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15 gennaio 2014

VITTORIA: bocciato il progetto di conversione a carbone della centraleEnel di Porto Tolle

La conversione a carbone, la fonte più inquinante e dannosa per il clima e la salute umana, di una vecchia centrale a olio combustibile nel bel mezzo di un parco naturale, in un ecosistema fragile e prezioso, è sempre stata ed è ancor oggi una enorme sciocchezza. Lo è doppiamente nell’area Padana, la regione con la peggiore qualità dell’aria in Europa; e lo è ancor più in un Paese come il nostro, che già dispone di un parco di generazione elettrica praticamente doppio rispetto alle necessità di consumo nazionali, e non ha bisogno di nuove centrali alimentate con fonti fossili.
 L’avanzata del fronte del carbone segna oggi una battuta d’arresto significativa, con l’altolà al progetto industriale più ambizioso tra quelli in campo. Starà ad Enel, adesso, decidere se continuare in futuro a rappresentare il problema – tenendo ostinatamente in vita la prospettiva del carbone come risorsa energetica chiave per l’Italia - o se vorrà piuttosto diventare parte della soluzione, cominciando a investire sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica.
Ma su Porto Tolle le novità non si esauriscono qui. La storia di quella centrale è lunga e comincia ben prima del 2005, anno in cui Enel presenta il suo progetto di conversione. L’impianto a olio combustibile fu realizzato tra il 1980 e il 1984.
 I danni che ha prodotto negli anni in cui ha funzionato a regime sono un condensato amaro di un certo modo di fare industria in Italia, un manuale tutto negativo sull’assenza di controlli ambientali e sanitari stringenti, su come lo Stato possa essere l’imprenditore (e il controllore) più irresponsabile.
Secondo una perizia realizzata dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) per il ministero della Salute e quello dell’Ambiente,Enel dovrebbe rifondere lo Stato con un risarcimento di 3,6 miliardi di euro. La cifra è in larga misura (per 2,6 miliardi) la traduzione monetaria del danno sanitario e ambientale causato dalla centrale rispetto alle sue emissioni ‘in eccesso’, ovvero rispetto a quella quota di inquinanti emessi oltre le soglie consentite dalla legge, tra il 1998 e il 2009. Il tutto è agli atti di un processo che si concluderà tra non molto.
L’inquinante sotto esame, in questa storia, è il biossido di zolfo. Un serie di perizie ha stabilito un legame univoco tra le ciminiere della centrale di Porto Tolle e la dispersione di enormi quantità di SO2 nei territori esposti ai fumi dell’impianto; quelle stesse perizie hanno poi fornito una prima mappatura dell’impatto sanitario, specie per quanto attiene l’insorgenza anomala di patologie respiratorie e oncologiche, con un’incidenza estremamente evidente nella popolazione minorile. 
Da queste indagini è nato un processo, appunto, denominato “Enel bis” per cui oggi l’avvocatura dello Stato chiede all’azienda 3,6 miliardi. In un altro procedimento Enel, nelle persone dei suoi amministratori delegati Tatò e Scaroni e di alcuni dirigenti della centrale stessa, era già stata condannata per emissioni moleste, danneggiamento all'ambiente, al patrimonio pubblico e privato e per la violazione della normativa in materia di inquinamento atmosferico.
La centrale di Porto Tolle non è mai stata un fattore economico di crescita per una delle aree economicamente più depresse del Nord. Piuttosto ha inquinato, causato malattia, compromesso l’integrità ambientale di un ecosistema fragile e speciale come quello del delta del Po, che un parco dovrebbe tutelare. Ha nuociuto alla pesca e al turismo, ha contribuito alla distruzione del clima. Sta anche allo Stato, ora, battersi per ottenere risarcimento. Con il paradosso, certo, di un Paese che chiede soldi a un’azienda che è stata per lungo tempo di sua esclusiva proprietà e che ancora oggi controlla direttamente.
C’è, infine, un dettaglio importante. La perizia predisposta dall’ISPRA utilizza la stessa identica metodologia impiegata dall’istituto di ricerca indipendente SOMO, che per conto di Greenpeace ha stimato l’impatto sanitario ed economico della produzione col carbone di Enel, in Italia e in Europa. In riferimento alle emissioni del 2009, i fumi delle centrali di Enel alimentate con quella fonte avrebbero causato in Italia una morte prematura al giorno e 1,8 miliardi euro di danni; in Europa i casi di morte prematura erano quasi 1.100 e i danni salivano a 4,3 miliardi. Stessa identica metodologia.
Chi chiederà ora il conto a Enel?
Andrea Boraschi -- Responsabile Campagna Clima e Energia

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