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22 agosto 2015

Il Procuratore Granero va in pensione: “Le pressioni danno la consapevolezza di essere nel giusto”.

Tratto da Ivg

Il Procuratore Granero in pensione: “Le pressioni danno la consapevolezza di essere nel giusto”.

Il magistrato, nel giorno dei saluti, risponde ad alcune domande e parla del caso Teardo, di Tirreno Power...
Savona. Ultimo giorno di lavoro a palazzo di giustizia per il Procuratore di Savona Francantonio Granero che, da lunedì prossimo, sarà ufficialmente in pensione. In attesa di conoscere il nome di chi lo sostituirà ,proprio in concomitanza con il momento dei saluti del Procuratore, pubblichiamo un’intervista che Granero ci ha rilasciato nelle scorse ore.
Teardo e Tirreno Power. L’inizio e la “fine”. Due inchieste distanti tra loro più di 30 anni, ma che probabilmente presentano anche delle analogie, per esempio sul piano dell’intreccio tra politica e affari. E’ così?
Non si può escludere nulla, ma nemmeno affermarlo. È una questione complessa che non può essere affrontata in una intervista.

Dopo il caso Teardo che Savona ha lasciato? Quando è tornato sotto la Torretta dopo le esperienze a Roma, a Trento, in Corte di Cassazione ha trovato una città cambiata?
Purtroppo no. Fatti i necessari distinguo in termini di uomini e circostanze, molti dei metodi descritti nell’ordinanza di rinvio a giudizio nel processo Teardo sono rintracciabili, espressi in forma diversa, dopo trent’anni, in molti atti della Procura di Savona nel periodo in cui ne sono stato il responsabile.

Non si può dire che il suo nome, negli anni, non si sia affiancato ad inchieste di primissimo piano e con rilevanza nazionale basta pensare al caso Teardo, al “sangue infetto”, alla tragedia del Cermis e a Tirreno Power. Tra queste ce n’è una che ricorderà più delle altre?
Il ricordo è un fatto emotivo e muta di volta in volta a seconda delle circostanze. In ogni caso, sono tutte vicende che hanno contrassegnato la mia vita professionale e che mi consentono di dire, mutuando il titolo del libro scritto da un illustre collega ed amico, Armando Spataro, “ne è valsa la pena”.

L’inchiesta Tirreno Power nell’ultimo anno ha catalizzato l’attenzione mediatica (e non solo) causando forti “pressioni” intorno alla Procura di Savona, ma l’indagine non ha mai subito battute d’arresto. Quanto è stato difficile lavorare in questa condizione? Ora che gli atti d’inchiesta sono “pubblici” crede che il vostro lavoro possa essere visto sotto un’altra luce anche da chi, per mesi, è stato scettico e ha duramente criticato quello che stavate facendo?
Le difficoltà incontrate sono altre: prima di tutto la delicatezza della materia, la consapevolezza delle gravi conseguenze per i lavoratori, la mancanza di mezzi materiali e di un minimo di logistica, supportate, però, dalla grande efficienza e collaborazione dimostrata dai carabinieri del NOE. Quello delle “pressioni” è stato proprio l’ultimo problema. Queste, quando si verificano, danno all’inquirente la consapevolezza di essere nel giusto.

Abusi edilizi e situazione di grave dissesto idrogeologico del territorio. Quanto questi due fenomeni viaggiano di pari passo? E quanto secondo Lei il Savonese è “devastato” dall’intervento dell’uomo?
La bellezza e la varietà del territorio savonese, pur molto fragile, erano tali che la peggiore coalizione di interessi e volontà non è ancora riuscita a distruggerle del tutto. Che abusi e dissesto viaggino di pari passo è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti.

Nei suoi anni da Procuratore a Savona oltre ad occuparsi della criminalità e di tutte le attività investigative di competenza del pubblico ministero, spesso, si è dovuto occupare di problemi “logistici” legati per esempio all’organizzazione dell’ufficio e alle carenze strutturali del tribunale. Dal punto di vista organizzativo sono stati fatti dei passi in avanti? Per quanto riguarda il palazzo di Giustizia invece quale sarebbe secondo lei l’unica via percorribile per risolvere il problema in via definitiva?
Il problema del procacciamento dell’organizzazione dei mezzi materiali, cui ho dedicato molto tempo ed energie, rappresenta una vera e propria sconfitta professionale, una sorta di lotta contro i mulini a vento.

Che cosa spera di aver lasciato in eredità ai suoi colleghi, soprattutto quelli più giovani, che dal 24 agosto lavoreranno al sesto piano senza di Lei?
Una metodologia di lavoro e soprattutto l’orgoglio dell’indipendenza di giudizio, retta da una coscienza solida e da una spina dorsale che non si piega.

Se si guarda indietro è soddisfatto di quello che ha fatto? Le aspettative che aveva quando, dopo un’esperienza come insegnante, ha iniziato a fare il magistrato sono state rispettate? C’è qualcosa che farebbe o non rifarebbe?
C’è una risposta implicita in quel che le ho detto prima. In ogni caso, tutto ciò che ho fatto l’ho fatto con tale ferma convinzione che mi riesce difficile immaginare che cosa non rifarei più.
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Ultimo giorno per Granero a capo della Procura di Savona, il saluto ai pm: "Resistete contro i poteri reali, per un pubblico ministero indipendente ed efficiente"


Di seguito la lettera di saluto scritta da Francantonio Granero, indirizzata al personale della Procura, in particolare ai magistrati Ubaldo Pelosi, Chiara Venturi, Cristiana Buttiglione, Giovanni Battista Ferro, Chiara Maria Paolucci, Daniela Pischetola e Vincenzo Carusi.

“Cari tutti, aborrisco la retorica degli addii e nella mia lunga carriera, avendo partecipato a molti incontri di commiato, mi sono convinto quasi da subito che sarebbe stato meglio non indulgere a questo tipo di cerimonie. Voglio dirvi, invece, con convinzione, forza ed affetto, che sono molto orgoglioso del clima che siamo riusciti a creare nel nostro ufficio e dei risultati che abbiamo ottenuto. Questi sono paragonabili, senza tema di smentita, a quelli mediamente ottenibili in un ufficio di dimensioni molto, ma molto più grandi e, d’altra parte, l’elaborazione e la riproposizione quasi maniacale delle statistiche (per la quale gli altri magistrati dell’ufficio mi prendono affettuosamente in giro), lo dimostra ampiamente, anche se la constatazione resta solo come soddisfazione morale. Tutti abbiamo contribuito, magistrati ordinari ed onorari, personale amministrativo, polizia giudiziaria delle sezioni ed aggregata”.
Mi soffermo un po’ di più sulla polizia giudiziaria, per le implicazioni costituzionali ed istituzionali che derivano dalla sua presenza negli uffici di procura che, almeno qui da noi, ha occupato la parte nettamente prevalente del mio impegno lavorativo. Una presenza preziosa, che spero non ci venga mai tolta, perché, grazie al ruolo che le compete, rappresenta il baluardo organizzativo dell’autonomia costituzionale del pubblico ministero che, altrimenti, avrebbe le mani legate. Ne risentirebbe il clima dell’intero Ufficio, destinato a divenire, di fatto, meno indipendente, molto più scialbo e burocratizzato, un mero passacarte del Potere Esecutivo, in pratica della politica, a sua volta condizionata dai cd. “poteri forti”. Le ricadute sarebbero devastanti, perché – senza bisogno di attentare formalmente all’indipendenza del Giudice – quest’ultimo, privato dell’apporto indipendente del motore del processo, il pubblico ministero, sarebbe costretto a giudicare “liberamente” solo sulle questioni che interessano alla politica”.
I rischi di questa involuzione ci sono, perché i “poteri reali” mal sopportano il controllo di legalità ad opera del potere formale di un pubblico ministero indipendente ed efficiente. Quindi assistiamo a tentativi sempre più sottili, ma incisivi, per svuotare di possibilità operative i nostri poteri formali, che non si ha ancora avuto il coraggio politico di toccare apertamente, così trasformando il Pubblico Ministero in un burocrate. Se questo dovesse davvero accadere, ne risentirebbe l’intero ufficio di procura, che cambierebbe pelle (molto in peggio). Si tratta di un rischio reale, al quale mi auguro che tutti quanti Voi sappiate resistere, con retta coscienza, mente lucida, schiena diritta e piede fermo. Ed è anche l’augurio che mi pare di poter fare collettivamente a ciascuno, senza distinzioni di ruoli o, meno che mai, di caste”.
Quanto a me, nel momento del commiato, tengo fermo il proposito ultradecennale di evitare cerimonie politically corrette, ma melense: me ne vado in silenzio, senza malinconiche festicciole ed in punta di piedi, devolvendo il corrispettivo economico della “festa” ad una Onlus benemerita, basata sul volontariato, che opera nel settore dell’assistenza sociale e socio sanitaria, della beneficenza, dell’ istruzione e della formazione.....
“Grazie per questi anni passati insieme, che non esito a definire umanamente e professionalmente bellissimi”.
                                                                    Debora Geido

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