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01 maggio 2015

RECOMMON : LE RESPONSABILITÀ FRANCESI ED ITALIANE NEL CARBONE KILLER DI VADO LIGURE.

Tratto da Recommon

LE RESPONSABILITÀ FRANCESI ED ITALIANE NEL CARBONE KILLER DI VADO LIGURE.

di Antonio Tricarico

Proteste inusuali hanno avuto luogo martedì scorso all’ingresso dell’assemblea degli azionisti della società energetica francese Gas de France (GDF), il colosso transalpino controllato in parte dal governo francese.
Les Amis de la Terre e altri attivisti e ambientalisti francesi si sono presentati all’ingresso dell’incontro camuffati da Francois Hollande chiedendo di entrare, senza successo. Alla fine del 2014 il presidente francese aveva annunciato, infatti, l’intenzione del governo di metter fine al finanziamento pubblico per gli impianti a carbone nel mondo.
Una decisione di rilievo, presa in vista dell’importante scadenza dei negoziati sul clima del vertice di Parigi del prossimo dicembre. Eppure, tale decisione sembra non applicarsi alle società controllate dall’Eliseo, tra cui la GDF e l’altro colosso francese EDF.
Gli “attivisti Hollande” avrebbero voluto chiedere ai manager della GDF di adeguarsi alla decisione e prestare attenzione alle parole del presidente francese, invece di continuare a investire in impianti a carbone dal Sudafrica alla Polonia.
GDF – il cui nome proprio in questi giorni sta mutando in “Engie” – è anche il principale socio dellaTirreno Power, la società che possiede l’impianto a carbone di Vado Ligure, entrato nell’occhio del ciclone quando nel marzo 2014 la procura di Savona ha autorizzato la chiusura ed il blocco dell’impianto con l’accusa nei confronti dei manager della società di disastro ambientale ed omicidio colposo plurimo di più di quattrocento persone decedute nell’area di Vado tra il 2000 ed il 2007.
La morte di queste persone sarebbe dovuta, secondo i magistrati inquirenti, alle emissioni nocive del carbone bruciato in centrale. Una decisione unica nell’intero panorama giuridico internazionale. A breve è atteso il possibile rinvio a giudizio degli indagati.
In seguito alla chiusura di uno dei suoi principali asset, la Tirreno Power ha acuito la sua già precaria situazione economico-finanziaria. Con grande difficoltà e ritardo sono stati chiusi i bilanci del 2013 i cui certificatori si sono rifiutati di validare. Si è ancora in attesa dei bilanci 2014, dopo che la società lo scorso gennaio è riuscita a strappare un generoso accordo di ristrutturazione del proprio debito pari quasi ad un miliardo di euro con le tre banche creditrici: UnicreditMediobanca e BNP Paribas-BNL.
Non è chiaro ad oggi su quale piano industriale le banche abbiano deciso di dare ancora credito alla società, ed in particolare se questa consideri che l’impianto verrà riaperto presto. Un dettaglio non da poco, al punto che – da fonti interne – emerge che i manager di GDF a Parigi sono alquanto preoccupati e, se la situazione non dovesse cambiare, potrebbero anche uscire dall’investimento nella Tirreno Power.
Le banche incalzate da Re:Common ed altre associazioni ambientaliste italiane hanno recentemente declinato di esprimersi sulla vicenda e sulle loro responsabilità in questa, in nome della confidenzialità commerciale (ecco la lettera inviata alle banche, la risposta di Unicredit e la risposta di BNP Paribas)
Peraltro, nel caso di Unicredit, togliendo credibilità alla policy interna che questa banca si sarebbe data da alcuni anni per limitare il suo sostegno alle fonti energetiche più inquinanti e causa dei cambiamenti climatici.
Se Hollande non viene ascoltato dai manager di GDF – e si vedrà se il governo francese avrà il coraggio di pronunciarsi sul caso oppure no – nel caso italiano il governo si pone addirittura il problema di come aiutare la società a riaprire l’impianto a carbone, andando contro gli atti della procura di Savona.
Da più parti è stato chiesto un decreto “apri-Vado a palazzo Chigi, cavalcando il nefasto precedente dell’Ilva di Taranto. Ma in questo caso è un po’ difficile giustificare che il vecchio impianto di Vado è un asset strategico nazionale, a fronte di un libero mercato dell’energia e soprattutto un eccesso di capacità di generazione elettrica installata in Italia.
In più, la centrale ligure non sarebbe ancora riuscita a rispettare i criteri fissati nella nuova autorizzazione integrata ambientale, mandando in fumo la credibilità della società. 
Se arrivasse a breve il rinvio a giudizio per i manager della Tirreno Power, l’impianto sarebbe a tutti gli effetti da considerare uno “stranded asset” senza valore e quindi da rottamare. E la magistratura italiana avrà dimostrato di essere molto più sensibile alla salute dei cittadini e alla lotta ai cambiamenti climatici del rottamatore che siede a Palazzo Chigi.



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