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30 marzo 2020

CORONAVIRUS e DIOSSINA: STUDIO conferma Correlazione tra Epidemia Covid19 in ITALIA e la presenza di INCENERITORI

Tratto da Il Meteo.it
CORONAVIRUS e DIOSSINA: STUDIO conferma Correlazione tra Epidemia Covid19 in ITALIA e la presenza di INCENERITORI
Articolo del 30/03/2020
ore 11:34
di Team iLMeteo.it Meteorologi e Tecnici
La mappa dell'epidemia in ItaliaLa mappa dell'epidemia in ItaliaMappa degli inceneritori in ItaliaMappa degli inceneritori in ItaliaStudiosi e scienziati continuano incessantemente a condurre studi in grado di poter determinare correlazioni tra la diffusione del virus e le zone maggiormente coinvolte in termini di qualità dell'aria. La strada che si sta percorrendo da giorni è quella che l'espandersi del CORONAVIRUS potrebbe essere determinato dalla maggiore concentrazione di Diossina prodotta dagli inceneritori di Rifiuti.
Tra tutte le ipotesi prese in esame, sussisterebbe un legame tra la formazione della DIOSSINA negli impianti di termo-distruzione dei rifiuti e l'infezione da CORONAVIRUS. Ciò è stato al centro di una ricerca condotta dall'ingegnere cosentino Eugenio Rogano, un primato tutto italiano.
Partendo dalla constatazione che una fonte rilevante di emissione delle diossine risulta essere il processo di termo-distruzione dei rifiuti solidi urbani l'ingegnere Rogano, come ricordato recentemente sull'Espresso, ha trovato conferma alle sue ipotesi. "C'è un comune denominatore tra l'esplosione dell'epidemia in Cina, Sud Corea, Iran e Italia del Nord: la qualità dell'aria e la presenza di inceneritori, i cosiddetti termovalorizzatori dei Rifiuti Solidi Urbani", sostiene lo studioso. Dello stesso avviso è anche Mariella Bussolati: "Sembra che il Covid-19 colpisca più duro nelle aree più inquinate. Non sarebbe un caso infatti se il CORONAVIRUS è riuscito a procedere molto velocemente proprio in aree a grande concentrazione industriale, dove l'aria ha una qualità pessima".
DIOSSINE e Modifica dei LINFOCITI T
Oltre alle supposizioni degli ingegneri italiani ci sono altre ricerche condotte da illustri studiosi, quali Boule L.A., Burke, C.G., O'Dell C.T., Winans B., Lawrence B.P., monitorando la maturazione della citotossicità dei linfociti TCD8+ in seguito ad un'infezione volontaria delle prime vie aeree su topi contagiati con il virus dell'influenza, hanno evidenziato una compromissione nella funzionalità dei CTL nei soggetti precedentemente esposti alle diossine, con il risultato che i soggetti monitorati risultavano più esposti a patologie respiratorie.
PRESENZA di INCENERITORI
Confrontando la mappe di diffusione del Coronavirus in Italia con quella degli impianti di termovalorizzazione, si nota una inquietante correlazione.

L’aria pulita riduce anche la potenza del Coronavirus?

Tratto da Il Volante 
La qualità dell’aria durante l’emergenza coronavirus

I dati rilevati dall'Agenzia europea dell’ambiente certificano la riduzione degli NO2 in tutta Europa.

La qualità dell’aria durante l’emergenza coronavirus

DATI UFFICIALI - I dati raccolti dall'AEA, l’Agenzia europea che si occupa del monitoraggio dello stato dell’ambiente, grazie a oltre 4.000 stazioni di misurazione dell'inquinamento atmosferico presenti nelle maggiori città, ci dicono che in questo periodo, dove il traffico è stato drasticamente ridotto a causa delle misure di contenimento per arginare la diffusione del Covid-19, l’inquinamento atmosferico è calato, soprattutto in città....
PIÙ ESPOSTI - L'esposizione all'inquinamento atmosferico può portare a effetti negativi sulla salute, comprese le malattie respiratorie e cardiovascolari. Alcune autorità sanitarie hanno avvertito che i cittadini con determinate patologie preesistenti, come le malattie respiratorie, possono avere una maggiore vulnerabilità al Covid-19. Tuttavia, al momento non è chiaro se l'esposizione continua all'inquinamento atmosferico possa effettivamente peggiorare le condizioni di coloro che sono stati infettati dal virus. Per affrontare queste questioni sono quindi necessarie ulteriori ricerche epidemiologiche. 
continua qui———————
Tratto da Napoli Today
Napoli senza smog con il lockdown: L’aria  pulita riduce anche la potenza del Coronavirus
"Le immagini dal satellite dimostrano che dobbiamo fare tesoro di questa emergenza anche per il futuro", spiega Pecoraro Scanio in una intervista a NapoliToday

Coronavirus, Napoli senza smog co
L'emergenza Coronavirus, tra mille disagi, ansie e paure, un effetto positivo sembra averlo. Le emissioni di biossido di azoto e di Pm10, tra le principali cause di mortalità per inquinamento atmosferico, si stanno ogni giorno di più assottigliando, proprio grazie al lockdown. Dalle immagini realizzate dal satellite Copernicus sentinel 5P, con le foto elaborate dalla piattaforma Onda della Serco di Frascati e diffuse sul sito www.fondazioneUniverde.it e sulla rete www.opera2030.org, vengono confrontati due scatti, uno realizzato nelle due settimane di febbraio prima del blocco e l'altro nelle due settimane 10/24 marzo dopo i primi provvedimenti (in rosso lo smog, in verde l'aria pulita).
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 E' evidente, grazie alla drastica riduzione del traffico veicolare e di tutta una serie di attività inquinanti, una diminuzione delle polveri sottili nell'atmosfera. NapoliToday ha intervistato, sul tema, Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione UniVerde e già ministro dell'Ambiente, impegnato da anni nella battaglia per il miglioramento della qualità dell'aria.

-Bisognava aspettare una pandemia per attendere questi risultati?
"L'Organizzazione Mondiale della Sanità, facendo riferimento ai dati dello scorso anno, aveva affermato che in Italia l'inquinamento atmosferico, lo smog, le polveri sottili causano dai 60.000 ai 70.000 decessi prematuri l'anno. È incredibile come questo dato così rilevante non riesca a scuotere le istituzioni nazionali e locali. Tanto è vero che, da ministro dell'Ambiente, quando cercai di far varare un piano per la qualità dell'aria nella Pianura Padana, ho ricevuto il rifiuto persino ad imporre dei limiti alla velocità dei veicoli sulle autostrade. È nota, infatti, la connessione tra aumento della velocità, quindi la maggiore combustione del motore, e il rilascio di maggiori quantitativi di smog nell'aria. In effetti, lo strapotere delle lobby collegate al sistema dei combustibili fossili blocca le iniziative per passare rapidamente verso le smart cities".

-Il dato di Napoli a quali valutazioni porta?
"Il dato di Napoli  riproduce quello che abbiamo mostrato, dopo Nord Italia, Roma e Palermo, ma anche sulla cartina dell'intera Europa: la riduzione drastica del traffico veicolare e il passaggio allo smart working hanno portato a una riduzione netta delle polveri sottili. Questo sicuramente ha un beneficio per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico e quindi l'incidenza delle malattie respiratorie di cui l'O.M.S. parlava. Non dimentichiamoci che il Covid-19 causa una polmonite di grandissima gravità e una fibrosi ai polmoni. Attacca quindi l'apparato respiratorio ed è evidente che, in zone dove si è maggiormente esposti agli agenti dello smog, il soggetto risulta più debole ad affrontare il virus. Dall'altro lato, è altrettanto vero che lo studio della Società Italiana di Medicina Ambientale, e di alcune università italiane, ha dimostrato che la Pianura Padana, che è l'area più inquinata d'Europa, ha un tasso di inquinamento atmosferico tale da motivare un elevato aumento di contagi, così come accaduto nelle aree più inquinate della Cina. A Napoli inoltre è evidente che la diminuzione dello smog è collegata alla drastica riduzione del traffico automobilistico e questo deve essere una spinta in più ad investire su mezzi pubblici efficienti, lavoro a distanza e mobilità sostenibile".

-Dopo questa emergenza, si potrà avere maggiore consapevolezza di voltare pagina?
 "Dovremo saper uscire da questa emergenza, che è sanitaria ed economica, investendo sulla creazione di milioni di posti di lavoro in un vero rinascimento ecologico con smart cities, mobilità sostenibile, produzione diffusa di energie rinnovabili, smartworking e tanta innovazione green. Quello che dobbiamo evitare è che qualcuno pensi di dover risarcire le lobby petrolifere che, con il crollo del prezzo del petrolio, hanno perso qualcosa. Se questa crisi ci sta insegnando qualcosa è il fatto di avere città in cui la mobilità sia sostenibile, puntando sulle attività in smartworking, quindi con lavoro a distanza. Il che non significa solo lavorare da casa ma anche negli ambienti di coworking, dove le persone possono recarsi senza percorrere decine di chilometri nel traffico ma poche centinaia di metri da casa, a piedi, in luoghi attrezzati per poter essere, allo stesso tempo, luoghi di socializzazione e soluzioni per liberare le strade dal traffico".

29 marzo 2020

Ecco perché dobbiamo stare a casa!

Tratto da Facebook del Medico Isde Giovanni Ghirga 
PERCHÉ' DOBBIAMO STARE A CASA. L'APPIATTIMENTO DELLA CURVA MOSTRA COME I CASI SIANO MENO NUMEROSI E DISTRIBUITI NEL TEMPO DANDO MAGGIOR POSSIBILITÀ DI ASSISTENZA AI MALATI


28 marzo 2020

Paolo Ermani: E’ un reato contro la salute pubblica distruggere l’ambiente e avvelenare le persone?

Tratto da Il Cambiamento 
E’ un reato contro la salute pubblica distruggere l’ambiente e avvelenare le persone?
di Paolo Ermani 


Il governo per il coronavirus ha adottato limitazioni pesantissime della libertà di movimento e multe salate e denunce per chi non le rispetta, definendo la contravvenzione alle regole come reati contro la salute pubblica. Ma come mai tutta questa solerzia e fermezza non si applica per gli attentati quotidiani alla salute pubblica che avvengono da decenni a questa parte?

Ma la salute pubblica non si dovrebbe tutelare sempre? Come mai la salute pubblica viene tutelata così drasticamente e duramente solo in caso di coronavirus?

Chi distrugge  i boschi e le foreste privandoci di una fonte primaria della vita che è l’ossigeno, attenta o no alla salute pubblica?

Chi riempie le nostre tavole di alimenti pieni di pesticidi e chimica assortita, attenta o no alla salute pubblica?


Chi sparge terreni agricoli e quindi di conseguenza le falde acquifere di ogni tipo di veleno, attenta o no alla salute pubblica?

Chi alleva migliaia di animali in condizioni igieniche pessime e li riempie di cibo trattato chimicamente e medicinali che inquineranno le nostre terre, le nostre acque e le nostre tavole, attenta o no alla salute pubblica?

Chi continua imperterrito a inondarci di combustibili fossili che ci stanno portando alla catastrofe climatica e ambientale con conseguenze infinitamente più gravi del coronavirus, attenta o no alla salute pubblica?

Chi inquina aria, terra, acqua, mari, riempiendoli di rifiuti, continuando a produrre merci superflue, inutili, dannose, attenta o no alla salute pubblica?

Chi distrugge la biodiversità che è fondamentale per la nostra esistenza, attenta o no alla salute pubblica?

E mille altri esempi simili di cui si conosce perfettamente la loro nocività e pericolosità, sono o no un attentato alla salute pubblica?


Se si vuole veramente proteggere la salute pubblica, si facciano al più presto decreti e leggi che in brevissimo tempo cambino completamente la nostra società
in un giardino fiorito, dove tra l’altro il coronavirus o simili avrebbero più difficoltà a propagarsi visto che l’inquinamento gli fa da autostrada. Ma se non verranno presi questi provvedimenti, allora vuol dire che ci sono emergenze di serie a ed emergenze di serie b, salute pubblica di serie a e salute pubblica di serie b, perché la salute pubblica è già costantemente e brutalmente attaccata da anni e non si è mai agito con la stessa durezza e pugno di ferro con inquinatori seriali e pericolosissimi, così come lo si sta facendo con il coronavirus.

E per favore non si venga a dire o inventare che fermare chi distrugge l’ambiente, chi ci inquina e avvelena, bloccherebbe il paese, perché le alternative esistenti e conosciute ormai da tempo per fare dell’Italia il giardino fiorito che merita sono tutte a portata di mano, assolutamente fattibili e darebbero occupazione, prosperità e salute, appunto, molto maggiori di quelle attuali.


Quindi come sempre l’aspetto fondamentale non è se si può o non si può agire, ma se si vuole agire.

27 marzo 2020

L'Organizzazione mondiale della sanità: "Il virus può distruggerci, restiamo uniti"

Stralcio da La Repubblica 

Nelle ultime ore gli Usa sono diventati il Paese più colpito in assoluto dal viruscon oltre 81mila contagi. Finora il coronavirus ha ucciso più di 23mila persone nel mondo, di cui due terzi in Europa. In tutto il globo sono stati ufficialmente diagnosticati 275mila casi.

L'Organizzazione mondiale della sanità: 

"Il virus può distruggerci, restiamo uniti"

 "Siamo in guerra contro un virus che minaccia di distruggerci, se glielo permettiamo". E' il messaggio del direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus rivolto ai leader del G20, riuniti oggi in videoconferenza per affrontare l'emergenza coronavirus. Il capo dell'Oms - riferisce un comunicato - ha accolto l'impegno dei leader a fare "tutto ciò che serve per vincere la pandemia" ed un invocato una lotta comune.

26 marzo 2020

Isde Covid-19 e ambiente

Tratto da Isde 

Covid-19 e ambiente


La discussione su quanto COVID-19 abbia a che fare con i cambiamenti climatici si sta sviluppando con sempre maggiore intensità, specie dopo che l’OMS mercoledì 11 marzo ha dichiarato la pandemia. Adesso l’attenzione e lo sforzo sono giustamente concentrati sulla crisi da Covid-19, ma speriamo che presto si apra un dibattito pubblico sulle cause e in particolare su quanto la perdita di habitat, guidata in parte dai cambiamenti climatici, ha facilitato la diffusione dei patogeni tra la fauna selvatica e il virus che passa alle persone. Confidiamo che insieme si possa approfondire il ruolo dell’inquinamento atmosferico, principalmente causato dall’uso di combustibili fossili, nel rendere le persone più vulnerabili alla contrazione della malattia. Questo articolo vuole rimarcare alcuni punti fermi in termini di salute nel contesto planetario, e ragionare su come meglio organizzare la sanità pubblica di fronte alle sfide che ci attendono.

Malattie infettive e ambiente: il caso COVID-19

Sulla base dei risultati di una moltitudine di lavori scientifici e dei rapporti di Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC nessuno può negare che sia sostanzialmente cambiata la composizione dell’atmosfera e sarebbe altrettanto sciocco negare che la qualità dell’aria che respiriamo influisca sulla nostra salute. La contaminazione chimica delle matrici ambientali fondamentali per l’esistenza della vita ha un impatto sulla salute umana, sia sulle malattie non trasmissibili che su quelle trasmissibili. Il carico di malattia dovuta a rischi ambientali è ratificato dall’OMS.
I cambiamenti climatici agiscono direttamente e indirettamente nel determinare un’ampia varietà di malattie, favorendone nuove e agendo come forza moltiplicatrice per molte delle problematiche già esistenti. Ad esempio, sono un fattore determinante per la diffusione di malattie infettive, poiché alterano le condizioni ambientali favorendo la replicazione dei vettori che trasmettono il patogeno, cioè gli insetti.
Secondo il Lancet Countdown rispetto agli anni ’50, nell’ultimo decennio si è registrato un forte incremento globale nella capacità delle zanzare A.Aegypti e A.Albopictus di trasmettere il virus Dengue: le proiezioni, basate sui dati a disposizione, permettono di ritenere ragionevole che questo trend sia in costante aumento, di pari passo con l’aumento delle emissioni di gas serra. In generale, ci sono due spiegazioni della maggiore diffusione di insetti vettori: il clima che cambia modifica le caratteristiche degli insetti e ha un impatto sul loro cibo e sui loro nemici naturali e sui predatori.All’aumentare della temperatura, il metabolismo dell’insetto accelera. Poiché bruciano più energia, consumano di più, si sviluppano più velocemente, muoiono di meno, si riproducono più velocemente e depongono più uova. Il risultato finale è un aumento delle popolazioni.
Il Cambiamento Climatico determina un cambio delle precipitazioni atmosferiche, con sempre più frequenti estremi, come inondazioni e siccità. Questi cambiamenti influenzano le interazioni tra parassiti, piante e nemici naturali. Infine, a seguito del riscaldamento per trovare cibo e sfuggire alla competizione e ai nemici naturali, gli insetti si spostano in nuovi territori ed esplorano nuovi habitat. [i] Deforestazione, antropizzazione e avvicinamento degli animali all’uomo creano un ambiente propizio allo sviluppo di malattie infettive e la mobilità umana ne aumenta la diffusione, com’è il caso del COVID-19. Secondo un recente Report del WWF, la distruzione degli habitat naturali provocata dall’uomo, rompe gli equilibri ecologici e crea condizioni favorevoli alla loro diffusione. «Le foreste sono il nostro antivirus. La loro distruzione può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale, ad esempio, vivono pipistrelli portatori del virus dell’Ebola. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, favorendo l’insorgenza di nuove epidemie».D’altra parte è stimato che più del 60% delle malattie infettive presenti nella specie umana si sia originata da specie animali selvatiche e domestiche: pipistrelli, topi, maiali, scimmie, gatti. [ii]
Un recente articolo comparso su Nature Microbiology sul fenomeno dell’antibiotico resistenza, ne rileva la natura globale richiamando il problema della diffusione degli antibiotici negli animali e nell’ambiente (acqua e suolo), tutt’altro che scollegato dall’attuale pandemia da Covid-19. Tutto questo viene sintetizza to nel concetto di one health. [iii] Nel 2003 è comparsa la SARS, Sindrome respiratoria acuta grave, che dai pipistrelli si è trasferita agli zibetti (piccoli mammiferi) e poi all’uomo. Nel 2009 si è diffusa un’epidemia causata dal virus H1N1, nota come influenza suina, trasmessa dagli uccelli ai suini e poi passata all’uomo. Nel 2012 è comparsa la Mers, Sindrome respiratoria del Medio Oriente, trasmessa dai pipistrelli ai cammelli e, in seguito, all’uomo. Nel 2014 anche il virus responsabile di Ebola, già individuato a metà degli anni ’70 e trasmesso dai pipistrelli della frutta, ha acquisito la capacità di trasferirsi direttamente da uomo a uomo.
Nel dicembre 2019 ha fatto la sua comparsa il nuovo coronavirus cinese (SARS Cov 2). Le ricerche hanno evidenziato che il virus responsabile dell’attuale pandemia, per adattarsi all’uomo, ha modificato due proteine strutturali e una proteina di superficie. Il legame che si instaura tra le proteine di superficie del virus e i recettori presenti sulle cellule umane rappresenta la chiave per aprire la serratura e insediarsi all’interno delle cellule. Il virus responsabile dell’epidemia di Covid-19 è per l’80% simile a quello della SARS, ma è meno letale, anche se più contagioso. [iv]
Sono ancora tanti gli interrogativi senza risposta, ad esempio sulle cause, sicuramente molteplici, dell’elevata letalità di Covid-19 in Italia, su come proteggere gli ospedali non solo dai virus ma anche dalle correlate infezioni batteriche antibiotico-resistenti, e dalla presenza di super batteri in grado di aggravare il quadro clinico già complessi di malati da Covid-19. Ricordiamo che l’Italia è in Europa, insieme a Cipro, il Paese che ha più ceppi batterici antibiotico resistenti e la maggiore mortalità correlata. Un recente rapporto dell’OMS mostra come l’AMR sia una minaccia sanitaria globale, con impatti negativi sulla salute umana e animale. Ogni anno, infatti, le infezioni resistenti ai farmaci provocano 700.000 morti e si prevede un incremento fino a 10 milioni nel 2050.[v]. Sul versante ambientale, uno degli aspetti che sempre più emerge è che oltre all’uso massivo dei combustibili fossili, si brucia sempre più legna e derivati, rifiuti urbani, agricoli, industriali. L’impatto documentato è su un numero di malattie che solo qualche decennio addietro era ritenuto impensabile: tumori di varie sedi, malattie cardio e crebro-vascolari, nervose, oltre a quelle respiratorie, che rendono le persone più suscettibili ad ammalarsi e più fragili di fronte a malattie di altra origine, come è il caso del Covid-19. Di molti legami tra perturbazioni ambientali e salute abbiamo prove convincenti, di altre abbiamo ipotesi solide che vista la posta in gioco dovrebbero essere affrontate con approccio precauzionale.
Covid-19 e le malattie non trasmissibili di origine ambientale richiamano uno sforzo senza precedenti, da una parte per contrastare i cambiamenti climatici e ambientali e dall’altra per attrezzare le nostre società a sfide come quella in corso. Tutto questo nella prospettiva che occorre confrontarsi con il problema ormai da tutti assodato come quello del legame tra gli effetti di un ambiente degradato, quelli di un’epidemia (quale quella da SARS COV 2) e le diseguaglianze socio-economiche. In altre parole che le classi sociali più deprivate saranno sempre più al centro dei rischi sopra riferiti.

Quindi, che fare?

In merito al rapporto tra ambiente e salute, una strategia che potrebbe risultare vincente è il coinvolgimento di una rete di Medici di Famiglia (MF) e dei Pediatri di Libera Scelta (PLS) in una strategia integrata di Prevenzione. Certamente ciò richiederà un forte investimento in termini di formazione, non essendo questi medici solitamente prepararti a occuparsi in modo approfondito di salute in relazione all’ambiente: tale competenza oltretutto non è inserita nei loro compiti e non è insegnata nel corso di medicina. Tra questi operatori non vi è sempre consapevolezza dell’influenza, anche a livello clinico, come nel caso di una malattia infettiva in atto, dell’ambiente sull’insorgenza e sul decorso della patologia. I MF e i PLS, se adeguatamente sensibilizzati, formati e organizzati, possono rappresentare un “anello di congiunzione” tra evidenze scientifiche, problemi globali e azioni locali.[vi] A questo proposito, diverse recenti e autorevoli pubblicazioni hanno sottolineato le grandi potenzialità offerte dal coinvolgimento dei Primary Care Providers.[vii][viii][ix], [x]E d’altra parte un loro coinvolgimento consentirebbe non solo di raccogliere informazioni in modo tempestivo e preciso su modificazioni “inattese” dello stato di salute della popolazione e dell’ambiente, ma anche e soprattutto permetterebbe al Servizio Sanitario di trasmettere un immediato senso di protezione ai cittadini che nel 95% dei casi è in rapporto fiduciale con il proprio medico o pediatra.[xi],[xii],
Nel caso del COVID-19 riteniamo utile chiedersi quanto una migliore interazione tra il sistema ospedaliero e quello di prevenzione territoriale avrebbe potuto incidere positivamente sulla gestione dell’epidemia, addirittura sul riconoscimento dell’inizio dell’epidemia. D’altra parte, anche in questo momento, una collaborazione dei Medici di Famiglia con i Dipartimenti di prevenzione che sono fortemente impegnati nel processo contact-tracing potrebbe risultare risolutivo. Il rilancio della sanità pubblica sia sul versante della prevenzione sia della cura sembra oggi più ineludibile di ieri. Il servizio sanitario è l’asse del welfare che dovrà essere rafforzato e ripensato per adeguarlo alle sfide a venire.

Paolo Lauriola, coordinatore scientifico RIMSA ( Rete Italiana Medici-Sentinella per l’Ambiente)
Roberto Romizi, Presidente ISDE Italia ( Associazione Italiana Medici per l’Ambiente)
Guido Giustetto, membro comitato centrale FNOMCEO ( Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici)
Francesco Romizi, responsabile comunicazione ISDE Italia ( Associazione Italiana Medici per l’Ambiente)
Emanuele Vinci, coordinatore GDL professione, salute, ambiente e sviluppo economico FNOMCEO ( Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici)
Fabrizio Bianchi, Dirigente di ricerca di IFC\CNR Pisa

Coronavirus:la distanza vince sul contagio.

Immagini tratte dalla pagina Facebook del Medico Isde Giovanni Ghirga 

ALERT! IMPAURISCE SAPERE CHE IL CORONAVIRUS PUÒ RESISTERE SULLA PLASTICA FINO A 3 GIORNI MA LA QUANTITÀ CHE NE RIMANE È INFERIORE ALLO 0.1 %, IN TEORIA CAPACE DI PROVOCARE UNA INFEZIONE MA IN PRATICA MOLTO DIFFICILE. 
RASSICURATEVI E CONCENTRATEVI SULLE MISURE EFFICACI DI PREVENZIONE.
https://hub.jhu.edu/2020/03/20/sars-cov-2-survive-on-surfaces/
NON È MAI TROPPO RIPETERLO: LE GOCCIOLINE EMESSE CON IL PARLARE, CON LA TOSSE E GLI STARNUTI SONO LA CAUSA DIRETTA ED INDIRETTA (SE DA POCO DEPOSITATE SUGLI OGGETTI) DELLA DIFFUSIONE DI QUESTA MALATTIA CHE STA STREMANDO IL PAESE. LE GOCCIOLINE PER GRAVITÀ CADONO QUASI TUTTE IN UN RAGGIO DI 1-2 METRI. LA DISTANZA VINCE SUL CONTAGIO.




Ulteriori studi confermano che le madri affette da Covid-19 non trasmettono il virus ai loro bambini (merito esclusivo della natura)
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fped.2020.00104/full?utm_source=fweb&utm_medium=nblog&utm_campaign=ba-sci-fped-covid-coronavirus-babies




24 marzo 2020

L’ Espresso "Sì, lo smog aiuta il virus": ecco gli studi che lo avevano previsto

Tratto da L’ Espresso 

"Sì, lo smog aiuta il virus": ecco gli studi che lo avevano previsto 


L'inquinamento atmosferico non solo indebolisce i polmoni, ma facilita anche "il lavoro" dell'agente patogeno nell'aria. Già con la Sars del 2003 è stato evidente. E ora la questione arriva anche in Parlamento:“Per prevenire altre epidemie future, ridurre le polveri sottili» 


Nei giorni scorsi  si è timidamente iniziato a parlare della relazione tra l'inquinamento e il possibile diffondersi di epidemie. Non si tratta di una tesi campata per aria: da tempo esistono studi sull'incremento statistico di polmoniti in aree dove la popolazione è esposta a particolato in eccesso

Vediamo i dettagli a supporto di questa tesi. 

Successivi esperimenti confermano che il particolato atmosferico Pm 2.5 incrementa l'infiammazione polmonare e uno studio ecologico del 2003 sulla prima Sars da coronavirus in Cina mostra una mortalità maggiore dell’84% nelle aree con peggiore indice di qualità dell’aria

Nelle ricerche dello scienziato Eiji Tamagawa su animali esposti a particolato in eccesso rispetto ai controlli, risulta centrale il dato che riporta come sia  significativo l’incremento di macrofagi contenenti particolato e di un mediatore infiammatorio, l’interleuchina 6 (IL6). 

Successivi esperimenti confermano che il particolato atmosferico Pm 2.5 incrementa l'infiammazione polmonare e uno studio ecologico del 2003 sulla prima Sars da coronavirus in Cina mostra una mortalità maggiore dell’84% nelle aree con peggiore indice di qualità dell’aria


Più di recente: nel febbraio 2020, lo scienziato Qiang Tan e altri ricercatori cinesi hanno pubblicato uno studio su Toxicology lettersche, oltre a confermare il rapporto fra particolato e aumento dell’IL6, ha notato una possibile sequenza genica sulle cellule bronchiali che potrebbe essere collegata con la risposta all’infiammazione da particolato, questa sequenza è composta da Rna e non da Dna, come il nuovo coronavirus. L'impegno scientifico attuale è tutto orientato a creareanticorpi per questa e per future epidemie

A supporto di queste tesi, che mette in relazione inquinamento e diffusione dei virus, è arrivato anche uno studio della Società italiana di medicina ambientale (Sima), basato a sua volta su una corposa letteratura, che ha definito le polveri sottili un "vettore per il trasporto e la diffusione del Covid-19".

Secondo la ricerca "il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, cioè un vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell'aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell'ordine di ore o giorni", dicono i ricercatori che, in collaborazione con le Università degli studi di Bari e di Bologna, hanno esaminato i dati pubblicati sui siti delle Arpa (le Agenzie regionali per la protezione ambientale) relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale, mettendoli poi a confronto con i casi di contagio.

Il pensiero corre inevitabilmente ai dati sulle emissioni CO2 nel Nord Italia.-

A Milano e in molte città della pianura padana quest’anno in meno di due mesi sono già stati superati i 35 giorni annuali “tollerati” di ariacon polveri sottili (PM10) superiori a 35 microgrammi per metri cubo. Per non dire dell PM2.5 che secondo i criteri sanitari dovrebbe stare sotto i 20 microgrammi per metro cubo mentre attualmente la media è superiore a 35 in pianura Padana.  

La questione è arrivata anche in Parlamento, con un’interpellanza alla Camera del deputato del Movimento 5 Stelle Alberto Zolezzi, che è un medico specializzato proprio in malattie dell'apparato respiratorio. Zolezzi ha presentato al governo questi studi, specie sulle conseguenze dell'emergenza climatica e sul ruolo del particolato atmosferico in eccesso nel determinare l'incremento della patologia respiratoria, specialmente della patologia infettiva delle basse vie respiratorie, ovvero le polmoniti. «La medicina non è una scienza esatta, ma l’integrazione fra statistica ed epidemiologia può portare a orientare scelte organizzative, sanitarie e politiche in generale», dice il parlamentare grillino. 

Diminuire la pressione ambientale potrebbe essere un aiuto per ridurre il contagio oggi ma soprattutto prevenirne domani: «Molte attività antropiche andranno in futuro urgentemente  riviste per far stare il particolato entro i parametri delle direttive Ue», dice Zolezzi. Dal trasporto (più merci su ferro) all’agrozootecnia, fino al risparmio energetico degli edifici e alla gestione dei rifiuti senza combustioni.

Trovata CORRELAZIONE tra CLIMA, AMBIENTE e DIFFUSIONE EPIDEMIA Virus COVID-19

Tratto da Il Meteo.it
Meteo e CORONAVIRUS: trovata CORRELAZIONE tra CLIMA, AMBIENTE e DIFFUSIONE EPIDEMIA Virus COVID-19
Quel filo invisibile che collega l'Italia a Wuhan
Articolo del 24/03/2020
di Team iLMeteo.it Meteorologi e Tecnici
Coronavirus nel mondo, un filo invisibile che collega l'Italia a WuhanCoronavirus nel mondo, un filo invisibile che collega l'Italia a Wuhanll Coronavirus sta tenendo in scacco il Mondo: partito dalla Cina, si è rapidamente diffuso in gran parte del Pianeta, costringendo intere nazioni a prendere provvedimenti drastici per limitarne la diffusione. Tra i Paesi più colpiti c'è sicuramente l'Italia, con quasi 25 mila contagiati, mentre soltanto adesso Spagna e Francia iniziano a prendere misure più stringenti. Tra le nazioni più colpite vi sono inoltre la Corea del Sud e l'Iran, con la città di Qom che ha dovuto pagare un tributo davvero alto in termini di vite umane(più di 500 vittime in pochi giorni)

Secondo un gruppo di ricercatori tuttavia vi sarebbe una correlazione tra CLIMA, AMBIENTE e DIFFUSIONE dell'EPIDEMIA: un filo invisibile, che collegherebbe direttamente l'Italia con Wuhan, epicentro del contagio planetario.

Partendo da modelli matematici, test di laboratorio e studi epidemiologici su sopravvivenze e trasmissioni dei virus, si cerca di capire perché il Covid-19 si sia diffuso in determinate zone e, soprattutto, come potrebbe evolversi.
Come si può notare facilmente osservando l'immagine in apertura di articolo, elaborata dai ricercatori dell’università del Maryland con colleghi di due atenei iraniani, tra i punti in comune tra le varie località più interessate dal virus c’è la latitudine: tutte le località più colpite dal coronavirus si trovano nella fascia compresa tra 30 e 50 gradi a Nord.

In secondo luogo, ci sono le temperature medie registrate, tra i cinque e gli 11 gradi centigradi in tutti i focolai, con il virus che non si è finora diffuso in aree più fredde (come Russia e Canada) né più calde, una situazione che mette in allerta quei Paesi più a Nord, per i prossimi mesi, quando le temperature sono destinate ad alzarsi. Infine l’umidità: analizzando un orizzonte di quattro mesi (da novembre a febbraio) si nota un differenziale del tasso di umidità ridotto, in particolare a gennaio, con dati tra il 67 e l’88 per cento.

Va detto tuttavia che si tratta di ipotesi preliminari per le quali non esistono modelli previsionali; inoltre, gli studiosi aggiungono anche un altro fattore, non meno importante, e cioè la qualità dell'aria nelle varie località "focolaio".

Dove risulta maggiormente presente la diffusione del virus, esistono anche valori di smog e polveri importanti: pensiamo alla metropoli di Wuhan, in Cina, dove l'inquinamento è stato particolarmente elevato, così come in Lombardia, dove, nei mesi scorsi, il PM10 ha più volte superato i 50 microgrammi per metro cubo di aria.

Un recente articolo del Washington Post titolava come una «cattiva aria» potesse contribuire a peggiorare gli effetti del coronavirus, così come, per esempio, il fumo o ogni altro inquinante originato da combustione, citando l’opinione di diversi esperti dell’Università della California per esempio sulla Sars, scoppiata in Cina nel 2003, che si era rivelata più nociva e mortale nelle regioni con una qualità dell’aria peggiore. Il motivo è da ricercare nei polmoni: le polveri inquinanti si accumulano sui «macrofagi alveolari», le cosiddette cellule della polvere, appunto, che, di conseguenza, non riescono più a svolgere al meglio la loro funzione, soprattutto in presenza di malattie o infezioni.

IL CORONAVIRUS E IL NOSTRO FUTURO ......

Tratto da Bioecogeo

IL CORONAVIRUS E IL NOSTRO FUTURO PROSSIMO

Pubblichiamo una lettera aperta a firma di Andrea Pinchera, direttore della comunicazione di Greenpeace, che riteniamo possa essere spunto di riflessione per tutti noi.
Come ormai quasi tutti gli esperti dicono, la pandemia di COVID-19, determinata dal coronavirus (o SARS-CoV-2), ha molto a che fare con l’ambiente e con le campagne di cui Greenpeace si sta occupando.
Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM di Pavia, spiega per esempio che i fattori coinvolti nella crescente frequenza di epidemie degli ultimi decenni sono molteplici: «Cambiamenti climatici che modificano l’habitat dei vettori animali di questi virus, l’intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, la sovrappopolazione, la frequenza e rapidità di spostamenti delle persone». È uno scenario che conosciamo bene, purtroppo. In un rapporto del 2007 sulla salute nel Ventunesimo secolo, l’Organizzazione mondiale della sanità – la stessa che giorni ha definito ufficialmente quella del coronavirus una “pandemia” – avvertiva che il rischio di epidemie virali cresce in un mondo dove il delicato equilibrio tra uomo e microbi viene alterato da diversi fattori, tra i quali i cambiamenti del clima e degli ecosistemi. Altri coronavirus come SARS e MERS, e virus particolarmente gravi come HIV ed Ebola, sono lì a testimoniarlo.

Un campanello d’allarme

La diffusione di questi nuovi virus, in poche parole, sarebbe l’inevitabile risposta della natura all’assalto dell’uomo, come spiega la virologa Ilaria Capua, che dal 2016 dirige uno dei dipartimenti dell’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida: «Tre coronavirus in meno di vent’anni rappresentano un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi». In altre parole, distruggere la natura finisce quasi sempre per avere un impatto sulla nostra salute: «Se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio. Che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani».
È un meccanismo che viene raccontato benissimo da David Quammen, l’autore di “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”, saggio che in queste settimane è letteralmente andato a ruba in tutte le librerie italiane. Lo cito parola per parola, da una intervista che ha appena concesso a Wired: «Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che
1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici;
2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani;
3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus 
4) quando un virus effettua uno “spillover”, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi»......

Crisi climatica e virus antichi

Ma il rischio potenziale potrebbe anche essere più esteso, assumendo una “dimensione temporale”. Lo scioglimento di ghiacci e ghiacciai, infatti, potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi. Nel gennaio 2020, per esempio, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha comunicato di avere rintracciato all’interno di campioni di ghiaccio di 15 mila anni fa, prelevati dall’Altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti. Tracce del virus della Spagnola sono state ritrovate congelate in Alaska, mentre frammenti di DNA del vaiolo sono riemersi dal permafrost nella Siberia nord-orientale. Proprio il permafrost rappresenta un ambiente perfetto per conservare batteri e virus, almeno fin quando non interviene il riscaldamento globale a liberarli. E che ciò possa avvenire lo testimonia un episodio dell’estate del 2016, quando – sempre in Siberia – l’antrace ha ucciso un adolescente e un migliaio di renne, oltre a infettare decine di persone 

Clima e infezioni viaggiano insieme

A evidenziarne il legame, per esempio, è il “Lancet Countdown Report 2019”, che associa i cambiamenti climatici proprio a un’aumentata diffusione delle patologie infettive: in un pianeta più caldo, virus, batteri, funghi, parassiti potrebbero trovare condizioni ideali per esplodere, diffondersi, ricombinarsi, con un aumento tanto della stagionalità quanto della diffusione geografica di molte malattie. È un rischio che a Greenpeace abbiamo identificato per tempo: già nel “Rapporto Greenpeace sul riscaldamento della Terra” – che compie trent’anni tondi, essendo del 1990 – l’epidemiologo Andrew Haines, che successivamente sarebbe diventato direttore della London School of Hygiene & Tropical Medicine, avvertiva che tra gli effetti secondari dei cambiamenti climatici «la diffusione dei vettori di malattie dovrebbero essere causa di preoccupazione».
In poche parole, se per il coronavirus il meccanismo identificato dagli scienziati è quello di un salto di specie innescato dalla promiscuità con animali selvatici, amplificato dalla concentrazione di popolazione nelle megalopoli e trasportato dalla globalizzazione, la crisi climatica potrebbe offrire scenari ancora più pericolosi. Ovvero il riemergere dai ghiacci dei Poli o dai ghiacciai dell’Himalaya di virus che il loro “spillover” lo hanno effettuato in tempi remoti e che pensavamo di avere debellato per sempre. O, peggio ancora, di patologie che non conosciamo affatto.

Potere e responsabilità

Come sostiene David Quammen, insomma, «più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo».
La soluzione? Può essere solo in un completo ripensamento della nostra relazione con la natura: proteggere la biodiversità, fermare la crisi climatica, frenare la distruzione delle foreste e ridurre il consumo di risorse. Ricorda qualcosa? Sono questioni da sempre al centro delle campagne di Greenpeace, e delle nostre comunicazioni.
BioEcoGeo_Biodiversità
Quando la pandemia di coronavirus sarà cessata, bisognerà intervenire sui fattori che l’hanno determinata. Senza operare quel meccanismo tipico di rimozione per il quale politici, giornalisti, opinione pubblica si riempiono della parola “clima” – per esempio – in presenza di uragani, alluvioni o incendi devastanti, salvo dimenticarsene un secondo dopo. Se ciò non avvenisse, se non si agisse sulle cause della diffusione di nuovi virus, che sono anche ambientali, continueremmo a vivere in una condizione di grave rischio potenziale.
Il perché lo spiega ancora Ilaria Capua: «Noi viviamo in un ambiente chiuso. Come se fossimo in un acquario. La nostra salute dipende per il 20% dalla predisposizione genetica e per l’80% dai fattori ambientali. La cura deve studiare, oltre all’organismo in questione, anche il contesto». «Non possiamo uscire da questa situazione, da questo dilemma», ricorda Quammen: «Siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo Pianeta e solo su questo. Siamo troppi, 7,7 miliardi di persone, e consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus».
In altri termini, possiamo dire che la specie umana ha preso da tempo il “comando delle operazioni” sulla Terra, sottomettendo la natura ad azioni spesso irreversibili; è diventata un “agente di trasformazione”, come una forza geologica, tanto che gli scienziati usano il termine “Antropocene” per definire l’epoca attuale. Come sempre accade, a un potere quasi sconfinato – e distruttivo – bisogna sapere associare criteri di responsabilità altrettanto importanti, per evitare che l’impatto di tali trasformazioni sia devastante e si ritorca contro noi stessi. Mettendo a rischio la stessa specie umana. Non stiamo parlando del Pianeta, ma dei suoi abitanti. Di noi e dei nostri figli.