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28 giugno 2017

Banche e cambiamento climatico, un legame molto difficile da spezzare

 Tratto da Lettera 43

Banche e cambiamento climatico, un legame difficile da spezzare


Un anno dopo la firma del trattato sul clima della Conferenza di Parigi, le banche hanno ridotto in media i loro investimenti in combustibili fossili. Per le 37 banche più potenti del mondo nel 2014 la quota di finanziamenti è stata di 92 miliardi di dollari, nel 2015 di 111 e nel 2016 è scesa a 87. Una buona notizia che però non vale per tutti gli istituti di credito. UniCredit, il più grande gruppo bancario d'Italia, negli ultimi due anni ha quasi raddoppiato gli investimenti in energie inquinanti: da 554 milioni nel 2015 a 960 nel 2016. È quanto emerge dal rapporto Banking on Climate Change, studio elaborato dalle ong ambientaliste Sierra Club, Oil Change International, Rainforest Action Network e Banktrack con il contributo di altri 28 organizzazioni, tra cui Re:Common                                                                                                        
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L'INIZIATIVA DI 30 ISTITUZIONI BANCARIE. Quasi in contemporanea, come in un botta e risposta a distanza, 30 tra le istituzioni bancarie più importanti del mondo (dalla Banca mondiale alla Banca per gli investimenti europei, dall'Agenzia per lo sviluppo tedesca a quella indiana) hanno costituito la Climate Action in Financial Institutions Initiative, un network che si pone fino al dicembre 2018 l'obiettivo di promuovere attraverso report, buone pratiche e strategie condivise l'implemento a livello mondiale delle politiche ambientali contro il cambiamento climatico. Un modo per dire che anche le istituzioni della finanza vogliono fare la loro parte.
                                                                                                                                     UniCredit, al 30esimo posto della classifica dei principali finanziatori del cambiamento climatico con 2,1 miliardi nel triennio 2014- 2016, esce bocciata da Banking on Climate Change. Lo studio si concentra su petrolio estremo (ricavato da sabbie bituminose, Artico e da giacimenti in ultra mare aperto), miniere di carbone, centrali a carbone ed esportazione di gas Lng (gas liquido naturale), quattro tra le forme di energia da combustibili fossili più inquinanti al mondo. In tutti i settori UniCredit viene bocciata nella tabella del rapporto. In particolare, la banca italiana è molto attiva nella regione Artica, dove è decima nella classifica dei maggiori investitori, dietro gruppi come Bnp Paribas, Deutsche Bank e Barclays. In pagella fanno peggio di UniCredit le grandi banche cinesi (come Bank of China e China Construction Bank), alcune giapponesi (come la Sumitomo o la Nab), australiane come la Ciommonwealth Bank e nordamericane come Icbc, Cic e Scotiabank, gravemente insufficienti in tutte le categorie 
                                                                                                                       

L''IMPATTO DI CINA E USA. Già da quanto emerso ai tempi della Conferenza di Parigi, i problemi principali delle politiche energetiche sono concentrati tra Cina e Stati Uniti, Paesi che da soli contribuiscono da soli al 38% dell'inquinamento mondiale. Non stupisce, quindi, che i primi posti per investimenti complessivi nell'ultimo triennio nel settore dell'energia da fonti combustibili siano occupati proprio dalla Bank of China, la Commercial Bank of China e Jp Morgan. Dallo studio di Bank Track e delle altre ong risultano anche evidenti gli effetti ottenuti dalle campagne ambientaliste, in special modo con le banche europee. Bnp Paribas, Crédit Agricole, Société Générale e Deutsche Bank, destinatarie di campagne per fermare gli investimenti nel carbone, hanno effettivamente interrotto il sostegno di progetti di centrali a carbone, anche se continuano, in parte, a sostenere le miniere......Continua qui

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