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29 gennaio 2014

IL CASO SORGENIA


Il caso Sorgenia, pupilla offuscata del sistema De Benedetti

 

L’energia dell’Ingegnere e del figlio Rodolfo stretta tra combustibili tradizionali e “green”: ora vale zero

La compagnia energetica Sorgenia, di cui la conglomerata debenedettiana Compagnie Industriali Riunite (Cir) è l’azionista di maggioranza, è in crisi di liquidità e nel corso degli ultimi quattro anni ha accumulato debiti complessivi per 2,2 miliardi di euro, tra debiti da rimborsare e crediti verso venti banche, tra cui le principali sette del paese, le più esposte (Monte dei Paschi di Siena, azionista Sorgenia, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi, Bmp, Banco Popolare e Mediobanca). 
Il management di Cir e Sorgenia sta lavorando per cercare un accordo con gli istituti di credito in modo da convincerli a farsi in parte carico di una manovra finanziaria (aumento di capitale, cessione di asset o altro) da almeno 600 milioni di euro per alleviare il fardello
Per capire quanti soldi dovranno uscire da Cir e quanti andranno in carico alle banche oggi si terrà un incontro tra tutte le parti coinvolte, secondo indiscrezioni raccolte sulla piazza milanese. Stando a indiscrezioni di Mf/Milano Finanza e del Messaggero, i De Benedetti dovrebbero sborsare tra i 200 e i 300 milioni di euro – cifra desiderata dalla banche – vincendo così la riluttanza che in passato li ha contraddistinti nell’iniettare soldi liquidi, anziché fare operazioni finanziarie a debito...... Dopo molte operazioni fatte a leva, anzi a levissima, se la proprietà non mette capitale vuol dire che non crede nell’azienda. Sarebbe un’altra storia di capitalismo straccione”. 

Le difficoltà di Sorgenia sono esplose negli ultimi mesi ma erano note. Tant’è che a luglio il vertice di Sorgenia è stato riorganizzato: i De Benedetti hanno chiamato a gestire il riassetto un esperto sia di energia sia di finanza come Andrea Mangoni......
L'ingegnere prende la scossa
Ora Sorgenia viene valutata “zero” dai partner di Cir nell’energia, gli industriali austriaci della Verbund dati in uscita dal capitale appena possibile; alcuni analisti concordano altri dicono valga di più. Fatto sta che a prima della crisi era il quinto operatore nazionale ed era considerata il gioiello della holding debenedettiana. 
Per capire come si è prodotto il dissesto bisogna tornare indietro di dieci anni quando Sorgenia decide di indebitarsi e acquistare al prezzo di 400 milioni di euro quattro centrali termoelettriche prevalentemente a gas stipulando contratti vincolanti (take or pay), di fatto più onerosi rispetto alle forniture sul mercato libero (cosiddetto spot). E’ stato un sovrainvestimento che pesa tuttora considerati i ritorni scarsi che generano gli impianti (il cash flow per Sorgenia è solo di 50-100 milioni di euro), ma è stata una scelta strategica che all’epoca sembrava addirittura profittevole, secondo una visione condivisa da economisti ed establishment. Prima della crisi finanziaria Terna, altro operatore dell’energia, considerava sottodimensionato il fabbisogno energetico italiano, servivano più centrali e impianti. All’epoca le previsioni parlavano di un fabbisogno per 83 gigawatt l’ora (per il 2013).
A causa della crisi economica però oggi i consumi energetici nazionali (legati all’andamento del pil) sono tornati ai livelli di dieci anni fa e quelle stime si sono dimostrate eccessive (siamo a 65 gigawatt). Oggi le centrali sono in numero doppio rispetto al necessario e lavorano in media al 15-20 per cento del loro potenziale. Tant’è che il governo Letta con il riborso del “capacity payment” intende rifondare le utilities per l’energia in eccesso, immagazzinata e da liberare per calmierare eventuali scompensi sulla rete. Abbiamo avuto una overdose di impianti che adesso non sono giustificati in relazione ai bisogni energetici dice Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera e autore del saggio “Soft Economy” con postfazione di Carlo De Benedetti – è stata una politica europea sbagliata: il problema adesso è chiudere gli impianti inquinanti”.
Anche la politica nazionale aveva spinto in questa direzione, sviata dalle stime che la crisi ha sconfessato. Fu infatti nel 2002 che il governo Bersani concesse la privatizzazione della Interpower, oggi Tirreno Power, sulla quale i De Benedetti investirono 145 milioni e di cui Sorgenia è rimasto socio di minoranza assieme ai francesi di Gaz de France. Tirreno Power gestisce la centrale a carbone di Vado Ligure finita sotto inchiesta insieme a parte del management da parte della magistratura savonese per “disastro ambientale”, la stessa fattispecie giuridica dell’Ilva. L’azienda respinge ogni accusa.
In ogni caso, la centrale di Vado versa in una drammatica condizione finanziaria – i revisori non hanno firmato i bilanci dell’anno scorso – ora è ripartita dopo uno stop e ieri è stato nominato un nuovo direttore generale, Massimiliano Salvi, altro ex Acea, che si occuperà del complicato riassetto..........
Qui    l'articolo integrale
di Alberto Brambilla
  

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Tirreno Power, Burlando: “Copertura parchi essenziale, ma aspettiamo le decisioni dell’azienda”.

Tuttavia circolano sempre più insistenti le voci che le dimissioni dell’ormai ex direttore generale possano rappresentare un disimpegno dell’azienda sui progetti di potenziamento e sostituzione degli impianti, anche in relazione al drastico dei consumi energetici sia privati che delle aziende.  Leggi qui

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