Tratto da QualEnergia
La sostenibile leggerezza della riconversione
Cambiare il mondo si può. Quando gli Stati
Uniti sono entrati nella seconda guerra mondiale, in pochi mesi hanno
convertito l’intero loro apparato produttivo per far fronte alle
esigenze della produzione bellica. Oggi siamo di fatto in guerra contro
una minaccia altrettanto se non più mortale: quella dei cambiamenti
climatici.
13 giugno 2012
L’orizzonte esistenziale delle nostre vite è dominato dalla crisi ambientale:
non solo dai mutamenti climatici, che rappresentano ovviamente la
minaccia maggiore; ma anche dalla scarsità di acqua e suolo fertile (non
a causa della loro limitatezza naturale, ma dell’inquinamento e della
devastazione a cui sono sottoposti); dalla distruzione irreversibile
della biodiversità; dall’esaurimento del petrolio e degli altri
idrocarburi (che sono anch’essi “risorse naturali”, anche se utilizzate
prevalentemente per devastare la natura); dall’esaurimento di molte
altre risorse, sia geologiche che biologiche e alimentari (il nostro
“pane quotidiano”); dall’inquinamento degli habitat umani che riduce
progressivamente la qualità della vita e delle relazioni interpersonali.......
Scienziati di tutto il mondo, riuniti nell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), insistono
nel mettere in guardia i Governi che il tempo per evitare una
catastrofe irreversibile che cambierà i connotati del pianeta Terra e le
condizioni di sopravvivenza della specie umana sta per scadere; e che
misure drastiche devono essere adottate per realizzare subito un cambio
di rotta. Ma nelle recenti riunioni COP, Durban (2011), Cancun (2010)
Copenhagen (2009), non è successo praticamente niente.
La
delegazione europea, che aveva le posizioni più avanzate, ha rinunciato
– a causa della crisi finanziaria - a proporre agli altri Governi
vincoli più stretti (e quella italiana non ha mai avuto molto da dire).
Ma se stampa e media avessero dedicato alla minaccia di questa catastrofe imminente anche solo un decimo dell’attenzione dedicata allo spread, probabilmente il 99% della popolazione mondiale sarebbe scesa in piazza per costringere i rispettivi Governi a prendere provvedimenti immediati.
Ma se stampa e media avessero dedicato alla minaccia di questa catastrofe imminente anche solo un decimo dell’attenzione dedicata allo spread, probabilmente il 99% della popolazione mondiale sarebbe scesa in piazza per costringere i rispettivi Governi a prendere provvedimenti immediati.
A livello locale il nostro Paese – ma anche il resto d’Europa – viene sconvolto sempre più spesso dal dissesto di interi territori,
con morti e danni incalcolabili. Cielo (clima) e terra (suolo) si
uniscono nel provocare disastri che non hanno altra origine che
l’incuria e il profitto, e che mille “piccole opere” di salvaguardia del territorio (invece
di poche “Grandi opere” che concorrono al suo dissesto) potrebbero
invece prevenire.
Ma di questi problemi non si trova la minima traccia
nei discorsi ufficiali degli ultimi anni (compresa la presentazione in
Parlamento del governo Monti, dove la parola ambiente non è stata mai
nemmeno nominata).
La cultura ambientale, che è ormai “scienza della sopravvivenza”,
è fuori dal loro orizzonte. Eppure potrebbe e dovrebbe essere una
bussola per la riconversione del sistema economico (e di ogni prodotto
che usiamo o consumiamo, dalla culla alla tomba). Perché, oltre a
contribuire a salvarci dai disastri, rappresenta un’opportunità unica
per difendere e promuovere l’occupazione e per salvare impianti,
competenze e capacità produttive di imprese che ogni giorno vengono
chiuse, vuoi per delocalizzazioni, vuoi per crisi di mercato, vuoi per
speculazioni selvagge. Per questo bisognerebbe mettere al centro del programma di governo una politica industriale, una vera politica agroalimentare, una politica di salvaguardia dell’ambiente, un piano per l’occupazione.
Cambiare
il mondo si può.
Quando gli Stati Uniti sono entrati nella seconda
guerra mondiale, in pochi mesi hanno convertito l’intero loro apparato
produttivo (il più potente del mondo) per far fronte alle esigenze della
produzione bellica. Poi lo hanno di nuovo convertito (sempre in poco
tempo, anche se solo parzialmente) per fare fronte alle aspettative
della pace. Oggi siamo di fatto in guerra contro una minaccia altrettanto se non più mortale: quella dei cambiamenti climatici.
Ma la resa dei conti sta per arrivare e chi si sarà attrezzato per
tempo si troverà meglio; o meno peggio. Per questo la crisi ambientale
offre all’economia delle opportunità e impone dei vincoli.......
Vincoli e opportunità indotti dalla crisi ambientale dovrebbero essere i criteri informatori delle scelte che determinano o orientano le decisioni su che cosa, quanto, con che cosa, come, per chi e dove produrre. Sono scelte che non possono essere lasciate al “mercato”: cioè
al libero gioco della domanda e dell’offerta; perché nessun mercato è
in grado di cogliere e soprattutto di rispondere correttamente a tutti i
segnali che provengono dalla complessità del contesto ambientale, da
cui non si può più prescindere.
Una politica industriale che faccia i conti con la globalizzazione e con la crisi ambientale, cioè orientata a produzioni e consumi sostenibili,
richiede una riconversione delle fabbriche - dove esistono impianti,
attrezzature e know how adeguati - alla produzione di impianti per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili per la microcogenerazione;
o di mezzi di trasporto collettivi o condivisi a basso consumo. E
interventi su edifici e macchinari per eliminarne le dispersioni
energetiche....
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13 giugno 2012
(Articolo pubblicato sull'ultimo numero della rivista bimestrale Qualenergia. Potete scaricarlo anche in pdf a questo link).
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