Tratto da Il Fatto Quotidiano
Tirreno Power, testimone ai pm: “I soldi piovevano come latte dal rubinetto”
“Piovevano soldi come se fosse latte dal rubinetto”. Così, davanti ai pm, uno dei componenti del collegio sindacale di Tirreno Power ha descritto l’andamento delle attività della centrale a carbone di Savona sequestrata nel marzo 2014 per disastro ambientale, reato per cui sono stati iscritti nel registro degli indagati tutti gli ex assessori della giunta Burlando e lo stesso ex governatore della Liguria.
In 11 anni, si legge negli atti della Procura, l’impianto ha fruttato agli azionisti Gdf Suez, Sorgenia,Iren e Hera circa 1 miliardo di euro di profitti e garantito la “distribuzione effettiva di utili ai soci pari ad almeno 700 milioni”. A fronte di questi risultati, l’azienda non ha reinvestito a sufficienza per ridurre l’inquinamento, anche grazie agli interventi di politici e amministratori di Comuni, Provincia e Regione, a cui vengono contestati l’abuso di ufficio e il disastro colposo aggravato.
Nelle 44 pagine di avviso di conclusione indagini, la Procura evidenza come nel periodo 2002-2013 i gruppi a carbone VL3 e VL4 della centrale abbiano prodotto oltre 44mila GWH di elettricità, portando nelle casse della società più di 1 miliardo di euro. Nonostante questo solo nel maggio 2014 l’azienda ha proposto interventi migliorativi per circa 100 milioni. Misure che se adottate prima, è la tesi degli investigatori, avrebbero consentito di ridurre l’inquinamento e interrompere la catena di decessi, 427 tra il 2000 e il 2007, e i ricoveri di bambini (433 tra 2005 e 2010) e adulti (2.161 in 5 anni) per patologie respiratorie o cardiovascolari.
Dalle contestazioni dei pm, che hanno avviato l’inchiesta tre anni fa, emergono poi le presunta responsabilità dei politici, amministratori e funzionari avrebbero abusato del loro potere con pressioni per garantire l’apertura della centrale. In particolare, scrivono i pm nell’avviso di conclusione indagini, l’ex assessore regionale allo Sviluppo economico Renzo Guccinelli “per adeguarsi alle richieste della società in persona di Enrico Erulo (direttore affari generali di Tirreno Power, ndr) arrivava a proporre alla Minervini (dirigente regionale) la modifica dei valori limite di Co previsti nella delibera già adottata senza richiedere alla giunta una nuova delibera di modifica, con contenuti corrispondenti alle richieste dell’azienda”.
Secondo la Procura, la Minervini “concordava con Marco Correggiari (funzionario della Provincia di Savona) la predisposizione delle bozze di delibera delle rispettive giunte lasciando in bianco i numeri per consentire all’azienda di dire l’ultima parola attraverso Correggiari che manteneva i contatti, a livello operativo qualificato, con una fonte interna all’azienda, da identificarsi in Alessandro Colaprico e ottenendo, su ciascuna voce emissiva, il ‘concerto’ aziendale”.
Tra gli indagati anche Massimo Orlandi, dal 2002 al 2013 amministratore delegato di Sorgenia, la società della famiglia De Benedetti finita nelle mani delle banche creditrici, Mariano Grillo, responsabile della divisione Valutazioni ambientali del ministero dell’Ambiente, otto membri della Commissione ministeriale Ippc (Integrated pollution prevention and control) e tre della commissione Valutazione impatto ambientale del ministero.
Secondo i magistrati, questi ultimi “in spregio alle norme di legge a tutela della salute e dell’ambiente” avrebbero procurato “un ingiusto vantaggio patrimoniale a Tirreno Power” concedendo “autorizzazioni necessarie a consentire la lucrosa ripresa dell’attività produttiva dei gruppi a carbone esistente alle condizioni dettate dall’azienda” e avere favorito l’azienda “con l’artificiosa e scientificamente infondata negazione del disastro”......
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Tratto da Ivg
Inchiesta Tirreno Power: le “pressioni” di Burlando e Minervini e i contatti tra azienda e Ministero
Secondo i pm il dirigente Minervini ha omesso di disporre i controlli sulla qualità dell'aria e chiesto all'Ist di smontare la consulenza dei magistrati
Savona. Gli indagati nell’inchiesta sulla centrale a carbone di Vado Ligure sono ottantasei, ma, ovviamente, i ruoli e le responsabilità attribuiti a ciascuno di loro dagli inquirenti sono differenti.
C’è chi avrebbe avuto ruoli di primo piano e chi invece è coinvolto solo marginalmente nella vicenda Tirreno Power. Tra i primi, secondo il procuratore Francantonio Granero e il sostituto Chiara Maria Paolucci, ci sono, oltre ad alcuni dirigenti dell’azienda, anche l’ex presidente della Regione Claudio Burlando, il direttore del Dipartimento Ambiente della Regione Gabriella Minervini, ma anche i sindaci che negli anni si sono succeduti nell’amministrazione di Quiliano e Vado (Nicola Isetta, Alberto Ferrando, Carlo Giacobbe e Attilio Caviglia).
Se agli amministratori locali viene imputato in particolare, in qualità di autorità sanitarie locali, di non aver applicato gli strumenti normativi a loro disposizione (ordinanze e prescrizioni precise relative al monitoraggio della qualità dell’aria) per tutelare la salute dei cittadini, a Burlando e Minervini viene attribuito un ruolo più attivo nella vicenda.
Per quanto riguarda Burlando, in relazione al reato di abuso d’ufficio, la Procura gli contesta, in presenza di un danno ambientale da lui stesso definito “colossale” (nelle carte è citata proprio un’intervista rilasciata ad IVG.it nel luglio del 2011), una serie di condotte illecite. In primis avrebbe condotto “in prima persona la ‘trattativa’ nella complessa strategia condotta per anni da Tirreno Power, finalizzata a legittimare dal punto di vista delle necessarie autorizzazioni, il mantenimento in funzione, nello stato in cui si trovavano, dei vecchi gruppi a carbone VL3 e VL4, economicamente molto redditizi, che non avrebbero mai potuto essere autorizzati, così com’erano, nell’ambito di una autonoma procedura di AIA”.(Leggi qui)
I pm contestano anche a Burlando di essere stato consapevole “per conoscenza diretta almeno dal 21 novembre 2009, del disinteresse concreto della società, al di là dell’uso strumentale fattone, per la realizzazione del gruppo VL6” e di aver esercitato “una forte pressione sui Sindaci dei comuni sede dell’impianto (contrari ‘politicamente’ e pubblicamente all’ampliamento ed alla stessa esistenza della Centrale, anche se avevano sempre omesso i provvedimenti autoritativi di loro competenza)” rinnovando l’invito “a partecipare ora alla gestione e al controllo del progetto”.
Altrettanto attivo, per quanto emerge dalle carte, sarebbe stato anche il ruolo di Gabriella Minervini che avrebbe “omesso di disporre i controlli sull’adempimento delle prescrizioni” imposti dal Ministero dell’Ambiente nel 2001. E ancora avrebbe attestato, “attraverso artifici formali, e quindi in maniera sostanzialmente e coscientemente falsa o, in ogni caso, non vera”, l’avvenuto adempimento di alcune prescrizioni solo “per corrispondere ad uno specifico interesse di Tirreno Power,sia per il rilascio della VIA sia ai fini dell’autorizzazione MISE alla costruzione del nuovo gruppo a carbone VL6“.
Contestazioni che si riferiscono al periodo precedente al sequestro dei due gruppi a carbone, ma le accuse della Procura a Gabriella Minervini riguardano anche gli ultimi mesi quando “con l’incitamento e l’avvallo del presidente della Giunta Regionale (Burlando) risultante da numerose telefonate e conversazioni intercettate e dell’assessore Guccinelli” si adoperava perché “i componenti dell’Osservatorio si pronunciassero contro la validità delle conclusioni scientifiche della consulenza disposta dal pubblico ministero”.
A questo punto il dirigente allora avrebbe esercitato “una rilevante pressione nei confronti dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro” attraverso Paolo Bruzzi e Franco Merlo chiedendo “l’elaborazione di un documento di critica alla consulenza ben orientato a minimizzare gli effetti delle ricadute emissive della centrale”.
E si legge nelle carte: “L’analisi era così frettolosa ed ‘orientata’ che il Merlo, davanti al pubblico ministero, avrebbe dovuto riconoscere che senza leggere l’intera consulenza, aveva confuso l’utilizzo del SO2, utilizzato soltanto come ‘tracciante’ e non come inquinante nell’analisi tecnica, col che sarebbe venuta meno una delle critiche fondamentali formulate, dimostratasi priva delle benché minima validità scientifica”.
Tanto che il documento in questione “contenente un nutrito elenco di spunti critici alle consulenze del pubblico ministero, poi ampiamente smentiti — tutti — dallo stesso Merlo in sede di audizione davanti al pm” non era stato sottoscritto dagli estensori che “consapevoli della sua inconsistenza scientifica” lo consideravano “solo una sorta di appunto (come avrebbe precisato il direttore Bruzzi, mentre il Merlo lo avrebbe definito ‘infausto’) da fornire a Gabriella Minervini come pezza d’appoggio per l’uso che la medesima intendesse farne”.
Anche l’assessore Renzo Guccinelli (a differenza degli altri componenti della Giunta Regionale, così come di quelle provinciale e comunali, tirati in ballo, di fatto, perché hanno firmato le delibere pro-centrale) si sarebbe interessato in prima persona per “farsi portatore e tramite degli interessi aziendali in tutte le sedi” come risulta dalle intercettazioni telefoniche.
Infine dalle carte saltano fuori i contatti tra il direttore generale di Tirreno Power Massimiliano Salvi e il direttore generale del ministero dell’Ambiente Mariano Grillo. Sarebbero stati proprio loro a portare avanti il progetto di “chiudere il rinnovo anticipato dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) attraverso una nuova e diversa richiesta di AIA che non contemplasse più la costruzione del gruppo VL6”.
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