COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE.

QUESTO BLOG UTILIZZA COOKIES ,ANCHE DI TERZE PARTI.SCORRENDO QUESTA PAGINA ,CLICCANDO SU UN LINK O PROSEGUENDO LA NAVIGAZIONE IN ALTRA MANIERA ,ACCONSENTI ALL'USO DEI COOKIES.SE VUOI SAPERNE DI PIU' O NEGARE IL CONSENSO A TUTTI O AD ALCUNI COOKIES LEGGI LA "COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE".

12 agosto 2019

Crisi climatica e disastri ambientali: e' partita la causa "Giudizio universale"

Tratto da Il Cambiamento
Crisi climatica e disastri ambientali: parte la causa "Giudizio universale"
Scioglimento dei ghiacciai, siccità, desertificazione, eventi climatici estremi, estinzione di interi ecosistemi sono solo alcuni dei fenomeni che già oggi si verificano su tutta la Terra. 
E ora un raggruppamento di cittadini, associazione e professionisti ha deciso di fare causa allo Stato italiano.
«Gli scienziati ne sono certi: se continuiamo così, entro la 
fine del secolo le temperature aumenteranno di oltre 4°C. 
Abbiamo appena undici anni per bloccare tutte le politiche
 che generano emissioni e modificano il clima.Giunti a quel 
punto, sarà troppo tardi.

Nessuno dei leader mondiali ha colto il messaggio e l’urgenza
 del pericolo,nemmeno a casa nostra!»: queste le parole 
chiare e dirette del raggruppamento di movimenti, associazioni
, cittadini e professionisti cheha dato vita alla causa che è 
stata chiamata "Giudizio universale".

«In moltissimi paesi, movimenti e cittadini stanno citando in
 giudizio Stato,istituzioni e imprese per costringerli ad attuare
 politiche realmente efficaci - spiegano i promotori - 
Abbiamo deciso di fare causa anche in Italia. Chiederemo allo
 Stato Italiano di attuare misure più stringenti per rispondere 
ai cambiamenti climatici e invertire il  processo: se non ci
 pensiamo noi, nessuno lo farà al posto nostro».

Le concentrazioni atmosferiche di gas serra hanno raggiunto
 nuovi record nel 2017, con la CO2 a 405.5 ppm (+146% 
rispetto ai livelli preindustriali).
Rispetto al 1990, la capacità dei gas serra di alterare il 
bilancio energetico terrestre (forzante radiativo) è aumentata
 del 41% [WMO Greenhouse Gas Bulletin – No. 14].

«La causa sono le attività umane, e in primo luogo l’utilizzo
 di combustibili fossili - spiegano i promotori della maxi-causa -
Nel 2010, il 35% delle emissioni globali provenivano dal 
settore dell’approvvigionamento energetico, il 24% dal settore
 dell’agricoltura,silvicoltura e altri usi della terra,il 21% 
dall’industria, il 14% dai trasporti e il 6.4% dagli edifici 
[IPCC Fifth Assessment Report].

Il 71% di tutte le emissioni industriali dal 1970 a oggi sono 
state causate da appena 100 industrie produttrici di 
combustibili fossili [CDP Carbon  Majors Report 2017]. 
Le emissioni globali inoltre non mostrano nessun segno di
 voler diminuire: sono anzi ancora aumentate nel 2017
[UNEP Emissions Gap Report 2018].
Al contrario, per restare entro la soglia dei 2°C di 
riscaldamento globale,entro il 2030 dovremmo tagliare le
 emissioni del 25% rispetto al 2010 e raggiungere lo zero netto nel 2070, mentre per restare entro 1.5°C nel 2030 le emissioni 
dovrebbero essere del 45% più basse rispetto al 2010 ed
 essere pari a zero già nel 2050. Se continuiamo su questa 
strada, già nel 2030 potremmo raggiungere un riscaldamento
 globale di +1.5°C, e a fine secolo potremmo arrivare a oltre 
4°C in più [IPCC Special Report: Global Warming of 1.5°C]».

«L’Italia è parte del cosiddetto gruppo dei Paesi sviluppati,
 quelli che storicamente sono i maggiori responsabili delle 
emissioni di gas serra a livello globale - prosegue il 
raggruppamento - Rispetto al 1990,al 2017 le nostre emissioni
 si sono ridotte di appena il 17.4% [ISPRA], mentre
già nel 2007 l’IPCC chiedeva che i Paesi sviluppati
 riducessero le emissioni del 25-40% entro il 2020 
[IPCC Fourth Assessment Report]. Inoltre, parte di questa 
riduzione è dovuta sia alla crisi economica del 2008 e al 
conseguente  calo della produzione, sia alla delocalizzazione
 di alcuni settori produttivi all’estero [ISPRA], e non a politiche
 climatiche efficaci».

«I nostri target di riduzione per il futuro sono del tutto 
insufficienti rispetto a quanto la scienza ci chiede per sperare
 di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia degli 
1.5°C: anche la proposta di Piano Nazionale Energia e Clima
 presentata a fine 2018 è stata giudicata troppo poco
 ambiziosa [European Climate Foundation]».

A livello globale, un riscaldamento di anche solo di 1.5°C delle
 temperature significa interi ecosistemi distrutti ed estinzione
 di massa delle specie animali e vegetali, un aumento del 
100% del rischio di inondazioni, 350 milioni di persone esposte
 a rischio idrico e siccità, 46 milioni colpite dall’innalzamento
 del livello dei mari, il 9% della popolazione mondiale esposta
a ondate di calore.

Tutto questo porterà al collasso dei sistemi di produzione del 
cibo, metterà sotto alto stress le società attuali incrementando
 i conflitti e le migrazioni di massa di intere popolazioni.

E per l’Italia? La geografia e la topografia del nostro territorio, 
che costituiscono l’unicità del nostro Paese, ne determinano 
anche l’estrema fragilità di fronte ai cambiamenti climatici. 
L’area mediterranea è infatti particolarmente a rischio: si 
riscalda una volta e mezzo più velocemente del resto del 
mondo, e con un riscaldamento di 2°C globale vedrebbe la
 propria disponibilità di acqua, già scarsa, ridursi di ben il 17%.
Anche la zona alpina è un hotspot dei cambiamenti climatici:
 lo scioglimento dei ghiacci perenni porterebbe alla perdita di fondamentali riserve d’acqua che alimentano le comunità che 
vivono alle pendici delle montagne, l’equilibrio degli 
ecosistemi verrebbe fortemente compromesso e 
aumenterebbe il rischio idrogeologico.

Di fatto, le temperature medie italiane sono già circa un grado 
e mezzo più alte rispetto al periodo preindustriale, con tutte le conseguenze in termini di disponibilità d’acqua, siccità, 
ondate di calore, ma anche fenomeni estremi come piogge, 
grandinate e nevicate forti e improvvise, inondazioni, trombe 
d’aria.
L’innalzamento del livello dei mari globale inoltre porterà alla
 scomparsa di molte aree, soprattutto costiere: esempi
 emblematici sono Venezia, la  città sull’ acqua, gran parte 
della Pianura Padana, la Liguria e tutte le regioni che si 
affacciano sul mare.«Sono stati individuati numerosi limiti
dell’Accordo di Parigi - aggiungono i promotori della causa -
 ma il più grande è che, seppure tutti i contributi nazionale degli Stati venissero pedissequamente implementati, porterebbero nel
 2100 a un innalzamento della temperatura globale di oltre 3°C,mancando quindi del tutto l’obiettivo.

Per mantenersi entro la soglia di +2°C, gli sforzi attualmente
 previsti dai Paesi per il 2030 andrebbero triplicati, e
 quintuplicati se si vuole perseguire l’obiettivo di 1.5°C
 [UNEP Emissions Gap Report 2018]».
I promotori della causa chiedono:
-che lo Stato italiano riconosca la gravità della situazione in 
cui si trova  l’Italia e agisca di conseguenza.
-che siano riconosciute le violazioni dei diritti umani causate
 dagli impatti dei cambiamenti climatici.
-che vengano adottati target di riduzione delle emissioni 
in linea con quanto ci chiede la scienza per mantenere il 
riscaldamento globale entro la soglia prudenziale di +1.5°C 
rispetto al periodo preindustriale.

Nessun commento: