Tratto da Linkinchiesta.
L’impero scricchiola. I 2 miliardi di debiti della partecipata Sorgenia affossano la Cir, holding controllata dalla Cofide di Carlo De Benedetti e dei figli Rodolfo, Edoardo e Marco. Attività che vanno dall’energia all’editoria con il Gruppo Espresso........
Il tutto saldamente nelle mani del figlio Rodolfo
Una crisi, quella dell’ex Energia Italia, che segna la fine dell’epoca in cui il soft power del' ingegnere aveva il suo peso specifico nelle scelte e nelle due diligence di banche e investitori, forte di un peso politico a tutto campo alla guida di una corazzata dell'informazione come Espresso-Repubblica, bibbia giornalistico-culturale della sinistra italiana.
È la storia che raccontano i bilanci: nel consolidato Cir 2012, l’utility ha generato 2,5 dei 5 miliardi di fatturato. L’anno prima 2,1 su 4,5 complessivi. Nel 2010 la proporzione era 2,7 su 4,8. Nel 2009, anno in cui i debiti di Sorgenia superavano già di 10 volte il margine lordo, il peso era del 54%, ovvero 2,3 miliardi su 4,2 totali. Storicamente, dunque, circa il 60% dei ricavi all’interno della galassia De Benedetti dipende dalla generazione di energia. Insomma, che sarebbe Cir senza Sorgenia?
Come mai, dunque, il management e gli azionisti non sono corsi ai ripari per tempo, e perché gli istituti di credito hanno continuato a finanziarla? Il Monte dei Paschi, ad esempio, nel 2007 ne ha acquistato l’1,2% per 30 milioni, valorizzando la società 2,7 miliardi rispetto a un consenso di mercato fermo a 900. Un do ut des: a sua volta Sorgenia aveva rilevato il 16% di Energia Italiana - controllata al 78% - di proprietà di Mps e Bnl per poco meno di 60 milioni. L’ex banca del Pd, peraltro, negli anni non ha lesinato sui finanziamenti: oltre 400 milioni dal 2003 a oggi.
Per avere una rappresentazione plastica di quanto la crisi di Sorgenia stia minacciando l’intero gruppo basta leggere il comunicato del 17 febbraio, che risponde ai quesiti Consob: al 31 gennaio l’indebitamento per cassa si è assestato a 1,8 miliardi, più altri 875 milioni della controllata Tirreno Power, più 60,7 milioni di interessi non pagati alle banche....
Dopo, chissà. Per ora ci sono tre certezze. La prima: Cir non sborserà più di 100 milioni per ricapitalizzare Sorgenia, rispetto ai 150 richiesti dalle banche in cambio della trasformazione in azioni di 600 milioni di debiti. La seconda: per gli austriaci di Verbund, azionisti al 35% di Sorgenia, la partita è chiusa. La terza: non tutti i 21 istituti di credito esposti verso l’ex Energia Italiana vogliono convertire il debito in equity. Secondo quanto risulta a MF – Milano Finanza, se si chiuderà la trattativa con il fondo Usa CountourGlobal per la cessione del business fotovoltaico arriveranno 20-30 milioni di euro. Poco, ma meglio di niente.
Addirittura la perdita netta di Sorgenia nell’arco di dodici mesi (da settembre 2012 a settembre 2013) si è aggravata da 40 a 320 milioni. «Negli ultimi anni una serie di fattori concomitanti – la riduzione di domanda di elettricità che ha portato a sovracapacità produttiva, il boom delle rinnovabili e il prezzo del gas - hanno portato a una riduzione dei margini.
Ad aggravare la situazione dei produttori di gas, come scrive Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni, sono le fonti rinnovabili che «godono di “priorità di dispacciamento”, vale a dire che l’energia elettrica da esse generata può “scalzare”, sulla rete, quella di origine termoelettrica.
...........Da qui la furbata del “capacity payment”. Rispondendo a un articolo del Corriere della Sera, Rodolfo De Benedetti si è difeso spiegando che il capacity payment «remunera gli impianti flessibili e in grado di garantire la sicurezza della rete compensando gli sbalzi della domanda e in particolare l’intermittenza delle fonti rinnovabili». Una discussione che si scontra con un fatto incontrovertibile come l’overcapacità del sistema energetico nazionale: 124 Gigawatt rispetto a un consumo massimo di 54 toccato a luglio 2012. Contro questa realtà non c’è soft power che tenga, anche per un protagonista indiscusso del capitalismo e della politica come l'ingegnere, da qualche tempo in fase calante. Costringendolo, ormai in età da pensione, a restare in campo, sbracciarsi, usare i suoi giornali e cercare sponde nel nuovo governo Renzi per parare i colpi di una crisi evidente.
Come un esodato. Seppure illustre e milionario.
Su Linkinchiesta l' articolo integrale
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