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14 ottobre 2008

2008/14/10" Nasa: la prima mappa satellitare della CO2 troposferica"


Tratto da greenreport.it
13/10/2008
Nasa: la prima mappa satellitare della CO2 troposferica
di Riccardo Mostardini

FIRENZE. Un gruppo di ricerca coordinato da Moustafa Chahine del Jet Propulsion Laboratory della Nasa ha pubblicato venerdì scorso la prima mappa satellitare riguardante la distribuzione della CO2 nella media troposfera, ad un’altezza di circa 8 km dalla superficie terrestre. La troposfera è la parte più bassa dell’atmosfera, dove sono concentrati la maggior parte del vapore acqueo e degli elementi inquinanti di origine antropica, sia climalteranti che non. Il suo spessore varia da 8 km (ai poli) fino a 16-18 km (equatore), mentre alle nostre latitudini si aggira intorno agli 11 km.

Lo studio della Nasa ha inteso evidenziare le dinamiche di distribuzione della CO2 all’interno di essa, basandosi su rilevamenti compiuti dal settembre 2002 al luglio 2008 dalla strumentazione installata sul satellite Aqua. Ciò potrà fornire un fondamentale complemento degli studi compiuti finora, basati in grande prevalenza su osservazioni aeree e su rilevamenti compiuti al suolo. Dati ancora più significativi potranno essere ottenuti dal gennaio 2009, allorché sarà lanciato nello spazio l’Orbiting carbon observatory (Oco), primo satellite studiato esplicitamente per lo studio delle dinamiche delle molecole carboniche. Finora, invece, ricerche analoghe sono state compiute, come in questo caso (il satellite Aqua, lanciato nel 2002, è destinato principalmente allo studio delle dinamiche del ciclo idrico terrestre), grazie a strumenti montati su satelliti destinati ad altre missioni di studio.

La ricerca – si legge nel comunicato della Nasa – ha evidenziato come la distribuzione della CO2 nella media troposfera sia «fortemente influenzata dalle principali fonti di rilascio e dalle configurazioni di circolazione atmosferica su larga scala, come le correnti a getto e le dinamiche meteorologiche alle medie latitudini». I modelli di distribuzione della CO2 evidenziano significative differenze «tra l’emisfero nord, con le sue molte masse continentali, e l’emisfero sud, che è largamente coperto dall’oceano».

I dati raccolti permetteranno – soprattutto dopo che saranno integrati da quelli provenienti dall’Orbiting carbon observatory - di migliorare la comprensione dell’effettiva dinamica delle molecole carboniche successivamente al loro rilascio in atmosfera, dinamica su cui ancora sussistono molti aspetti oscuri. «Il Diossido di carbonio è difficile da misurare e tracciare» - ha dichiarato Chahine - «nessun luogo sulla terra è immune dalla sua influenza. Occorreranno molte ricerche indipendenti per convincere questo “colpevole” a “uscire dal nascondiglio” e monitorare il suo percorso dalla creazione allo stoccaggio».

Nell’immagine, le concentrazioni di CO2 troposferica nelle varie regioni del globo sono indicate con colori che vanno dal celeste (376 ppmv) al rosso (386 ppmv). Come si può vedere, balzano subito all’occhio due fasce in cui si hanno concentrazioni più forti, entrambe tra i 30 e i 40 gradi di latitudine nei due emisferi. Mentre la fascia boreale era ben conosciuta, e corrisponde «ad una cintura di aria inquinata alle medie latitudini dell’emisfero nord», la corrispondente striscia nell’emisfero australe non era stata mai evidenziata in precedenza: i ricercatori sostengono che la presenza della cordigliera delle Ande «spinge in alto la CO2 prodotta dalle principali fonti sulla superficie terrestre, come la respirazione delle piante, gli incendi e le infrastrutture usate per la produzione di carburanti sintetici e per la generazione di energia. Una porzione di questa CO2 spinta in alto (..) resta intrappolata nella corrente a getto e viene trasportata rapidamente intorno al mondo. La Troposfera» - ha concluso Chahine - «è come le acque internazionali: ciò che viene prodotto in un luogo si dirigerà da un’altra parte».

In conseguenza di ciò, la Nasa conclude che la zona con forti concentrazioni di CO2 visibile nell’Atlantico del nord deriva da emissioni prodotte negli Stati Uniti sud-orientali. I forti tassi di CO2 troposferica sul Mediterraneo derivano dalle fonti nordamericane e da quelle europee. Il Diossido prodotto dall’Asia meridionale va a incidere prevalentemente sul medio oriente, mentre quello prodotto in estremo oriente si dirige in gran parte sull’oceano Pacifico, fino alle coste della California.

Dati di grande interesse e in buona parte inediti, per i motivi sopra elencati. Il proseguire degli studi sarà di grande importanza per introdurre nel dibattito globale sul surriscaldamento climatico la constatazione – finora tenuta sottotraccia – che siamo tutti decisamente sulla stessa barca, e che è illusorio pensare di combattere gli effetti perversi del cambio climatico con azioni di prospettiva locale.

Va anche evidenziato come, ancora una volta, la sconsiderata ingordigia di combustibili fossili dei paesi sviluppati influisca in gran parte su regioni del globo ben meno industrializzate. Come a dire, noi consumiamo più di voi, emettiamo più di voi, ma le conseguenze le pagate... soprattutto voi, che avete la sfortuna di essere sottovento alle nostre ciminiere e ai nostri ingorghi stradali. Resta comunque ancora da chiarire l’effettiva relazione di causa ed effetto tra CO2 troposferica a livello locale e mutamenti climatici nelle zone coinvolte: anche il prossimo rapporto Ipcc, è stato annunciato, conterrà prevalentemente analisi climatiche zonali, e darà minore importanza rispetto al passato a valutazioni di carattere globale.

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