone Killer. Dal combustibile  che ha alimentato  lo sviluppo di tutto il mondo ad un pericoloso minerale sporco in forte declino.
Il carbone è (un  un morto che cammina) dead man walking a causa di due ragioni fondamentali: la rivelazione del vero costo del suo inquinamento mortale e l'economia in forte espansione dell'energia pulita.

 Entrambi i motivi impattano sproporzionatamente le comunità Latino.
Secondo uno studio condotto nel 2011 da diverse università, tra cui  quella di Harvard, il costo annuo del carbone negli Stati Uniti, dall'estrazione alla combustione  e lo stoccaggio arriva sino  a $ 500 miliardi di dollari. Questo include  i costi per la salute, i costi ambientali ed economici, di cui l'industria carboniera non paga un solo centesimo.Riversa tutte quelle esternalità su  di noi,  su voi e sulla vostra famiglia.
La rivista Atlantic ha appena pubblicato un articolo  che tratta lo studio intervistando uno dei suoi autori, Jonathan Buonocore, un ricercatore di Harvard. La conclusione è che le stime di quattro anni fa, potrebbero essere superate a  breve dalla realtà. In origine, il rapporto ha indicato che i costi annuali di assistenza sanitaria del settore del carbone in tutto il mondo  hanno  quasi raggiunto  l' importo di  $ 200 miliardi di dollari.

Buonocore riconosce che nel 2011 si aveva  una conoscenza  limitata della vera portata del cambiamento climatico causato dal carbone e si è utilizzato un fattore chiave --il costo sociale dell' EPA per il  carbonio - che si è rivelato essere dolorosamente basso. In realtà, un recente studio della  Stanford University rivela  che tale costo è sei volte superiore.
 Nelle stime di Buonocore i  reali costi del carbone  sono fino a tre volte superiori rispetto alle stime iniziali, ciò  ha trasformato l'energia pulita in un'opzione molto più competitiva. Una conclusione che non è cambiata, tuttavia, è che le comunità di colore, come  i Latinos,  subiscono l'impatto sproporzionato del carbone e la crisi climatica che genera.

Un recente sondaggio di Earthjustice e  dei  Latinos ha  messo in luce  che il 78 per cento degli elettori latinos hanno sperimentato le conseguenze dei cambiamenti climatici nelle loro comunità, e che l'82 per cento sono preoccupati o molto preoccupati.
L'indagine invia un monito severo a chiunque voglia ignorare le preoccupazioni dei Latinos ,per  l'inquinamento e la crisi climatica ,per favorire invece  le grandi lobby inquinatrici. Percentuali  sempre maggiori di elettori considerano la qualità dell'acqua (90%) e la  conservazione (86%), e la riduzione dell'inquinamento atmosferico (85%) più importanti della riforma dell'immigrazione (80%).

Il futuro del carbone appare  nero  tra la mia comunità, infatti un   ampio 84 per cento degli elettori latinos sostengono che il governo americano deve sostenere  le fonti di energia pulita, come il solare e l'eolico.
E questo è esattamente ciò   che il recente Piano Clean Power dell'amministrazione Obama fa. L'iniziativa ridurrà le emissioni di carbonio del 32 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Il piano offre diverse opzioni per ogni stato per raggiungere quegli obiettivi, ma in termini generali, apre la porta all''economia dell' energia pulita per sostituire lo  carbone sporco nel nostro paese.......

La verità è il 70 per cento degli americani è convinta nel  sostenere il piano, che eviterà 3.600 morti premature, 90.000 attacchi di asma e 1.700 infarti ogni anno.
L'alternativa alla lotta contro la crisi climatica è impensabile. Secondo uno studio di Citigroup, l'inazione costerebbe la bella cifra di 44.000 miliardi $ entro il 2060.
Fortunatamente, il mondo  si sta sintonizzando sui lamenti di questo combustibile  il cui uso incredibilmente  si sta contraendo.

Javier Sierra is a Sierra Club columnist. Follow him on Twitter @javier_SC

Gianni Silvestrini:L'evoluzione del colosso cinese fulcro dell'economia e del clima mondiale.

Tratto da Qualenergia

L'evoluzione del colosso cinese fulcro dell'economia e del clima mondiale

Crollo azionario, rallentamento del Pil e calo dell’uso del carbone e delle relative emissioni di CO2 in Cina sembrano fattori scollegati, ma sono invece molto connessi tra loro. .... L'editoriale di Gianni Silvestrini.
Tutti gli occhi sono puntati sulla Cina, per la contemporanea evoluzione di tre eventi potenzialmente dirompenti: il crollo azionario, un rallentamento del Pil e il calo dell’uso del carbone e delle relative emissioni di CO2. Notizie che, a parte il segnale incoraggiante per il futuro del clima, destano forte preoccupazione per le possibili ripercussioni per l’economica mondiale, considerato che la Cina ha contribuito per il 38% alla crescita globale nel 2014. 
In realtà, a un’analisi più attenta i fenomeni risultano collegati tra loro, ma in modo inverso rispetto a quanto ci si aspetterebbe. Anzi le emissioni in calo non fanno che registrare il positivo cambiamento in atto della stessa struttura economica cinese.
Ma andiamo con ordine. Intanto, separiamo dall’analisi l’andamento delle Borse che registra il necessario assestamento di un mercato iper-gonfiato che aveva visto un aumento del 150% dei valori delle azioni nei 12 mesi precedenti il giugno 2015. Per quanto riguarda invece l’economia reale, siamo certamente in presenza di una frenata della crescita che dura da diversi anni e che dovrebbe portare ad un aumento del del Pil del 6,8% nel 2015 secondo le ultime valutazioni del FMI, ma che potrebbe anche assestarsi su valori inferiori. Questo rallentamento è legato in buona parte alla riduzione delle attività dai comparti industriali e delle costruzioni a favore dei settori dei servizi che ormai rappresentano la quota maggioritaria del Pil (48,2%). Si tratta di una dinamica favorita dal governo perchè garantisce maggiore occupazione (30% di occupati in più per unità di valore aggiunto) e consente di ridurre fortemente gli impatti ambientali.
La fabbrica del mondo guarderà più al proprio interno, per soddisfare una domanda che cresce con l’urbanizzazione, e questo dato dovrebbe smorzare le preoccupazioni del resto del mondo sugli impatti globali del rallentamento in atto. Anzi, potrebbe crearsi una nuova domanda dalla Cina.
Si tratta della transizione verso la “nuova normalità”, secondo l’analisi fatta da Nicolas Stern in un recente rapporto della London School of Economics, che dovrebbe portare ad una crescita più equilibrata, con più innovazione, meno diseguaglianze sociali e una maggiore sostenibilità ambientale. Vedremo se e quanto le linee ispiratrici del 13° Piano quinquennale, che sarà reso pubblico in ottobre, sanciranno questo cambiamento. Naturalmente il ribilanciamento in atto non è un processo indolore. Comporta forti resistenze interne e, se il processo non verrà gestito con attenzione, potrà impattare negativamente sulle dinamiche economiche.
E veniamo alle conseguenze ambientali e climatiche di questa trasformazione, elemento importantissimo considerando che le emissioni di gas serra della Cina superano quelle di Usa e Europa messe insieme.
Abbiamo visto che l’uso del carbone si è ridotto nel 2014. Un fatto sorprendente considerando che nel primo decennio del secolo l’aumento annuo era del 9-10%. Che non sia stata un’anomalia, ma il risultato di un cambiamento strutturale, è dimostrato dall’ulteriore calo nella prima parte del 2015 che ha portato ad una riduzione dell’impiego nelle centrali elettriche che in dodici mesi ha raggiunto il 6%.
Questa inversione (è probabile che nei prossimi anni il consumo di carbone si stabilizzerà) è legata a forti motivazioni ambientali, oltre al già citato spostamento strutturale verso i servizi. L’inquinamento atmosferico comporta infatti 1,6 milioni di morti l’anno e danni ingentissimi all’economia. Una situazione non più tollerabile che ha indotto il governo a chiudere una serie di centrali a carbone, in particolare nei pressi dei centri urbani espingere sulle rinnovabili con investimenti che lo scorso anno hanno raggiunto la cifra di 83 miliardi $, un terzo del totale mondiale.
Anche il comparto industriale, sul quale si erano riversati enormi investimenti che hanno portato ad una sovraccapacità, sta rallentando. La Cina nel 2013 ha prodotto la metà dell’acciaio e il 60% del cemento mondiale. Entrambi questi settori, che sono responsabili del 60% delle emissioni climalteranti industriali cinesi, nel 2015 hanno visto un calo della produzione.
Le implicazioni di questi cambiamenti strutturali sulla diplomazia del clima sono enormi. Come è noto, la Cina si è impegnata a raggiungere un picco delle emissioni entro il 2030, ma è possibile che la CO2 inizi a calare ben prima. Secondo il rapporto della London School of Economics, le emissioni climalteranti potrebbero raggiungere il loro massimo tra il 2020 e il 2025 su valori pari a 12,5-14 miliardi di tonnellate, un valore di poco superiore agli attuali livelli di 12,5 miliardi di tonnellate CO2 eq. Se questa valutazione fosse corretta, saremmo ancora in tempo ad evitare che l’incremento della temperature del pianeta oltrepassi la soglia critica dei 2 °C.

26 agosto 2015

Greenpeace:La gravità di quanto accaduto a Tianjin dovrebbe essere un monito per il governo cinese, e per il resto del mondo.

Tratto da Greenpeace

Tianjin, la città devastata dalle esplosioni tossiche.

News - 26 agosto, 2015
A due settimane dall’incidente, resta alta l'allerta per la contaminazione ambientale.
La sera del 12 agosto la città portuale di Tianjin, uno dei maggiori centri industriali della Cina, situato nel nord del Paese, è stata svegliata da due forti esplosioni innescate in un deposito di sostanze chimiche. Una tragedia umana e ambientale di proporzioni gigantesche: le esplosioni, oltre a devastare una buona parte della città, hanno causato più di cento morti, diverse centinaia di feriti, e ancora oggi si contano numerosi dispersi. Immediatamente dopo l'esplosione l'attenzione è stata rivolta principalmente alla possibile contaminazione da sostanze chimiche: il magazzino della compagnia Ruihai Logistics, dove si è verificata l'esplosione, conteneva infatti molti composti chimici altamente pericolosi e reattivi, tra cui centinaia di tonnellate di cianuro di sodio, una sostanza che può rivelarsi letale se inalata.
Secondo i dati raccolti dalla stazione di monitoraggio ambientale di Tianjin-Tanggu, tra le sostanze più pericolose immagazzinate dalla compagnia c'erano, oltre al cianuro di sodio (NaCN), toluene diisocianato (TDI) e carburo di calcio (CaC2), tutti composti che, in caso di contatto diretto, rappresentano una seria minaccia per la salute umana. In particolare il cianuro di sodio è altamente tossico, mentre gli altri due composti reagiscono violentemente a contatto con l'acqua e con altre sostanze chimiche, rischiando di provocare esplosioni.
I nostri colleghi di Greenpeace East Asia (uffici di Pechino e Hong Kong) hanno costituito un team di Risposta Rapida per monitorare lo stato della contaminazione ambientale nelle aree circostanti la zona interessata dalle esplosioni.
Greenpeace è stata l'unica organizzazione internazionale presente sul posto per seguire quotidianamente l'evolversi della situazione.
Oggi, a due settimane dall'esplosione, i nostri colleghi di Greenpeace East Asia continuano l'opera di monitoraggio per verificare l'assenza di rischi per l'ambiente e per la salute delle comunità locali.
Greenpeace team members arrive at the location near Meihua Hotel, Jinhai road, Which the media indicated “mysterious white foam has appeared on the streets ”, to have a quick test on cyanides in an artificial landscape water pool of Yujingyuandi, a residential area near the Meihua Hotel, Tanggu District, Tianjin.
La gravità di quanto accaduto a Tianjin dovrebbe essere un monito per il governo cinese, e per il resto del mondo
Abbiamo bisogno di regole più severe per la gestione delle sostanze chimiche pericolose, partendo dalla loro sostituzione con alternative più sicure.
Per questo la nostra missione Detox è così importante: se non cambiamo il modo di produrre ciò che ci occorre, saremo costretti ad affrontare altre Tianjin, incidenti mostruosi che inquinano l'aria che respiriamo, avvelenano le nostre acque e minacciano le comunità locali.