Fumi di ciminiere e fumus commissi delicti: sequestrati gli impianti Tirreno Power per disastro “sanitario” e ambientale.
8 Maggio 2014
Trib. Savona, dec. 11.3.2014, Giud. Giorgi
[Stefano Zirulia]
1. «Tirreno Power, nesso tra decessi ed emissioni. Produzione riparte se interventi adeguati». Titolava così la sezione genovese di Repubblica.itl'11 marzo scorso, giorno in cui il GIP di Savona ha accolto la richiesta del Pubblico Ministero di sottoporre a sequestro preventivo la centrale termoelettrica Tirreno Power, con un provvedimento che ora mettiamo a disposizione dei nostri lettori (clicca qui per scaricare il decreto del GIP di Savona), evidenziandone i passaggi che appaiono più importanti e che aggiungono nuovi tasselli al dibattito sull'imputazione dei disastri ambientali, attualmente già molto caldo con riferimento alle vicende dell'ILVA di Taranto e della Eternit (in merito alle quali, v. i numerosi contributi pubblicati in questa Rivista e indicati nella colonna di destra). Sin da subito segnaliamo che nel procedimento cautelare savonese vi è stata, da parte dei legali degli imputati, rinuncia al riesame.
2. Chiunque abbia percorso in auto la A10 Genova-Ventimiglia avrà sicuramente notato, all'altezza di Savona, le due altissime ciminiere a strisce rosse e bianche che si stagliano sullo sfondo azzurro del mare. Sono i camini che convogliano in atmosfera i fumi dei combustibili coi quali quali è alimentata la Tirreno Power, grande impianto industriale per la produzione di energia elettrica collocato nei comuni di Vado Ligure e Quiliano. Stando ad una consulenza epidemiologica disposta dalla Procura di Savona nel 2011 e dettagliatamente descritta dal decreto qui in esame, i fumi della combustione del carbone avrebbero provocato, tra il 2000 ed il 2010,oltre 2000 ricoveri e oltre 300 morti per patologie respiratorie e cardiache nella popolazione residente nei ventitré comuni limitrofi agli stabilimenti, nonché un numero di ricoveri e di decessi proporzionalmente equivalente dal 2011 in poi. Le stesse emissioni avrebbero altresì cagionato - secondo una consulenza ambientale parimenti disposta dalla Procura ligure - un grave danno ambientale in termini di inquinamento atmosferico dell'intera zona.
3. È sulla base di questi dati che è stata formalizzata l'imputazione per concorso in disastro innominato doloso (artt. 110, 434 co. 1 e 2 c.p.) a carico di cinque responsabili della direzione e della gestione della società Tirreno Power s.p.a. (già Interpower s.p.a.). Inoltre, nei confronti di due soltanto di loro, è stato altresì contestato il concorso nella contravvenzione di cui all'art. 29 quattuordecies co. 2 del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'ambiente), che punisce - o meglio, puniva, considerando che è stata nel frattempo depenalizzata dall'art. 7 co. 13 del D.Lgs. 4 marzo 2014 n. 46 (clicca qui per leggere il nuovo art. 29 quattuordecies co. 2, in vigore dall'11 aprile 2014) - l'esercizio di impianti industriali in violazione delle prescrizioni contenute nell'Autorizzazione Integrata Ambientale.
3. È sulla base di questi dati che è stata formalizzata l'imputazione per concorso in disastro innominato doloso (artt. 110, 434 co. 1 e 2 c.p.) a carico di cinque responsabili della direzione e della gestione della società Tirreno Power s.p.a. (già Interpower s.p.a.). Inoltre, nei confronti di due soltanto di loro, è stato altresì contestato il concorso nella contravvenzione di cui all'art. 29 quattuordecies co. 2 del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'ambiente), che punisce - o meglio, puniva, considerando che è stata nel frattempo depenalizzata dall'art. 7 co. 13 del D.Lgs. 4 marzo 2014 n. 46 (clicca qui per leggere il nuovo art. 29 quattuordecies co. 2, in vigore dall'11 aprile 2014) - l'esercizio di impianti industriali in violazione delle prescrizioni contenute nell'Autorizzazione Integrata Ambientale.
4. Nel disporre il sequestro preventivo degli impianti a carbone, il GIP ha anzitutto ravvisato il fumus di un disastro sia ambientale che sanitario, causalmente riferibile alla gestione della centrale da parte degli imputati ed a suo avviso riconducibile alla fattispecie d'evento di cui all'art. 434 co. 2 c.p. L'evento-disastro è stato identificato, da un lato, con l'inquinamento derivante dalla immissione di fumi nocivi nell'aria, dunque sulla base di un'accezione di disastro ambientale ormai consolidata in giurisprudenza, che ruota attorno al duplice asse dell'immutatio loci e del conseguente pericolo per la pubblica incolumità; dall'altro lato - e qui sta la novità racchiusa nel concetto di disastro sanitario - con l'aumento di incidenza delle patologie respiratorie e cardiache, talvolta letali, registrato nella popolazione residente attorno agli stabilimenti. Su questo secondo punto è bene soffermarsi un poco più da vicino.
5. La citata consulenza ambientale disposta dalla procura ligure nel 2011 è servita a mettere in luce non solo la situazione complessiva di grave inquinamento dell'aria nel savonese, ma anche, analiticamente, i singoli livelli di inquinamento presenti nelle diverse zone che circondano l'impianto Tirreno Power. Ciò ha consentito di assegnare agli abitanti un livello di esposizione all'inquinamento basso, medio o alto, in proporzione al grado di ricaduta degli inquinanti nella loro zona di residenza. La consulenza ambientale, a questo punto, si è saldata con quella epidemiologica. Quest'ultima ha preso in considerazione una base di studio di 156.745 mila persone, tutte quante esposte alle emissioni di Tirreno Power, ed ha messo a confronto, in ciascuna delle aree mappate dalla consulenza ambientale, il numero dei soggetti sani con il numero dei soggetti affetti da determinate malattie cardio-respiratorie, selezionate tra quelle che la letteratura scientifica ricollega eziologicamente all'esposizione ai fumi di carbone. La conclusione di questa indagine epidemiologica, che rientra nel genus degli studi caso-controllo, è stata univoca: all'aumentare del livello di esposizione ai fumi di carbone emessi della Tirreno Power corrisponde una proporzionale crescita dell'incidenza delle malattie cardio-respiratorie tipicamente correlate a quel tipo di inquinamento, nonché dei decessi da queste derivanti. Ad avviso del GIP «tale dato va quindi considerato quale prova di verificazione dell'evento per il passato, e contestualmente, del pericolo attuale per la pubblica incolumità, ove considerato prospetticamente, in ordine all'incremento delle patologie che si determinerebbero in futuro in correlazione alla prosecuzione dell'attività della centrale al medesimo regime di esercizio» (p. 18). Duplice, dunque, il ruolo probatorio assegnato alle indagini epidemiologiche: da un lato quello di evidenziare,retrospettivamente, un effettivo danno alla salute per la popolazione; dall'altro lato quello di fornire la base scientifica per affermare anche la probabile verificazione di un danno futuro, ossia un pericolo attuale per la pubblica incolumità.
6. Con specifico riferimento al danno alla salute, il GIP evidenzia inoltre come il compendio probatorio offerto dalla descritta consulenza epidemiologica rientri nei canoni prescritti dalla sentenza Franzese. Non solo - si legge infatti nel decreto - gli esperti hanno preso in considerazione patologie che la letteratura scientifica ricollega già pacificamente all'esposizione ai fumi di combustione del carbone, e dunque hanno ab origine collocato le loro osservazioni nel solco di una valida legge scientifica di copertura; ma gli stessi esperti - prosegue il giudice - hanno altresì escluso, attraverso un'indagine svolta in concreto sulla popolazione residente in quei comuni, che l'aumento dell'incidenza di quelle patologie fosse dovuto ad altri possibili fattori in grado di cagionarle, quali il fumo di tabacco, le esposizioni lavorative e le abitudini alimentari (per ulteriori dettagli, v. p. 16 del provvedimento di sequestro). Quest'ultima operazione, che in epidemiologia si chiama esclusione dei fattori di confusione, è stata valorizzata dal GIP savonese sub specie di esclusione dei decorsi causali alternativi rispetto all'evento di disastro sanitario, ossia come strumento euristico per passare dalla probabilità frequentista alla probabilità logica.
7. Il decreto di sequestro preventivo ricostruisce poi analiticamente, e con dovizia di dettagli tecnici sui quali non è possibile in questa sede soffermarsi (v. pp. 20-33), le modalità di gestione dell'impianto da parte degli imputati. Vengono in sostanza identificati due diversi periodi, il cui spartiacque è rappresentato dal rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale nei confronti di Tirreno Power, avvenuto nel 2012. L'AIA, come è noto, è il provvedimento che autorizza l'esercizio degli impianti inquinanti alle condizioni fissate nel 2006 dal Codice dell'ambiente, il quale a sua volta ha recepito sul punto le Best Available Techniques (BAT) di matrice europea. Nel caso in esame, l'istanza per ottenere l'AIA era stata tempestivamente proposta dai dirigenti della Tirreno Power nel 2007, ma, a causa di quello che il GIP definisce un «abnorme ritardo» nella definizione del procedimento amministrativo, il provvedimento autorizzativo è stato emanato dopo cinque anni, anziché entro i centocinquanta giorni previsti dalla legge.
8. Fino al 2012, in mancanza dell'AIA, la Tirreno Power non poteva ancora ritenersi formalmente vincolata alle BAT europee, bensì ai meno rigorosi standard previsti dai provvedimenti autorizzativi adottati sulla base della normativa precedente al Codice dell'ambiente. Sicché - osserva il GIP - i dati sulle emissioni forniti dagli imputati con riferimento a tale periodo, nonostante risultino superiori a limiti fissati dalle BAT europee - devono considerarsi formalmente leciti. Vanno tuttavia considerate - prosegue sul punto il decreto - sia «la lacunosità di tali dati», sia la circostanza che essi siano stati raccolti dal gestore «in assoluta autonomia e nella totale carenza di controlli da parte delle autorità preposte», in violazione delle prescrizioni già all'epoca vigenti e con evidenti ripercussioni quanto alla loro attendibilità. Il decreto di sequestro ravvisa poi ulteriori profili di illiceità nella gestione dell'impianto, tra cui la mancata copertura del parco carbone, già all'epoca suggerita dai competenti organi regionali quale unica misura adatta all'immediato abbattimento delle emissioni. «In definitiva - conclude il GIP - seppure non sia possibile affermare che il gestore abbia violato i valori limite di emissione previsti dalla legge, va tuttavia rilevato che l'esercizio della centrale è stato caratterizzato da una sistematica violazione delle prescrizioni imposte nei provvedimenti autorizzativi sotto gli ulteriori aspetti e dall'adozione di inadeguate soluzioni tecniche in merito al contenimento delle emissioni diffuse. Tale condotta, per quanto sin qui ampiamente argomentato, è certamente correlata causalmente al danno ambientale e sanitario evidenziato ed al pericolo per la pubblica incolumità».
9. Passando al periodo dal 2012 in poi, il GIP rileva la violazione delle condizioni di esercizio dell'impianto espressamente dettate nell'AIA nel frattempo rilasciata, integrante il fumus della contravvenzione - ora, come già ricordato, illecito amministrativo - di cui all'art. 29quattuordecies del Codice dell'ambiente (pp. 41-43). Il decreto descrive dettagliatamente molteplici profili di violazione dell'autorizzazione integrata, tanto sotto il profilo dell'omesso adeguamento degli impianti alle più moderne misure di sicurezza espressamente indicate nel provvedimento amministrativo, tanto sul versante del superamento delle emissioni inquinanti consentite.
10. Tornando al disastro, e passando al relativo elemento soggettivo(pp. 33-41), il provvedimento in esame ricorda anzitutto come, ai fini del sequestro, sia indifferente stabilire il titolo della responsabilità, potendo essa alternativamente consistere nel dolo, come ipotizzato dal PM, o anche soltanto nella colpa (ex artt. 434, 449 c.p.). Tanto premesso, l'interrogativo di fondo attorno al quale ruota questa parte del provvedimento è «se sia prospettabile una responsabilità del gestore, quanto meno a titolo di colpa, nonostante il rispetto dei limiti emissivi previsti dalla legge o in via amministrativa»: come sopra evidenziato, infatti, fino al 2012 i livelli di emissione dei fumi nocivi risultavano formalmente conformi alla legge (quest'ultima da intendersi quale legge nazionale precedente al Codice dell'ambiente). Ebbene, all'esito di una sintetica ricostruzione del dibattito giurisprudenziale sviluppatosi sull'art. 674 c.p., e recentemente assestatosi nel senso che il rispetto dei limiti soglia esclude la responsabilità per tale contravvenzione, il giudice perviene ad opposte conclusioni con riferimento alla fattispecie delittuosa di cui all'art. 434 c.p.: «se il rispetto dei limiti imposti esclude la configurabilità del reato di cui all'art. 674 C.P., essendo ammissibile che il legislatore o l'autorità amministrativa imponga ex imperio una soglia di tolleranza, tale presunzione di legittimità può operare solo in relazione ad un disturbo (olfattivo o visivo) transeunte e non certo laddove si verifichi un danno alla salute integrante una lesione personale, o addirittura un decesso, ovvero una pluralità di tali eventi, rientranti nella più ampia nozione di disastro». Tanto sul presupposto che «nessun margine di tolleranza può essere contemplato, nel nostro sistema giuridico, in ordine alla causazione di lesioni, morti o di danno ambientale di dimensioni tali da integrare la nozione di disastro, attesa la posizione preminente da attribuirsi ai beni della salute e dell'ambiente rispetto a quello della libertà delle attività economiche». Quanto poi al dolo di disastro, il GIP si limita a riportare gli argomenti espressi a tal proposito dal PM - basati, in buona sostanza, sulla ricostruzione dell'elemento soggettivo di cui all'art. 434 c.p. come dolo generico e sulla ritenuta piena consapevolezza, da parte degli imputati, dei danni che la loro attività stava producendo sulle persone e sull'ambiente -, mostrando tuttavia prudenza rispetto alla loro fondatezza e comunque ribadendone l'irrilevanza ai fini del sequestro (si rinvia, sul punto, alle pp. 38-41 del decreto).
11. Sempre in merito all'elemento soggettivo "minimo" della colpa, correttamente il GIP si sofferma su un profilo essenziale del suo accertamento, vale a dire l'identificazione della condotta alternativa lecita, interrogandosi in merito a che cosa avrebbero dovuto fare i gestori di Tirreno Power nelle more dell'adozione dell'AIA. La risposta del GIP a tale quesito è lapidaria: «avrebbero dovuto autolimitare la loro attività, in via prudenziale, alle BAT», anticipando cioè l'adozione degli standard europei, formalmente imposti dall'AIA soltanto nel 2012. «Vero è che - soggiunge il decreto - il rispetto delle BAT non era previsto dalla legge quale obbligatorio, ma è altresì vero che esse costituiscono un'indicazione precisa in ordine alla condotta da tenere al fine di ridurre il danno ambientale». Del resto, precisa ulteriormente il GIP, «quanto alla doverosità giuridica della condotta alternativa del rispetto delle BAT, non sotto il profilo della specifica normativa dettata in tema di emissioni, bensì in ordine alla tutela degli ulteriori beni giuridici di rilevanza costituzionale, va rilevato che l'intera normativa ambientale si ispira, livello sia dell'Unione europea, sia interno, al cosiddetto "principio di precauzione". In particolare tale principio deve trovare applicazione in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indichi che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull'ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante di una data attività possano essere incompatibili con l'elevato livello di protezione prescelto dall'Unione europea».
12. Sul fronte del periculum in mora (pp. 43-45), infine, il GIP reputa necessario disporre il sequestro degli impianti a carbone (dunque di una parte soltanto dello stabilimento), onde evitare che la loro libera disponibilità in capo al gestore - il quale «in tutti questi anni e fino alla data odierna, ha sempre fatto quello che gli tornava più vantaggioso» - determini l'aggravamento o anche solo la protrazione del reato.
7. Il decreto di sequestro preventivo ricostruisce poi analiticamente, e con dovizia di dettagli tecnici sui quali non è possibile in questa sede soffermarsi (v. pp. 20-33), le modalità di gestione dell'impianto da parte degli imputati. Vengono in sostanza identificati due diversi periodi, il cui spartiacque è rappresentato dal rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale nei confronti di Tirreno Power, avvenuto nel 2012. L'AIA, come è noto, è il provvedimento che autorizza l'esercizio degli impianti inquinanti alle condizioni fissate nel 2006 dal Codice dell'ambiente, il quale a sua volta ha recepito sul punto le Best Available Techniques (BAT) di matrice europea. Nel caso in esame, l'istanza per ottenere l'AIA era stata tempestivamente proposta dai dirigenti della Tirreno Power nel 2007, ma, a causa di quello che il GIP definisce un «abnorme ritardo» nella definizione del procedimento amministrativo, il provvedimento autorizzativo è stato emanato dopo cinque anni, anziché entro i centocinquanta giorni previsti dalla legge.
8. Fino al 2012, in mancanza dell'AIA, la Tirreno Power non poteva ancora ritenersi formalmente vincolata alle BAT europee, bensì ai meno rigorosi standard previsti dai provvedimenti autorizzativi adottati sulla base della normativa precedente al Codice dell'ambiente. Sicché - osserva il GIP - i dati sulle emissioni forniti dagli imputati con riferimento a tale periodo, nonostante risultino superiori a limiti fissati dalle BAT europee - devono considerarsi formalmente leciti. Vanno tuttavia considerate - prosegue sul punto il decreto - sia «la lacunosità di tali dati», sia la circostanza che essi siano stati raccolti dal gestore «in assoluta autonomia e nella totale carenza di controlli da parte delle autorità preposte», in violazione delle prescrizioni già all'epoca vigenti e con evidenti ripercussioni quanto alla loro attendibilità. Il decreto di sequestro ravvisa poi ulteriori profili di illiceità nella gestione dell'impianto, tra cui la mancata copertura del parco carbone, già all'epoca suggerita dai competenti organi regionali quale unica misura adatta all'immediato abbattimento delle emissioni. «In definitiva - conclude il GIP - seppure non sia possibile affermare che il gestore abbia violato i valori limite di emissione previsti dalla legge, va tuttavia rilevato che l'esercizio della centrale è stato caratterizzato da una sistematica violazione delle prescrizioni imposte nei provvedimenti autorizzativi sotto gli ulteriori aspetti e dall'adozione di inadeguate soluzioni tecniche in merito al contenimento delle emissioni diffuse. Tale condotta, per quanto sin qui ampiamente argomentato, è certamente correlata causalmente al danno ambientale e sanitario evidenziato ed al pericolo per la pubblica incolumità».
9. Passando al periodo dal 2012 in poi, il GIP rileva la violazione delle condizioni di esercizio dell'impianto espressamente dettate nell'AIA nel frattempo rilasciata, integrante il fumus della contravvenzione - ora, come già ricordato, illecito amministrativo - di cui all'art. 29quattuordecies del Codice dell'ambiente (pp. 41-43). Il decreto descrive dettagliatamente molteplici profili di violazione dell'autorizzazione integrata, tanto sotto il profilo dell'omesso adeguamento degli impianti alle più moderne misure di sicurezza espressamente indicate nel provvedimento amministrativo, tanto sul versante del superamento delle emissioni inquinanti consentite.
10. Tornando al disastro, e passando al relativo elemento soggettivo(pp. 33-41), il provvedimento in esame ricorda anzitutto come, ai fini del sequestro, sia indifferente stabilire il titolo della responsabilità, potendo essa alternativamente consistere nel dolo, come ipotizzato dal PM, o anche soltanto nella colpa (ex artt. 434, 449 c.p.). Tanto premesso, l'interrogativo di fondo attorno al quale ruota questa parte del provvedimento è «se sia prospettabile una responsabilità del gestore, quanto meno a titolo di colpa, nonostante il rispetto dei limiti emissivi previsti dalla legge o in via amministrativa»: come sopra evidenziato, infatti, fino al 2012 i livelli di emissione dei fumi nocivi risultavano formalmente conformi alla legge (quest'ultima da intendersi quale legge nazionale precedente al Codice dell'ambiente). Ebbene, all'esito di una sintetica ricostruzione del dibattito giurisprudenziale sviluppatosi sull'art. 674 c.p., e recentemente assestatosi nel senso che il rispetto dei limiti soglia esclude la responsabilità per tale contravvenzione, il giudice perviene ad opposte conclusioni con riferimento alla fattispecie delittuosa di cui all'art. 434 c.p.: «se il rispetto dei limiti imposti esclude la configurabilità del reato di cui all'art. 674 C.P., essendo ammissibile che il legislatore o l'autorità amministrativa imponga ex imperio una soglia di tolleranza, tale presunzione di legittimità può operare solo in relazione ad un disturbo (olfattivo o visivo) transeunte e non certo laddove si verifichi un danno alla salute integrante una lesione personale, o addirittura un decesso, ovvero una pluralità di tali eventi, rientranti nella più ampia nozione di disastro». Tanto sul presupposto che «nessun margine di tolleranza può essere contemplato, nel nostro sistema giuridico, in ordine alla causazione di lesioni, morti o di danno ambientale di dimensioni tali da integrare la nozione di disastro, attesa la posizione preminente da attribuirsi ai beni della salute e dell'ambiente rispetto a quello della libertà delle attività economiche». Quanto poi al dolo di disastro, il GIP si limita a riportare gli argomenti espressi a tal proposito dal PM - basati, in buona sostanza, sulla ricostruzione dell'elemento soggettivo di cui all'art. 434 c.p. come dolo generico e sulla ritenuta piena consapevolezza, da parte degli imputati, dei danni che la loro attività stava producendo sulle persone e sull'ambiente -, mostrando tuttavia prudenza rispetto alla loro fondatezza e comunque ribadendone l'irrilevanza ai fini del sequestro (si rinvia, sul punto, alle pp. 38-41 del decreto).
11. Sempre in merito all'elemento soggettivo "minimo" della colpa, correttamente il GIP si sofferma su un profilo essenziale del suo accertamento, vale a dire l'identificazione della condotta alternativa lecita, interrogandosi in merito a che cosa avrebbero dovuto fare i gestori di Tirreno Power nelle more dell'adozione dell'AIA. La risposta del GIP a tale quesito è lapidaria: «avrebbero dovuto autolimitare la loro attività, in via prudenziale, alle BAT», anticipando cioè l'adozione degli standard europei, formalmente imposti dall'AIA soltanto nel 2012. «Vero è che - soggiunge il decreto - il rispetto delle BAT non era previsto dalla legge quale obbligatorio, ma è altresì vero che esse costituiscono un'indicazione precisa in ordine alla condotta da tenere al fine di ridurre il danno ambientale». Del resto, precisa ulteriormente il GIP, «quanto alla doverosità giuridica della condotta alternativa del rispetto delle BAT, non sotto il profilo della specifica normativa dettata in tema di emissioni, bensì in ordine alla tutela degli ulteriori beni giuridici di rilevanza costituzionale, va rilevato che l'intera normativa ambientale si ispira, livello sia dell'Unione europea, sia interno, al cosiddetto "principio di precauzione". In particolare tale principio deve trovare applicazione in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indichi che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull'ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante di una data attività possano essere incompatibili con l'elevato livello di protezione prescelto dall'Unione europea».
12. Sul fronte del periculum in mora (pp. 43-45), infine, il GIP reputa necessario disporre il sequestro degli impianti a carbone (dunque di una parte soltanto dello stabilimento), onde evitare che la loro libera disponibilità in capo al gestore - il quale «in tutti questi anni e fino alla data odierna, ha sempre fatto quello che gli tornava più vantaggioso» - determini l'aggravamento o anche solo la protrazione del reato.
Tuttavia, precisa in conclusione il provvedimento, «ove la Tirreno Power S.p.A. provvedesse all'installazione di un sistema di controllo adeguato, da calibrare e monitorare ad opera di uno o più tecnici nominati da questo Giudice, ai quali andrebbe anche affidato il compito di accertare, attraverso i controlli giornalieri dello SME, che i gruppi a carbone VL3 e VL4 siano gestiti in modo da mantenere le emissioni nei limiti delle MTD, potrà provvedersi al dissequestro dei detti impianti».
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