Tratto da Agoràmagazine
La giustizia ambientale negata dal parlamento italiano
ll Principio 10 della “ Dichiarazione di Rio” del 1992 afferma che “ il
modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare
la partecipazione di tutti i cittadini interessati ai diversi livelli .
A livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle
informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche
autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività
pericolose nella comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai
processi decisionali.
Gli Stati faciliteranno ed
incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico
rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi gli strumenti di ricorso e di indennizzo”.
Il 25 giugno 1998 ad Aarhus in Danimarca viene
sottoscritta sotto l’egida della United Nations Economic Commission for
Europe la “ Convenzione di Aarhus “ . L’Italia l’ha ratificata con la
legge 108 undici anni fa: “Ratifica ed esecuzione
della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del
pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia
ambientale, con due allegati, fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998 “ !
Fa riferimento a tre pilastri:
- l’accesso alla informazione ambientale
- la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali
- l’accesso alla giustizia.
Questi tre pilastri sono diventati gracili appoggi in
un Paese come il nostro, caratterizzato storicamente da destra e
sinistra che hanno considerato l’ambiente un pozzo senza fine e un
ecologismo che nella sua dirigenza fluttua tra snobismo elitario e
antindustrialismo tardo romantico. Sarebbe lungo trattare compiutamente
i tre “ appoggi” ma mi soffermerò sull’accesso alla giustizia sulle
questioni ambientali.
La Convenzione prevede che negli ordinamenti nazionali
deve essere garantito che i cittadini possono ricorrere a procedure di
revisione amministrativa e giurisdizionale qualora ritengano violati i
propri diritti in materia di accesso all’informazione o partecipazione.
Le procedure di revisione amministrativa devono essere celeri e gratuite
o poco onerose.
La direttiva del 26 maggio 2003, 2003/35/CE,
in attuazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione di Aarhus,
prevede la partecipazione del pubblico all’elaborazione di piani e
programmi in materia ambientale e l’accesso alla giustizia nel quadro
delle direttive 85/337/CE (VIA) e 96/61/CE (AIA).
La direttiva sull’AIA è modificata con l’inserimento di
un nuovo articolo il 15-bis che così recita “Gli Stati membri
provvedono, nel quadro del proprio ordinamento giuridico nazionale,
affinché i membri del pubblico interessato:…. abbiano accesso a una
procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro
organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare
la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni
soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite
dalla presente direttiva…….. Gli Stati membri stabiliscono in quale fase
possono essere contestati le decisioni, gli atti o le omissioni……. Tale
procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa”.
Né il Testo Unico sull’Ambiente (dlgs 152/2005) del
centrodestra e né il correttivo ambientale del centrosinistra
recepiscono alcunché che riguardi l’accesso alla giustizia sulle
questioni ambientali. Addirittura con grande faccia tosta nel correttivo
del centrosinistra all’art 4 leggiamo “Art. 4. Finalità 1. Le norme
del presente decreto costituiscono recepimento ed attuazione: a) della
direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27
giugno 2001, concernente la valutazione degli impatti di determinati
piani e programmi sull’ambiente; b) della direttiva 85/337/CEE del
Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la valutazione di impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata
ed integrata con la direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997 e
con la direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003.”.
Ma questa enormità è ben poca cosa rispetto alla”
pistola fumante” rappresentata dall’art 31 del Regio Decreto n.1054 del
1924 che è il Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato. L’art 31
così recita “Art.31. (Penultimo comma degli art. 22 e 23 del T.U. 17
agosto 1907, n. 638.) - 1. Il ricorso al Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti
emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”. Chiaro? I
vicentini hanno speso per gli avvocati un sacco di quattrini per fare
il ricorso al TAR , perché la direttiva 35 non ha regolamentato una “
procedura giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa
“ hanno vinto davanti al TAR del Veneto (sentenza 3992 del 29 luglio
2008), ma il Ministro della Difesa (Parisi) si appellò al Consiglio di
Stato che utilizzò proprio la norma del periodo del regime non
democratico per classificare come “ atto politico e, in quanto tale
sottratto al giudizio del giudice”.
A 10 anni, dal recepimento della Convenzione di Aarhus a
8 dalla direttiva 35 e a 88 dal Regio Decreto, nessun provvedimento di
Governo o proposta di parlamentare è mai intervenuta per tutelare
l’interesse del cittadino italiano sulle questioni che riguardano
l’ambiente e quindi il diritto naturale a vivere in un ambienta a basso
rischio. Infine inaudito appare l’enormità costituita dal mancato
adeguamento in legislazione dei limiti di emissione di diossina e furani
al Protocollo sugli inquinanti organici approvato dal Consiglio
d’Europa con Decisone n. 259 nel febbraio del 2004.
Tratto da Rinnovabili.it
Inquinamento:l'EPA si concentra sui grandi impatti
Rinnovabili.it)
– Proteggere l’aria che respiriamo, la terra su cui camminiamo e
l’acqua che beviamo e in cui nuotiamo.
Da cosa? Dall’inquinamento.
Gli
sforzi dell’Environmental Protection Agency (EPA) per affrontare i
grandi impatti dovuti all’inquinamento hanno dato i loro risultati: 19 i
miliardi di dollari investiti per migliorare le prestazioni ambientali,
di cui 3 sono serviti per ripulire le comunità dai rifiuti pericolosi e
far pagare chi ha inquinato; 168 i milioni di dollari di sanzioni
stimate per scoraggiare l’inquinamento; 25 i milioni di dollari
investiti in progetti ambientali a vantaggio delle comunità locali; 89,5
gli anni di carcere per i criminali ambientali.Sono questi i dati che emergono
dall’ultimo rapporto dell’EPA, diffuso ieri, nel quale viene fornita una
panoramica di quanto fatto nel corso dell’anno e di quanto siano state
rispettate le leggi ambientali per ridurre l’inquinamento. Per l’EPA, un
impegno stabile e determinato porta i suoi risultati e offre vantaggi
non solo per la salute pubblica, ma anche per le imprese responsabili e
le comunità di tutto il Paese. Ed è proprio grazie a questo impegno che
nel corso del 2011 l’Agenzia ha installato controlli sull’inquinamento
per un domani più pulito, trattato e correttamente smaltito 3,6 miliardi
di libbre di rifiuti pericolosi per proteggere la salute delle persone e
intrapreso azioni per contrastare la criminalità ambientale. L’azione
dell’EPA ha portato anche a un accordo con la Tennessee Valley Authority
(TVA), che oltre ad assicurare 27 miliardi di dollari all’anno che
garantiranno la salute pubblica dei cittadini, porterà allo stanziamento
di 350 milioni di dollari a favore di progetti ambientali.
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