Tratto da Linkiesta
di Daniela Patrucco
Ilva e le altre. In Italia l’industria può inquinare perché i tempi dell’amministrazione dello Stato lo consentono.
Il tempo di rilascio di un’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), che per legge non dovrebbe superare i 300 giorni, può arrivare a 5 anni ed eventualmente superarli. In quel periodo le industrie, ammesso che qualcuno effettui i controlli, rispettano limiti di emissioni molto più elevati e continuano ad utilizzare tecnologie obsolete rispetto a quanto potrebbe prescrivere l’AIA.
Con la direttiva AIA l’impatto ambientale dell’industria è considerato nel suo complesso, con riferimento a tutti gli aspetti ambientali collegati all'attività produttiva e con riferimento alla specificità del sito in cui è inserita.
Quello della specificità del sito è l’aspetto innovativo, poco recepito in Italia, che consente di prevedere limiti di emissioni decisamente inferiori alla norma.
In situazioni particolarmente compromesse dal punto di vista sanitario e ambientale, si possono dare prescrizioni che richiedono modifiche vere e proprie al processo industriale e agli impianti per renderlo compatibile con l’ambiente.
Poiché in qualche modo è quanto sta facendo in questi giorni la magistratura a Taranto, con il provvedimento di sequestro dell’area delle lavorazioni a caldo dell’Ilva, pare strano che proprio nel Ministro dell’ambiente sia il suo più strenuo oppositore, in difesa dello status quo oltre che dell’Ilva.
Proprio con riferimento alle sue recenti dichiarazioni, con cui si
scarica di qualsiasi responsabilità rispetto all’AIA rilasciata all’Ilva
dalla Prestigiacomo, considerando che Clini è stato per anni uno dei massimi dirigenti del Ministero dell’Ambiente, vorrei mettere in evidenza la stretta collaborazione tra imprese inquinanti, politica e amministrazione dello Stato nella mancata adesione alle politiche europee in materia ambientale.
Occhio alle date!
Con il DL n. 59 del 18/2/2005 (in ritardo di quattro mesi) si dava attuazione alla direttiva 96/61/CE finalizzata alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (AIA).
La direttiva Europea tendeva ad armonizzare le legislazioni degli stati
membri in materia ambientale ponendo fine, nel caso dell’Italia, al mare magnum delle specifiche autorizzazioni.
Con il D.M. 19/4/2006 erano definiti i termini per la presentazione delle domande e con quello del 7/2/2007 il formato e la modulistica necessari.
Giocoforza dunque, le prime domande di rilascio dell’AIA per gli impianti esistenti, alcune presentate già nel 2005, sono state prese in carico dall’apposita commissione istituita presso il Ministero dell’Ambiente a partire dal 2007.
Dando un’occhiata al sito del Ministero si può vedere che la prima AIA rilasciata è datata 11/2008 (Centrale Enel di Fusina, Venezia).
A 7 anni dalla data di attuazione della direttiva, e a 5 da quella di presentazione delle domande, 25 domande di AIA sono ancora in fase istruttoria e quattro in fase di riesame.
Per ciascun procedimento è disponibile tutta la documentazione
fornita dal gestore dell’impianto, richieste di integrazioni e le
eventuali osservazioni presentate dai pubblici interessati. Volendo
prendersi la briga di guardarne una, ad esempio l’Ilva ma non solo, e
sempre con un occhio alle date, si può facilmente verificare che
nell’iter non vengono presi pressochè in nessuna considerazione le osservazioni dei pubblici interessati.
Osservazioni che invece ha ritenuto di prendere in considerazione il GIP Patrizia Todisco che l’8 Novembre 2011 «tenuto conto delle segnalazioni tecniche e delle denunce pervenute dal Comune, dall’Arpa e da numerose associazioni ambientaliste», aveva nominato quattro periti
(Mauro Sanna, Rino Felici, Roberto Monguzzi, Nazzareno Santilli) per
verificare se «dallo stabilimento Ilva si diffondano gas, vapori,
sostanze aeriformi e solide (polveri), contenenti sostanze pericolose
per la salute dei lavoratori e per la popolazione del vicino centro
abitato di Taranto».
Inoltre, i quattro tecnici avevano il compito di
verificare (e per la prima volta nelle indagini che da più di quindici
anni vengono condotte sull’Ilva) «se i valori di emissione di tali
sostanze eventualmente ritenute nocive per la salute di persone e
animali, nonché dannose per cose e terreni, determino situazioni di
danno o di pericolo inaccettabili». (il post)
A Marzo 2012 (dopo soli 4 mesi) il GIP Todisco ha presentato le perizie. Il 7 Marzo 2012 la Regione Puglia ha chiesto al Ministero dell’Ambiente il riesame dell’AIA, sulla base di una relazione consegnata dall’ARPA pugliese il 1 Febbraio 2012. La relazione si riferiva a una campagna di rilevamento del benzo(a)pirene a Taranto,
che aveva rilevato valori non in linea con quanto previsto dalla
normativa in materia di qualità dell’aria. La campagna era stata
commissionata ad ARPA il 10 Febbraio 2010.
Mi sono un po’ dilungata? Partivamo da qui:
Ilva e le altre. In Italia l’industria può inquinare perché l’amministrazione dello Stato lo consente. Nel mentre, abbiamo anche scoperto che è la magistratura a fare quanto in carico alla politica, al ministero, alle amministrazioni locali e agli enti di controllo. E meno male.
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