Tratto da Bliz Quotidiano.
Non solo Ilva: le industrie sporche costano a ogni europeo fino a 330 € l’anno.
Un costo aggiuntivo che non viene segnalato nei bilanci delle aziende, e che si esplica nelle voci delle emissioni di anidride carbonica, ammoniaca, ossidi di azoto, polveri sottili, anidride solforosa, e poi di composti volatili come benzene e butadiene, metalli pesanti (cadio, cromo, arsenico, piombo, nichel e mercurio) e microinquinanti organici (dossine, furani, idrocarburi policiclici).
A stilare la lista delle industrie più sporche è un organismo
indipendente come l’Agenzia europea dell’ambiente.
E tra le diecimila
fabbriche sporche molte sono in Italia, come l’Ilva di Taranto.
Puglia e Sardegna sono le regioni su cui pesa di più l’inquinamento
in termini non solo di salute ma anche di costi.
Sono qui che si trovano
la centrale Enel a carbone di Brindisi, le raffinerie Saras di Sarroch
(in Sardegna), la centrale termoelettrica Eni di Taranto e quella E.on
di Fiume Santo (Sassari).
Ma pure la Sicilia non scherza, e non solo lei. Nella lista delle
10.000 industrie più sporche sono finite anche quella Tirreno Power di
Vado Ligure, l’impianto termoelettrico Enel di Fusina (Venezia), la
centrale di San Filippo del Mela (Messina), la raffineria Esso di
Augusta (Siracusa), quella Eni di Sannazzaro de’Burgondi (Pavia).
A livello europeo i Paesi con i costi più alti in termini di
inquinamento sono quelli con una maggiore storia industriale: prima di
tutti la Germania, dove industrie e relative emissioni di CO2 e altri
inquinamenti costano 21.538 milioni di euro. Seguono la Gran Bretagna
(11.654 milioni), la Polonia (10.817 milioni), e poi appunto l’Italia,
con costi per 8.002 milioni.
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