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29 febbraio 2016

Guglielmo Pepe :L'inquinamento atmosferico è un problema costituzionale

Tratto da National Geographic

L'inquinamento atmosferico è un problema costituzionale


L'aria avvelenata che respiriamo da anni, soprattutto nelle grandi città, verrà attenuata per qualche giorno grazie alle ultime piogge sparse sull'intero territorio nazionale. La Natura è impietosa con i suoi nemici, anche se a volte sa essere clemente. Ma non serve la palla di vetro per affermare che nel prossimo periodo l'alta pressione sarà sempre più dominante, contribuendo a trasformare il nostro paese - come tanti altri - in un luogo sempre più caldo e sempre meno respirabile. Lo smog aumenterà, le polveri sottili cresceranno in modo costante ben oltre i 50 microgrammi al metro cubo - la soglia critica - e le malattie respiratorie saranno sempre più diffuse, con effetti pesanti sulla sanità pubblica.

Noi che faremo, oltre ad indossare le quasi inutili mascherine? Andremo sempre più spesso a piedi? Useremo poco le auto costrette allo stop dai frequenti blocchi del traffico privato? Da tempo abbiamo capito che questi comportamenti e queste misure sono assolutamente insufficienti. Perché la circolazione delle auto dovrebbe essere fermata in modo costante, continuativo, per riuscire ad abbattere seriamente i livelli di PM10. Servirebbero invece interventi di politica ambientale vasta, profonda, efficace.
Ma ora il rischio è che neppure i blocchi temporanei alle auto saranno applicati, in particolare a Milano, Roma, Napoli - tra le più colpite dallo smog - perché sono prossime le elezioni amministrative e nessun Comune - salvo quelli commissariati - prenderà decisioni poco gradite dai cittadini, mentre le altre decisioni che incidono sul modo di produrre, vivere, consumare non possono essere improvvisate.

La sensazione netta è che l'inquinamento atmosferico non sia in cima agli interessi del governo nazionale, e quelli locali se ne fanno carico soltanto quando rappresenta un pericolo progressivo. Tuttavia siccome non stiamo parlando di ambiente in modo generico e/o ideologico, bensì di un problema molto concreto, tangibile, allora dovrebbe essere affrontato come tale. Perché l'articolo 32 della Costituzione tutela la salute "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".

Bene: credo che oggi vi siano tutti i presupposti per avviare una class action contro chi non mette in atto le politiche per attuare l'articolo 32 della Costituzione. Alla fin fine, l'inquinamento atmosferico e ambientale è una questione costituzionale.


Guglielmo Pepe
tratto daatmosferico-e-un-problema-costituzionale/

27 febbraio 2016

La Nasa: nove mesi di fila di temperature mai viste prima. Il gennaio piu' caldo di sempre Dopo l'anno piu' caldo di sempre.

La Nasa: nove mesi di fila di temperature mai viste prima. A Gennaio 2016 sette gradi in piu' in Artico.

Le temperature medie attorno al globo nel Gennaio 2016.

Anomalie di caldo al nord, su Canada, Groenlandia e Siberia.

Il gennaio piu' caldo di sempre
Dopo l'anno piu' caldo di sempre. 


E' stato un 2015 record. E' stato un Gennaio 2016 record. Secondo i dati appena pubblicati dalla NASA Goddard Institute for Space Studies la temperatura del pianeta e' stata di 1.13 gradi centigradi piu' elevate che nel trentennio fra il 1951 e il 1980. 

Per di piu' sono nove mesi di fila che si registrano temperature record. Cioe' gli scorsi Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre e Gennaio sono stati i mesi piu caldo di sempre. O almeno da quando si tiene il conto, e cioe' dal 1880.

Una componente di questi aumenti e' certo dovuta a El Nino, la perturbazione sul Pacifico che porta correnti di aria dall' America del Sud fino a verso l'equatore. Ma Thomas R. Karl, direttore del National Center for Environmental Information della NOAA dice che El Nino e' solo una piccola anomalia rispetto al resto, e che e' lampante che con o senza El Nino le temperature sono in rocambolesco aumento. La volta scorsa che sul pianeta El Nino ha portato a temperature record, i valori sono stati molto al di sotto di quelli registrati fra il 2015 e il 2016.

La cosa piu' inquietante e' che il riscaldamento dell'Artico avviene con un tasso doppio del resto del pianeta.  Secondo la NASA le temperature al polo Nord sono salite fra i 2.2 e i 7.3 gradi centigradi rispetto alla media a Gennaio 2016. Questo causa il calo del volume dei ghiacci dell'Artico, e infatti anche la superficie delle nevi perenni e ' in forte calo. Piu' di un milione di chilometri quadrati rispetto alla media. 

In Artico le temperature medie aumentano di due volte tanto a causa di "feedback loops" positivi, cioe' di reinforzamenti dei fenomeni che si alimentano da soli. Una sorta del detto "piove sul bagnato". Le emissioni di gas serra causano lo scioglimento dei ghiacci dell'Artico. Durante l'estate la luce del sole che normalmente sarebbe riflessa dalla neve e dal ghiaccio, cade ora su acque ed oceani, scuri e di maggior assorbimento del calore. E cosi' l'acqua si riscalda di piu' e parte del calore viene re-irradiatata in atmosfera, amplificando l'aumento della temperatura.

Prima o poi dovremo preoccuparci di queste cose e di tutti gli equilibri che vengono distrutti con l'aumento della temperatura. Prima, e non poi. 


Leggi anche su ItalianClimate Network
Italian Climate Network

Cosa sta succedendo al clima

Qualche anno fa si pensava che il riscaldamento globale fosse solo l’aumento di temperature, la fusione dei ghiacci e l’innalzamento del livello dei mari sul lungo periodo.
Oggi sappiamo che la questione è molto più complessa, rischiosa, e più vicina a noi: tanti sono i segni del clima che cambia, che già possiamo misurare e che sono raccontati in migliaia di articoli sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, e riassunti ogni 6 anni dalle migliaia di pagine dei volumi dell’Intergovermental Panel on Climate Change (IPCC), il comitato ONU sul clima. Un lavoro colossale in grado di far parlare tra loro la scienza dell’atmosfera e dei mari, la geologia e l’ecologia, l’idrologia e la glaciologia, l’economica e la sociologia, di valutare le azioni della diplomazia internazionale.
Oggi sappiamo ormai tanto del problema del cambiamento climatico:
  • il pianeta si sta riscaldando e continuerà a riscaldarsi nei prossimi decenni
  • le attività umane – in particolare la combustione di carbone, gas e petrolio – ne sono la causa principale;
  • alluvioni, siccità, ondate di calore, ovvero quelli che gli esperti chiamano eventi estremi, si stiano intensificando in diverse parti del mondo e in modo irregolare e mettono a repentaglio l’idea di stabilità cui siamo abituati: comunità distrutte, danni economici a persone e interi sistemi produttivi, e purtroppo anche morti e feriti.
Gli effetti del cambiamento climatico cui stiamo già assistendo sono diversi da qualsiasi altra cosa abbiamo visto fino ad ora”,

ha recentemente dichiarato Bill McKibben, fondatore di 350.org.
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26 febbraio 2016

Maria Rita D'Orsogna - Francia, stop alla ricerca petrolifera e investimenti nelle rinnovabili

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Maria Rita D'Orsogna

Francia, stop alla ricerca petrolifera e investimenti nelle rinnovabili

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Il governo francese, su proposta del ministro dell’Ecologia e dell’Energia di Francia, Segolene Royalha deciso di vietare tutte le operazioni di ricerca petrolifera sul proprio territorio. Non cercheranno più petrolio da nessuna parte – una decisione monumentale. Visto che in Francia in questo momento ci sono 54 permessi esplorativi e 130 domande di ricerca di petrolio, più di 180 istanze assegnate o da assegnare finiranno nel dimenticatoio.
Segolene Royal ha ricordato che spera che il diniego di nuovi permessi esplorativi porterà nuovi investimenti nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica del paese. Dice anche che bloccare la ricerca di petrolio è una risposta naturale all’esigenza di diminuirne l’uso. La decisione verrà inglobata nell’Energy Transition Act, varato nel 2015 dalla Francia e che impone per il 2050 la riduzione dell’uso di energia del 50% rispetto ai livelli del 2012, e di un taglio del 30% dell’uso di fonti fossili entro il 2030.
Segolene Royal è stata da poco nominata presidente del Cop21, il ramo delle Nazioni Unite che si occupa di cambiamenti climatici. A gennaio era stata in visita in California, ad incontrare i leader dell’industria anche verde di questo stato, e poi all’Onu per discutere con il segretario generale Ban Ki Moon come fare per implementare al meglio le decisioni prese durante il summit del clima di Parigi. A New York disse: “Ogni nazione deve adesso trasformare gli impegni presi a Parigi in azioni concrete” e che l’Europa deve rimanere di esempio per altri paesi sulla transizione rapida verso l’energia pulita. Con questa decisione del no a tutti i nuovi permessi petroliferi, la Francia di Segolene Royal cerca di fare il suo primo passo.
La Francia diventa così la prima nazione d’Europa a vietare la ricerca petrolifera nei propri confini nazionali. Nel 2011 i cugini d’oltralpe avevano già vietato il fracking, prima di tutti gli altri, dando l’esempio a Bulgaria, Germania ed Olanda che hanno successivamente adottato provvedimenti simili o comunque molto restrittivi sull’estrazione di shale gas.  In Francia la persona che si occupa di ambiente e di energia è la stessa persona. In Francia negli scorsi anni hanno approvato leggi o preso decisioni per facilitare la creazione di giardini sui tetti o per incentivarne la solarizzazione, per pavimentare le strade con pannelli solari, per aumentare le tasse sulle emissioni di Co2, e pure per diminuire la propria dipendenza energetica dal nucleare.
E in Italia? Possiamo per una volta pure noi prendere decisioni grandi e lungimiranti e non solo sulla scia delle proteste popolari, quanto invece dall’alto, con intelligenza e programmazione e per il bene del paese?

RICORDA : L’inquinamento minaccia la salute per decenni.

                         Tratto da Healthdesk

L’inquinamento minaccia la salute per decenni

Chi ha vissuto in aree inquinate negli anni Settanta, oggi ha un rischio di morte più alto del 14 per cento rispetto a chi 40 anni fa respirava aria più pulita
Cristina Gaviraghi

Non è solo questione di soffrire con più frequenza di raffreddore, mal di gola e raucedine
La scienza sta mostrando sempre di più che l’influenza dell’inquinamento atmosferico sulla salute va ben oltre, con effetti che coinvolgono cuore, arterie, polmoni in modo tanto serio da incidere sul tasso di mortalità. 

E dall’Imperial College di Londra arriva anche la notizia che i danni dell’aria malsana si protraggono per molto tempo, facendosi sentire anche a distanza di trent’anni e più. Sulla rivista Thorax è stato infatti pubblicato uno dei più lunghi studi condotti sugli effetti dell’inquinamento atmosferico. 
Nell’indagine, la salute di circa 340 mila persone, residenti in Inghilterra e Galles, è stata messa in relazione con la qualità dell’aria presente in quelle zone, valutata negli anni 1971, 1981, 1991 e 2001. I ricercatori, coordinati dall’epidemiologa Anna Hansell, hanno cercato di capire se, negli anni, i tassi e alcune cause di mortalità erano collegati con i dati relativi alle concentrazioni di alcuni inquinanti atmosferici, come il fumo nero, il biossido di zolfo e il PM10. 

I primi due, prodotti in gran parte dalla combustione di carbone, cherosene e olii combustibili, erano inquinanti particolarmente diffusi fino agli anni novanta, mentre negli ultimi due decenni le cosiddette polveri sottili, legate in gran parte al traffico veicolare, hanno cominciato a pesare sempre di più sulla qualità dell’aria. Nel corso del tempo, la varietà delle sostanze nocive presenti in ciò che respiriamo si è modificata, anche in base ai cambiamenti dei combustibili bruciati e delle attività dell’uomo e i livelli di certi inquinanti sono diminuiti rispetto a quelli presenti negli anni Settanta.
Ma ciò che rende l’aria malsana nei tempi moderni sembra essere particolarmente pericoloso. 

I dati raccolti hanno mostrato, infatti, che a ogni incremento di unità di inquinamento, quantificata in 10µg di sostanze inquinanti per un metro cubo d’aria, registrato nel 2001 era associato un aumento della probabilità di morte tra il 2002 e il 2009 pari al 24 per cento........

«Per tradurre in termini più pratici quanto abbiamo osservato possiamo affermare che a un abitante di una zona altamente inquinata nel 1971 era associato un rischio di morire, nel periodo 2002-2009, più alto del 14 per cento rispetto a quello relativo a chi invece aveva respirato aria più pulita; un valore non certo irrilevante che spinge a proseguire la ricerca sull’argomento», spiega Hansell. 

Ma morire per cosa? Le patologie legate all’inquinamento atmosferico riguardano principalmente polmoni e cuore. 
Le polveri sottili e le sostanze tossiche presenti nell’aria si insinuano nelle vie respiratorie favorendo l’insorgenza di bronchiti, enfisema, polmoniti e patologie polmonari più serie. Non solo. Recenti studi mostrano che gli inquinanti possono penetrare a tal punto nel corpo da diventare pericolosi anche per il sistema cardiocircolatorio, aumentando il rischio di ictus e infarto.....
 Leggi su  Healthdesk l'articolo integrale

25 febbraio 2016

IEA:Ai combustibili fossili 550 miliardi all’anno di sussidi, quattro volte più che alle rinnovabili

Tratto da Ciaccimagazine
In tutto il mondo le fonti fossili sono sovvenzionate direttamente in modo spropositato, secondo la Iea. Eliminando i sussidi le emissioni calerebbero già del 20%. E le rinnovabili vincerebbero.
I sussidi ai combustibili fossili come fonte d’energia, si legge nel nuovo World Energy Outlook della International Energy Agency, hanno raggiunto i 550 miliardi di dollari nel 2013. Più di quattro volte quelli elargiti a favore delle energie rinnovabili. Un ostacolo agli investimenti in efficienza e in fonti pulite. E se si calcolassero anche i costi ambientali e alla salute, la cifra decuplicherebbe.
L’Arabia Saudita in due anni ha aumentato di 800.000 barili al giorno la sua capacità produttiva di petrolio grazie all’entrata in funzione delle nuove raffinerie di Yanbu e Jubail.
Dal Medio Oriente all’Italia, le storture dei sussidi a petrolio e fonti fossili. L’International Energy Agency è un’agenzia intergovernativa – non un’associazione ambientalista. È l’agenzia dei Paesi sviluppati che elabora scenari sulle questioni energetiche. Per fare qualche esempio, secondo la Iea circa 2 milioni di barili al giorno di greggio e di prodotti raffinati vengono utilizzati in Medio Oriente per generare elettricità. Ma in assenza di sussidi, le principali fonti rinnovabili sarebbero competitive rispetto alle centrali elettriche alimentate a petrolio.
In Arabia Saudita, il costo in più di un’autovettura due volte più efficiente rispetto alla media delle vetture circolanti è recuperabile in 16 anni: questo periodo di ritorno dell’investimento si ridurrebbe a 3 anni se la benzina non fosse sussidiata. I sussidi alla produzione di combustibili fossili in Italia arrivano a 2,7 miliardi di euro l’anno.
Messo così, il World Energy Outlook 2015 pubblicato il 10 novembre sembra più una denuncia sugli abusi degli aiuti pubblici a petrolio, gas e carbone. I sussidi alle fonti fossili – vi si legge – hanno raggiunto i 550 miliardi di dollari nel 2013, più di quattro volte quelli elargiti a favore delle energie rinnovabili, frenando così in modo surrettizio gli investimenti in efficienza e in fonti pulite.
Cinque anni fa era ancora peggio. I sussidi ammontavano a 523 miliardi di dollari, in aumento di circa il 30% rispetto al 2010 ed erano addirittura sei volte superiori agli incentivi erogati a favore delle fonti rinnovabili....
Calcolando i costi indiretti, si arriva a 5.300 miliardi di dollari all’anno
La stima della Iea non tiene conto degli aiuti indiretti, cioè del fatto che l’industria delle fossili non paga, bensì scarica sulla collettività le esternalità negative, cioè i danni a salute, ambiente e clima che produce.
Per non parlare delle guerre.
Se si calcolassero anche questi aspetti, come di recente ha fatto il Fondo Monetario Internazionale, risulterebbe che a petrolio, gas e carbone vanno aiuti pubblici, diretti e indiretti, per 10 volte tanto: 5.300 miliardi di dollari all’anno, vale a dire il 6,5% del Pil mondiale e 10 milioni di dollari ogni minuto.
Risultati immagini per carbone
Il carbone è il combustibile fossile che produce il 40% dell’energia globale ma è responsabile del 70% delle emissioni di gas serra legate all’energia, cioè di circa la metà delle emissioni di gas serra totali.
Il carbone è il combustibile fossile che produce il 40% dell’energia globale ma è responsabile del 70% delle emissioni serra legate all’energia, cioè di circa la metà delle emissioni serra totali.
Eliminando i sussidi alle energie fossili, emissioni in calo già dal 2020
Le emissioni mondiali potrebbero iniziare a calare già nel giro di 5 anni e senza costi aggiuntivi. Ma solo se, sottolinea la Iea nel suo Special Report on Energy and Climate Change, i governi taglieranno i sussidi alle fonti fossili, evitando di costruire nuove centrali a carbone e puntando su rinnovabili ed efficienza energetica. 
Eliminando tutti questi sussidi impliciti ed espliciti le emissioni di gas serra calerebbero del 20%, e sarebbe un passo avanti decisivo nella lotta al riscaldamento globale. Stefano Carnazzi – Lifegate

23 febbraio 2016

Croazia, Italia e Colombia accomunati da danni da carbone

Traduzione da bankwatch.org

Croazia, Italia e Colombia accomunati  da danni da carbone

I residenti vicino a Plomin nella Regione Istriana della Croazia sono da anni preoccupati per l'impatto sulla salute dell'inquinamento atmosferico   dalle unità centrali elettriche Plomin 1 e 2 esistenti e  per la prevista Plomin C.
Tuttavia, è molto meno noto che circa un quarto di carbone della Croazia proviene dalla Colombia, dove l'estrazione del carbone a cielo aperto mette in pericolo direttamente le comunità locali attraverso il reinsediamento, l'inquinamento e l'uso eccessivo delle risorse idriche.
Ad esempio, le  migliaia di tonnellate di carbone bruciato a Plomin nel corso degli ultimi 15 anni  sono arrivate dalla miniera di El Cerrejon nella regione di La Guajira in Colombia.
 Alla protesta della scorsa settimana, Danilo Urrea dal gruppo colombiano CENSAT-Agua Viva / Amis de la Terre Colombia ha parlato delle conseguenze disastrose dell' estrazione del carbone nella miniera.
Sotto l'apparenza di sviluppo, ha detto Urrea, in meno di 30 anni, le miniere di carbone e aziende agricole industriali hanno guadagnato il controllo delle principali risorse idriche a La Guajira, ed  hanno inquinato e impoverito. Le operazioni di estrazione a El Cerrejon usano 17 milioni di litri di acqua al giorno per liberare  dalla polvere di carbone  caduto dai camion  le strade, mentre l'abitante medio di La Guajira beve meno di un litro di acqua al giorno.
Di fronte a tale carenza d'acqua, le comunità locali non possono più coltivare il proprio cibo, e le  persone nella regione stanno  morendo a causa della mancanza di cibo e acqua.......
Considerando che le coltivazioni  delle comunità locali si basavano  sulle  ricche risorse idriche della regione, con l'agricoltura tradizionale, l'allevamento del bestiame e la pesca, Urrea vede El Cerrejon come responsabili della crisi e  per  l' impoverimento  dell' agricoltura  delle comunità locali, e  ne e' seguito un  conflitto tra i residenti e le imprese minerarie .
I paesi importatori di carbone  ne condividono  anche la responsabilità.
Insieme con la Croazia, l'Italia è uno di quei paesi. Ma in questo caso la storia può avere una estensione stimolante. Parlando all'evento, Antonio Tricarico di Re: Common ha parlato del caso unico della centrale di Vado Ligure, di proprietà di Tirreno Power, che  ha bruciato  carbone  fino al marzo 2014, quando un giudice ha ordinato la temporanea (ma  potrebbe... diventare permanente ) chiusura delle sue due  unità a carbone da 330 MW.
Dopo i gruppi locali hanno presentato il  caso   Italiano  dove  il pubblico ministero,dopo  un'indagine scrupolosa  ha  ufficializzato l' ipotesi di  reato  nei confronti di 86 persone, tra cui il direttore della centrale, così come  per alcuni i funzionari locali. L'indagine, che è stata  chiusa di recente,  mira a delineare  le responsabilità per  disastro ambientale e omicidio colposo   ed e' stato anche sostenuto che, nel caso di Vado Ligure, la pressione aziendale avrebbe influenzato le decisioni di funzionari pubblici. L'inizio del processo è atteso a breve.
Mladen Bastijanic, un attivista , ha sottolineato che l'Istria soffre anche di scarsità d'acqua. L'acqua di alta qualità proveniente  dalla sorgente Jama Bubic viene utilizzata per la centrale  di Plomin mentre  i residenti della vicina città di Labin   utilizzano  acqua di qualità molto più scadente     proveniente dalle sorgenti della valle Rasa, una situazione che ha descritto come "criminale".
Dusica Radojcic di  Green Istria ha sottolineato che l'apertura di Plomin C creerebbe la necessità di ancora maggiori volumi di carbone importato e che lo sviluppo basato sul carbone è semplicemente immorale.Il nuovo governo croato ha recentemente approvato una moratoria sulla costruzione di nuove centrali a carbone,e a   testimonianza  di cio'   sarebbe  necessario ritirarsi  definitivamente dal Plomin C, ha concluso.

22 febbraio 2016

Blitz di Greenpeace: Il TTIP trasferisce il potere decisionale dalle persone alle grandi multinazionali»

Tratto da Greenreport

Ttip, blitz di Greenpeace: bloccato il nuovo round di trattative Usa – Ue 

«Il Trattato trasferisce il potere decisionale dalle persone alle grandi multinazionali»
[22 febbraio 2016]
TTIP Greenpeace 0
Stamattina gli attivisti di Greenpeace hanno bloccato l’accesso al centro conferenze dove, fino al 27 febbraio è previsto un nuovo round di trattative a porte chiuse tra Stati Uniti e Unione europea sul Transatlantic trade and investment partnership (Ttip). 30 attivisti si sono incatenati all’ingresso del palazzo i, mentre alcuni climber hanno srotolato sulla facciata del centro conferenze un grande banner che raffigura il Ttip come una strada senza uscita, un vicolo cieco per l’Europa.
Secondo Greenpeace, «il Ttip è una minaccia per la democrazia, la protezione dell’ambiente, gli standard di sicurezza sulla salute, le condizioni dei lavoratori, a tutto vantaggio delle multinazionali, a cui verrebbe dato un potere senza precedenti».
Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura sostenibile e progetti speciali di Greenpeace Italia, spiega che «Questo accordo non riguarda il commercio, bensì il trasferimento di potere decisionale dalle persone alle grandi multinazionali», «Quelle che la Commissione europea chiama barriere al commercio sono di fatto misure di sicurezza che tengono lontani OGM e pesticidi dal cibo che mangiamo e le sostanze tossiche dall’aria che respiriamo. Le negoziazioni a porte chiuse di questi giorni vorrebbero indebolire questi standard di sicurezza e massimizzare il profitto delle multinazionali, non importa con quali costi per persone e ambiente. È nostra responsabilità denunciare tutto questo e dare voce ai milioni di persone che si oppongono al Ttip».
L’obiettivo del Ttip è quello di abbattere le barriere al commercio tra Usa ed Ue e di  proteggere gli investimenti esteri prima di ogni altra cosa. Con tariffe sul commercio transatlantico già molto basse, le trattative si concentrano sulla rimozione delle barriere “non tariffarie” da leggi e regolamentazioni in quasi tutti i settori dell’economia, dall’agricoltura all’industria tessile, dall’informatica al settore bancario.
I negoziatori della Commissione europea e del dipartimento del commercio Usa dovrebbero discutere per 5 giorni di un aspetto particolare e controverso del Ttip, che permetterebbe a investitori stranieri di sfidare le norme che difendono cittadini e ambiente, anche per aspetti come il cibo, l’inquinamento chimico e l’energia. Lo schema proposto dalla Commissione Ue, noto come Investment court system (Ics) – darebbe a una “Corte di Investimenti” priorità rispetto ai Paesi per difendere interessi privati degli investitori.
Greenpeace è convinta che l’Ics potrebbe: «Istituire un sistema giudiziario privilegiato che consentirebbe alle multinazionali di bypassare le corti nazionali;  consentire ai giudici dell’Ics, che non sarebbero assegnati permanentemente a questa corte, di poter accettare incarichi dalle aziende private, sollevando serie preoccupazioni su possibili conflitti di interessi; consentire trattamenti preferenziali per aziende straniere rispetto a quelle locali o nazionali; violare i principi democratici e il diritto dei governi ad adottare e applicare leggi; avere un effetto deterrente per le autorità pubbliche, scoraggiandole ad adottare e far rispettare norme di interesse pubblico, per paura di essere perseguiti».
Andrea Carta, consigliere legale di Greenpeace european unit evidenzia che «l’istituzione di una corte speciale a protezione dei profitti delle aziende private è una seria minaccia per la democrazia. Quanto proposto dalla Commissione sarebbe a tutto svantaggio del commercio locale e minaccerebbe il diritto dei governi di adottare leggi a tutela dei cittadini e contro gli interessi delle multinazionali. Le stesse regole applicate per chiunque altro devono valere anche per queste ultime.
Milioni di persone hanno già firmato la petizione per fermare il Ttip, per difendere gli standard europei sulla sicurezza del cibo, l’uso di sostanze tossiche, l’assistenza sanitaria e i diritti dei lavoratori.

Portoscuso, tumori e malattie dei bimbi: la centrale a carbone fa paura.Il rischio è che l'aria si avveleni, ancora di più.

Tratto da Unione Sarda

Portoscuso, tumori e malattie dei bimbi: la centrale a carbone fa paura



il polo industriale di portovesme
Il polo industriale di Portovesme
A Portoscuso si respira il male. È una "zona ad alto rischio ambientale che presenta un aumento di patologie a carico del polmone come l'asma bronchiale nei bambini, bronco pneumopatie in genere e tumori polmonari negli adulti maschi".
Un'opinione diffusa, ora certificata dall'Asl di Carbonia chiamata a esprimere un parere sulla nuova centrale a carbone che l'Eurallumina vorrebbe realizzare per far ripartire la produzione.
Il documento, datato 18 gennaio, porta la firma di Sergio Caracoi, responsabile del servizio Igiene e sanità pubblica dell'azienda sanitaria del Sulcis: le ciminiere accese sono poche ma, si legge, nella zona le malattie - anche mortali - sono aumentate. Pure tra i più piccoli.
E, vista la situazione già critica, il giudizio sull'impianto che dovrebbe spuntare in zona industriale ma a due passi dal paese, per come è stato presentato finora, non è positivo. Il rischio è che l'aria si avveleni, ancora di più. Tanto che l'Asl chiede chiarimenti.

21 febbraio 2016

Ansa - Ilva: da Strasburgo via libera a ricorso urgente

Tratto da Inchiostro Verde

             

Ilva: da Strasburgo via libera a ricorso urgente


La Corte europea dei diritti dell’uomo ha accettato la domanda di trattazione prioritaria del ricorso collettivo presentato da un gruppo di residenti di Taranto per denunciare la violazione, dallo Stato italiano, degli obblighi di protezione della vita e della salute in relazione all’inquinamento prodotto dall’Ilva. 

Lo comunica l’avvocato Andrea Saccucci, che difende i ricorrenti insieme ai colleghi Guerino Fares e Roberta Greco. Tra le doglianze sollevate figurano la violazione del diritto alla vita e all’integrità psico-fisica, in quanto le autorità nazionali e locali hanno omesso di predisporre un quadro normativo ed amministrativo idoneo a prevenire e ridurre gli effetti gravemente pregiudizievoli derivanti dal grave e persistente inquinamento prodotto dal complesso dell’Ilva. 

Contestata anche la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, anche in conseguenza dei ripetuti decreti “salva Ilva” con cui il Governo ha mantenuto in funzione l’impianto sotto la propria gestione. (Ansa)

20 febbraio 2016

. Immagine da Zelena Istria

“Il costo del carbone?


 Le nostre vite”


Immagine e testo   tratti da  Re-Common

“Il costo del carbone? Le nostre vite”.  
Così recitava lo striscione issato ieri mattina dagli attivisti di Zelena Istria nel campo antistante la centrale termoelettrica a
 carbone di Plomin, in Istria.....
A Plomin è stata rilanciata una nuova solidarietà lungo le vie del carbone a livello mondiale, per evitare che questo combustibile del passato porti nuove morti nel Sud come nel Nord globale. 
Una questione di giustizia, che nessuno può più ignorare...
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Quante centrali a carbone ci sono ancora in Italia.
Tratto da Lifegate
In Italia abbiamo 12 centrali a carbone, ma non abbiamo carbone. I dati dicono che in poco più di 50 anni il combustibile fossile più inquinante in assoluto finirà. Uno studio del Wwf indica un'altra strada, per la Liguria.

Dodici centrali sparse tra Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna producono elettricità bruciando carbone. Otto sono di proprietà dell’Enel, due di A2A, una della E.ON e una della Edipower. Nel 2014 hanno soddisfatto il 13,5 per cento del consumo interno lordo di energia elettrica a fronte delle emissioni di ben 39 milioni di tonnellate di CO2, circa il 40 per cento di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale.




In Italia ci sono 12 centrali a carbone: producono un terzo delle emissioni del sistema elettrico nazionale. © Assocarboni



In Italia non ci sono giacimenti di carbone, eccetto il bacino sardo del Sulcis Iglesiente. Riaperto nel 1997 dopo 25 anni di inattività, oggi produce un milione di tonnellate all’anno di carbone considerato di scarsa qualità (possiede un tenore troppo alto di zolfo). Il 90 per cento del carbone che bruciamo arriva via mare da Stati Uniti, Sudafrica, Australia, Indonesia, Colombia, Canada, Cina, Russia e Venezuela.




Il paesaggio lunare, privo di vegetazione, creato da una miniera di carbone in Germania © Sean Gallup/Getty Images



L’Italia deve dotarsi di una exit strategy dal carbone


In un suo recente dossier, l’organizzazione ambientalista Wwf dimostra che entro il 2070 la disponibilità di carbone si esaurirà, fermo restando che anche se continuassimo a estrarlo fino al suo termine l’impatto sull’ambiente sarebbe devastante. La scelta del carbone è, dunque, a perdere, specie per un paese come l’Italia privo di risorse proprie, ma che non dispone ancora di una exit strategy dal carbone e dove addirittura a volte si sente parlare di nuove centrali, come ad esempio il progetto di Saline Joniche a Reggio Calabria, il più grande progetto di costruzione ex novo di centrale a carbone in Italia (ma sul quale non è ancora arrivato il parere della Commissione valutazione impatto ambientale). L’area in cui dovrebbe sorgere è già devastata da stabilimenti mai decollati che hanno fatto solamente la gioia della ‘ndrangheta.



La miglior fonte di energia è l’efficienza

Per quanto riguarda la potenza installata (ovvero la potenza massima erogabile dalle centrali) l’Italia è tecnicamente autosufficiente. Lo dice Terna, il principale operatore per la trasmissione dell’energia elettrica. Le centrali esistenti sono già in grado di erogare una potenza massima netta di circa 121 gigawatt contro una richiesta massima di 51,5 GW. Questo perché si preferisce acquistare energia dall’estero (14 per cento del fabbisogno nazionale) considerata più conveniente, e le centrali italiane sono costrette a funzionare a scartamento ridotto. La proposta di Wwf è riportata nelle conclusioni del dossier: “l’Italia farebbe meglio a puntare su un diverso modello energetico centrato sul risparmio, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, partendo dalla generazione distribuita in piccoli impianti alimentati sempre più da energie rinnovabili allacciate a reti intelligenti (smart grid) integrate con efficaci sistemi di accumulo”.

Lo studio dell’Enea sulla green economy

Sempre il Wwf ha commissionato a Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) uno studio sulle possibilità di transizione verso un modello più sostenibile per le imprese della Liguria, indicando nella conversione la chiave della ripresa: la produzione di batterie per gli impianti fotovoltaici, gli interventi di efficienza energetica nel settore residenziale, l’elettrificazione delle banchine portuali sono solo alcuni dei progetti che secondo Enea creerebbero più 4.500 posti di lavoro abbattendo della metà le emissioni pro capite della Regione.