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27 novembre 2012

Ilva di taranto , il gip sequestra anche l’acciaio: “Frutto del disastro ambientale”

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Ilva, il gip sequestra anche l’acciaio: “Frutto del disastro ambientale”

Secondo il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, l'Ilva "imperterrita" ha continuato a produrre nonostante l'autorità giudiziaria avesse sequestrato l'impianto. L'azienda del gruppo Riva, quindi, non avrebbe potuto far uscire dalla fabbrica nessuno tipo di lavorato o prodotto

Ilva, il gip sequestra anche l’acciaio: “Frutto del disastro ambientale”

“Una situazione paradossale”. Il giudice per le indagini preliminari di Taranto, Patrizia Todisco, bolla così quella che definisce “la situazione attuale dell’Ilva” che “imperterrita” ha continuato a produrre nonostante l’autorità giudiziaria avesse emesso un primo provvedimento il 26 luglio del 2012, poi confermato dal Riesame e così fino in Cassazione, di blocco della produzione. L’azienda del gruppo Riva, quindi, non avrebbe potuto far uscire dalla fabbrica nessuno tipo di lavorato o prodotto. Tutto l’acciaio prodotto all’Ilva da quel giorno in poi è frutto di un reato. Quel disastro ambientale provocato da un riversamento continuo “nell’ambiente circostante e non di una quantità rilevante di sostanze altamente nocive per la salute umana” e non solo. I prodotti lavorati finali sono, nel ragionamento del gip, il “frutto” di un avvelenamento del territorio, degli animali e delle persone che, secondo i rapporti epidemiologici, ha portato il territorio ad avere un’incidenza di tumori spaventosamente alta.
Nel complesso di una vicenda magmatica, tra perizie e controperizie, una delle certezze del giudice è che l’attività produttiva dell’Ilva, che “ha provocato e provoca danni ambientali e sanitari inaccettabili”, è caratterizzata dalla “piena illiceità penale”.  L’acciaio, che fino a oggi ha dato lavoro a oltre 5000 mila operai nella sola città pugliese, è “frutto dell’attività in tale (illecito) modo posta in essere dal Siderurgico” e di conseguenza costituisce il prodotto “dei reati contestati e quindi cosa pertinente agli stessi”. Una sorta di estensione del reato che prolunga il sequestro dall’azienda all’acciaio. Come se l’inquinamento prodotto avesse “infettato” l’accaiaio.
L’Ilva ha continuato “imperterrita nella criminosa produzione dell’acciaio, nella vendita di questi prodotti assicurandosi lauti profitti non curante delle disposizioni dell’autorità giudiziaria e in violazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali sopraindicati (i decreti di sequestro, ndr). Questa riflessione giuridica – il gip cita alcune sentenze di Cassazione in ordine alla confiscabilità – motiva quindi il sequestro preventivo “del prodotto finito e/o semilavorato” dell’Ilva nelle relative aree di stoccaggio e “destinato alla vendita ovvero al trasferimento in altri stabilimenti del gruppo”. L’Ilva quindi, a questo punto, non può vendere nessuno dei prodotti lavorati: anche perché in qualche modo commetterebbe una vera e propria ricettazione. 
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