“A dispetto del grande affetto che noi abbiamo per i nostri bambini e della grande retorica della nostra società sul valore dell’infanzia, la società è riluttante a sviluppare quanto necessario per proteggere i bambini dai rischi ambientali”
(Bruce P. Lanphear Children’s Environmental Health Center - U.S.A. – Oct. 2006)
Introduzione
Parlare della contaminazione del latte materno da parte di sostanze inquinanti, tossiche e pericolose vuol dire affrontare un argomento che fa venire i brividi al solo pensiero, tanto è lo sgomento che suscita in qualunque persona dotata di un minimo di sensibilità e buon senso. Prendere coscienza del fatto che l’alimento più prezioso al mondo – che non esito a definire “sacro” – contenga ormai quantità elevate di sostanze pericolose e cancerogene, specie se proveniente da mamme residenti in territori industrializzati, è un argomento tabù e che credo non possa lasciare indifferente nessuno. Forse, proprio per questo, tale argomento è fino ad ora rimasto confinato nell’interesse di pochi specialisti del settore e non è mai emerso, con l’attenzione che merita, al grande pubblico. Il fatto di non parlare di questo problema e soprattutto l’averlo affrontato, almeno nel nostro paese, in modo sporadico, volontaristico e non sistematico e su larga scala, non contribuisce tuttavia a risolverlo, anzi, come tutte le cose lasciate nel dimenticatoio, quando un problema di una tal portata emerge rischia di “esplodere”, lasciando spiazzati per i dubbi e gli interrogativi che pone innanzi tutti medici e pediatri, ma, ancor più, ovviamente le mamme che si chiedono quali possono essere le conseguenze di tutto ciò per i loro bambini. Ma perché proprio ora se ne parla?
Antefatto: l’inceneritore di Montale
Il problema è emerso grazie al fatto che due mamme, residenti in area di ricaduta dell’inceneritore di Montale (Pt), si sono volontariamente sottoposte all’analisi del proprio latte grazie a fondi raccolti dal locale comitato contro l’inceneritore. La questione è complessa e per una analisi più dettagliata della travagliatissima storia di questo impianto, si rimanda al documento, a firma del Dott. M. Bolognini, Medico Igienista, scaricabile sul sito dell’Ordine dei Medici di Pistoia. (1) Qui si vuol solo dare una breve descrizione della situazione, in modo da capire bene il contesto in cui si è arrivati all’esame del latte materno per iniziativa dei cittadini. L’inceneritore di Montale tratta 120 ton/giorno (pari a circa 36.000 ton/anno), recentemente autorizzato a 150 ton/giorno (45.000 ton/anno), destinato a bruciare rifiuti urbani ma anche ospedalieri e speciali ed è situato nella piana fiorentina, al confine fra 4 comuni: Agliana, Prato, Montale, Montemurlo. L’impianto ha sempre presentato criticità ed anche in passato erano stati riscontrati superamenti nelle emissioni di diossine, ma, grazie a deroghe, aveva sempre continuato a lavorare. Nel maggio 2007 furono effettuati routinari controlli i cui risultati analitici, comunicati solo in luglio, evidenziarono un importante sforamento per diossine, che fu confermato nella successiva indagine eseguita a distanza di pochi giorni per cui, a distanza di oltre due mesi dalla prima indagine si giunse, il 19 luglio 2007, alla sua temporanea chiusura. Nei mesi di funzionamento, da maggio a luglio, facendo una media delle emissioni, si può stimare che siano stati emessi 50.000.000 ng di diossine ovvero quanto l’impianto avrebbe potuto emettere in quasi un anno e mezzo di attività. Dal 2007 al 2009, anche in seguito alle vivaci polemiche che tutta la vicenda aveva sollevato, da parte di ARPAT ed ASL furono fatte analisi sia di tipo ambientale (suoli, vegetali, ecc.) che su matrici biologiche (uova, carne di manzo, polli, anatre e pesce gatto del locale parco pubblico) secondo la mappa di ricaduta riportata in Fig.1. La media delle diossine nel suolo, secondo il modello di ricaduta fornito da ARPA, ed escludendo un dato del tutto anomalo riscontrato in prossimità dello svincolo autostradale di Pistoia, in via Ciliegiole (sito oggetto di pregresso grave incidente ambientale per incendio di un grande deposito di prodotti per l’agricoltura) è riportato nella Fig. 2.
Fig. 1. Mappa di ricaduta dell’inceneritore di Montale e campionamenti per diossine sul suolo e su carne di pollo.
Figura 2: Distribuzione delle diossine nei suoli (valori medi nelle zone di ricaduta in ng/kg s.s. escludendo il dato di via Ciliegiole).
Come ben si evince dalla Tab. 1, la cosa più eclatante fu il riscontro in 5 su 8 casi di polli esaminati di livelli di diossine superiori a quelli consentiti per la commercializzazione: ciò malgrado, a tutt’oggi, nessun divieto in tal senso è stato comunque emanato.
Analisi su latte materno
Trattandosi di sostanze persistenti e bioaccumulabili, che finiscono per accumularsi nel nostro stesso organismo, passano dalla madre al feto ed anche attraverso il latte, due mamme residenti in area di ricaduta, hanno volontariamente accettato di sottoporre ad analisi il proprio latte, a circa due settimane dal parto. L’indagine è stata eseguita presso il Consorzio Interuniversitario Nazionale la Chimica per l’Ambiente, Via delle Industrie 21/8 di Marghera (Ve) ed il costo è stato sostenuto grazie ai fondi raccolti dal comitato contro l’inceneritore. Il campione A proviene da mamma di 30 anni, alla prima gravidanza, il campione B da mamma di 32 anni, con due pregressi aborti spontanei e due gravidanze a termine con relativi allattamenti. Nessuna delle due presenta patologie di rilievo all’anamnesi, abitudini di vita regolari, alimentazione variata.
Campione A
Totale WHO-PCDD/F –TEQ pg/g di grasso = 3,984 (limite sup 3,986)
Totale WHO – PCDD/F-PCB-TEQ pg/g di grasso = 10,621
Campione B
Totale WHO-PCDD/F –TEQ pg/g di grasso = 5, 507 (limite sup 5,507)
Totale WHO – PCDD/F-PCB-TEQ pg/g di grasso = 9,485
Di particolare interesse nel caso in oggetto è il profilo di 12 molecole diossino-simili appartenenti ai Policlorobifenili (PCB dioxin-like) riscontati nei campioni di latte materno che, come si vede dalla Fig. 3, è del tutto sovrapponibile al profilo dei PCB emessi dall’impianto (analisi a camino di ARPA e del gestore) ed al profilo dei PCB riscontrati nella carne di pollo.
Figura 3: Profilo di 12 PCB dioxin-like in: emissioni dell’inceneritore di Montale, polli, latte umano.
Possiamo quindi affermare che i PCB rilasciati dall’impianto di incenerimento attraverso i fumi, ricadono nell’ambiente circostante e lo contaminano gravemente; pertanto il sospetto che proprio l’inceneritore sia il maggiore responsabile della contaminazione riscontrata negli alimenti (polli) e nel latte materno acquista una ragionevole certezza. Ma cosa sono queste sostanze e che effetti possono dare?
Diossine e PCB: cosa sappiamo?
Con il termine di “diossine” si indica un gruppo di 210 composti chimici appartenenti agli idrocarburi policiclici aromatici e formati da carbonio, idrogeno, ossigeno e cloro. Capostipite di queste molecole è la TCDD (2,3,7,8–tetraclorodibenzo-p-diossina), nota anche come “diossina di Seveso” tristemente famosa in seguito all’incidente occorso ad un reattore di una multinazionale svizzera, la Roche, a Seveso, il 6 maggio del 1976. L’incidente determinò la fuoriuscita di una nube tossica di tale sostanza con contaminazione del territorio e danni alla salute per le persone esposte sia di tipo acuto che a lungo termine. Tali danni si protraggono nel tempo e a tutt’oggi vengono riscontrati e studiati: è di recente pubblicazione, ad esempio, il fatto che i bambini nati da madri coinvolte nell’infanzia nell’incidente di Seveso presentano alla nascita alterazioni della funzione tiroidea in modo statisticamente significativo: ciò significa che anche se questi neonati non sono stati direttamente esposti all’incidente di Seveso le conseguenze dell’esposizione materna si riscontrano a distanza di oltre 30 anni dall’incidente. (2)ùQueste molecole sono divise in due famiglie: policloro-dibenzo–p-diossine (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF o furani); le singole molecole appartenenti a tali famiglie vengono indicate col termine di “congeneri” e, nello specifico, si contano 75 congeneri di PCDD e 135 congeneri di PCDF. Si tratta di molecole particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente; i loro tempi di dimezzamento (ovvero il tempo necessario perché la dose si dimezzi) variano a seconda delle molecole e della matrice esaminata: ad esempio per la TCDD i tempi di dimezzamento sono da 7 a 10 anni nel corpo umano e fino a 100 anni nel sottosuolo. Si tratta di sostanze insolubili in acqua e che hanno viceversa una elevata affinità per i grassi. Sono soggette a bioaccumulo, cioè si concentrano negli organismi viventi in misura nettamente maggiore rispetto all’ambiente circostante; nell’uomo la loro assunzione avviene per oltre il 90% per via alimentare, specie attraverso latte, carne, uova, formaggi ecc.. (3) Sia PCDD che PCDF rientrano fra i 12 Inquinanti Organici Persistenti riconosciuti a livello internazionale e messi al bando dalla Convenzione di Stoccolma sottoscritta da 120 paesi, fra cui l’Italia. Le diossine sono sottoprodotti involontari dei processi di combustione e si formano in particolari condizioni di temperatura ed in presenza di Cloro. Secondo l’ultima edizione dell’inventario europeo delle diossine (4) le principali fonti per l’Italia di produzione di tali inquinanti sono rappresentate dalle combustioni industriali (64.4%), di cui oltre la metà (37% del totale) da incenerimento di rifiuti urbani, il traffico stradale contribuisce solo per l’1.1%. A differenza delle diossine i Policlorobifenili (PCB) sono stati invece prodotti deliberatamente dall’uomo tramite processi industriali. La loro produzione è iniziata negli anni 30 ed è perdurata per oltre 50 anni, fino al 1985, quando sono stati ufficialmente banditi stante la loro pericolosità. Dei PCB si conoscono 209 cogeneri, 12 di questi sono molto affini alle diossine e vengono denominati “dioxinlike”. Anche questi sono composti molto stabili, anche ad alte temperature, decomponendosi solo oltre i 1000-1200 gradi. Sono stati utilizzati sia in sistemi chiusi (trasformatori) che come additivi per ritardanti di fiamma, antiparassitari ecc..
Tossicità
La TCDD (o diossina di Seveso) è stata riconosciuta nel 1997, a 20 anni dal disastro di Seveso ed anche in seguito agli studi fatti sulla popolazione esposta, come cancerogeno certo per l’uomo ad azione multiorgano ed è conosciuta come la sostanza più tossica mai conosciuta; la sua tossicità per l’uomo si misura infatti in picogrammi, ovvero miliardesimo di milligrammo ed è legata alla straordinaria affinità che la diossina ha per il recettore AhR (Aryl Hydrocarbon Receptor), un recettore presente ampiamente nelle cellule umane, ma non solo: esso è infatti presente in vertebrati marini, terrestri e aviari e si è ampiamente conservato nel corso dell’evoluzione.
Patrizia Gentilini, Associazione Medici per l’ Ambiente, 13 Febbraio 2010
Bibliografia
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3. A. Schecter et al. Dioxin : an Overview Enivironmental Research 101 (2006) 419-428
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15. L. T. Baldassarri PCDD/F and PCB in human serum of differently exposed population of an italian city Chemosphere 73 (2008) 5228-34
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