Rinnovabile significa lavoro ma in Italia ancora troppi 'no'
Il tema è il rapporto tra energia e lavoro. A intervenire sono stati, tra gli altri, il presidente dell'Abi Giuseppe Mussari, il segretario dell'Ueapme (l'associazione europea delle piccole e medie imprese) Andrea Benassi, il presidente della Lega Coop Giuliano Poletti, il segretario della Cgil Susanna Camusso. Guest star: Jeremy Rifkin, il teorico della terza rivoluzione industriale che ha dipinto lo scenario di una democrazia rafforzata dalla creazione di una rete energetica diffusa che toglie potere agli oligopoli, distribuisce ricchezza, offre garanzie contro i blackout e protegge l'ambiente.
"Vent'anni fa la terza rivoluzione industriale sembrava un'utopia, oggi è il modello verso cui marciano le tre economie più importanti: Stati Uniti, Germania, Cina - ha detto Epifani - il nuovo sta crescendo ma in Italia il vecchio resiste. L'88 per cento dell'energia viene ancora dai fossili e la scelta del governo di far ripartire il nucleare è in netta controtendenza rispetto all'andamento dei mercati. Il 62 per cento degli investimenti èconcentrato sulle fonti rinnovabili e la percentuale tende a salire. In questo quadro che senso ha puntare come minimo 20 miliardi di euro nella costruzione di quattro nuove centrali e accantonarne più del doppio per uno smaltimento corretto delle scorie e degli impianti?".
La Cgil chiede posti di lavoro. Subito. Investendo nella direzione indicata dall'Europa che ha fissato gli obiettivi del 20 - 20 - 20 dando dieci anni di tempo ai paesi membri per potenziare le rinnovabili e tagliare le emissioni serra che stanno facendo aumentare il caos climatico, cioè le alluvioni, gli uragani, le siccità devastanti e prolungate.
Rischi ai quali, sottolinea Antonio Filippi, della Cgil, non corrispondono vantaggi sul piano occupazionale: "Per produrre un terawattora di energia elettrica servono 75 lavoratori nel nucleare, 918 nell'eolico, ancora di più nel fotovoltaico". L'occupazione verde in Italia vale già oggi 100 mila posti di lavoro. Secondo l'Istituto di ricerche economiche e sociali si può arrivare a quota 250 mila solo nel settore delle rinnovabili.
Leggi su Beecologista
“Carbone: ritorno al passato” ecco tutti i perché del no al carbone
Legambiente presenta numeri e motivi del ‘no’ nel dossier ‘Carbone: ritorno al passato’ mentre dalla Calabria continua l’opposizione dell’associazione ai progetti di riconversione e a nuove centrali.
Una centrale tutta nuova a Saline Joniche in provincia di Reggio Calabria e la riconversionedella centrale di Rossano Calabro per i gruppi alimentati a olio combustibile. Sono le ultime due proposte di ‘ritorno al passato’ fondate sul carbone che l’Italia potrebbe vedere realizzate dopo la riconversione, già attuata, della centrale di Civitavecchia (Rm), il nuovo gruppo autorizzato di Fiume Santo in Sardegna e i progetti di Porto Tolle (Ro) sul delta del Po e Vado Ligure (Sv), sui quali manca solo la firma del decreto autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo economico.....
Secondo i calcoli di Legambiente se alla centrale riconvertita di Civitavecchia ormai in attività si affiancassero i nuovi gruppi o centrali proposti dalle aziende energetiche, le emissioni diCO2 degli impianti a carbone raddoppierebbero in pochi anni, passando dagli attuali 35,9 milioni di tonnellate a 74,8.
Leggi l'articolo integrale
Nessun commento:
Posta un commento