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31 marzo 2014

La Bolla del carbonio : Exxon renderà pubblico il suo rischio di 'stranded asset'.


                                     Notizia dl 2013
                      

La "bolla del carbonio" potrebbe causare una nuova crisi finanziaria

Di Giovanni Tortoriello | 23.04.2013

Trovarsi di fronte a un burrone e guardare il vuoto con l'arroganza di chi è sempre convinto di riuscire a salvarsi anche quando è sull'orlo del precipizio. Arroganza, forse temerarietà, ma anche e soprattutto quella miopia che induce a ricercare la maggior quantità possibile di profitti a breve termine senza curarsi delle conseguenze nel medio- lungo periodo è ciò che emerge nel rapporto "Unburnable carbon 2013: Wasted caital and stranded  assets" realizzato da Carbon Tracker e dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment della London School of University nel quale si denuncia la possibilità che la famigerata "bolla del carbonio" scoppi da un momento all'altro.

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Notizia del 2014

Incalzata da azionisti, la multinazionale texana acconsente a rendere pubblica la stima dei danni che avrebbe in seguito alle politiche per il clima. I grandi delle fossili non possono più evitare di confrontarsi pubblicamente sul rischio della carbon bubble, che, se non disinvestiamo subito dalle fonti sporche, potrebbe minare l'economia mondiale
                               
Exxon nelle prossime settimane renderà pubblico con un report l'impatto potenziale che le politiche di riduzione delle emissioni potrebbero avere sui suoi asset. La notizia è storica, perché mostra che le grandi compagnie delle fossili non possono più evitare di confrontarsi, con i propri azionisti e pubblicamente, sul rischio della cosiddetta carbon bubble, ossia il danno economico che avranno per la quantità di petrolio, gas e carbone che dovranno lasciare sotto terra a seguito delle politiche necessarie a combattere il global warming: i cosiddetti stranded asset.
A rendere nota la prossima pubblicazione del report non è la compagnia stessa ma Arjuna Capital, fondo di investimento attento alla sostenibilità che, in qualità di azionista della multinazionale texana, ne ha fatto richiesta formale (vedi comunicato allegato in basso). 
Exxon renderà pubbliche una serie di informazioni, a partire dalle emissioni di CO2 legate alle sue attività, fino all'impatto che la normativa ambientale e quella per ridurre le emissioni di gas serra potranno avere sui suoi bilanci.
Stime che Exxon ha ovviamente già fatto ma che fino ad ora si è guardata bene dal pubblicare. La multinazionale – riporta il Wall Street Journal – si prepara ad un futuro in cui al 2040 una tonnellata di CO2, nei paesi sviluppati come Usa ed Europa, costerà circa 80 dollari, cioè oltre 10 volte il prezzo attuale. E come sappiamo un prezzo della CO2 più alto renderebbe molto più costoso valorizzare gran parte delle riserve di Exxon, specie quelle più carbon-intensive e che già necessitano di processi di estrazione molto dispendiosi,  come sabbie bituminose e riserve in acque profonde.
La speranza è che il fatto che la multinazionale sia costretta a confrontarsi pubblicamente con gli azionisti su questi rischi si rifletta in un tempestivo riposizionamento strategico: “Se le compagnie continuano a investire tantissimo sulle riserve di idrocarburi non convenzionali non resterà molto spazio di manovra”, commenta Natasha Lamb di Arjuna.....
L'azione di Arjuna Capital, si colloca nell'ambito dell'iniziativa promossa da Ceres, un gruppo di 70 investitori, responsabili collettivamente di oltre 3.000 miliardi di asset, che sta chiedendo formalmente conto del rischio di stranded asset ai colossi dell'industria energetica mondiale, 45 compagnie tra le quali la nostra partecipata pubblica Eni (vedi QualEnergia.it).
Il problema per i lettori di QualEnrgia.it è noto: se vogliamo evitare gli effetti peggiori del global warming gran parte delle riserve fossili in possesso delle compagnie dovranno rimanere nel sottosuolo, con conseguenze economiche potenzialmente disastrose per i loro bilanci. Ma allo stesso tempo se questi idrocarburi venissero bruciati, gli impatti sul cambiamento climatico colpirebbero duramente, oltre a noi tutti, anche la stessa industria delle fossili: basti pensare ai milioni di barili al giorno di capacità estrattiva che gli uragani Rita e Kathrina hanno messo fuori gioco per mesi. .....
Fino ad ora il mondo delle fossili ha apparentemente continuato come nulla fosse, forse contando di riuscire a boicottare le politiche sul clima: nel 2012, mostra un report dell'ong Carbon Tracker Initiative le 200 aziende più grandi hanno investito 674 miliardi di dollari in nuove riserve. Gas, petrolio e carbone che potrebbero essere destinati a rimanere sotto terra, con un conseguente buco nell'acqua a livello economico.
La carbon bubble o bolla della CO2, ricordiamo, oltre ai bilanci delle compagnie, potrebbe minare l'economia mondiale: la capitalizzazione legata alle risorse fossili al momento ha un ruolo molto importante su diverse Borse: 20-30% in Borse come quella australiana, Londra, Mosca, Toronto e San Paolo. Inoltre nelle fonti fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione.

Nonostante questo la questione sembra essere tuttora pericolosamente sottovalutata dall'opinione pubblica: speriamo che il fatto che grandi multinazionali come Exxon inizino ad essere più trasparenti sui rischi cambi la situazione e che si acceleri la prevenzione: bisogna disinvestire dalle fossili il più in fretta possibile.
Su QualEnergia l'articolo integrale

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