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14 ottobre 2009

2009/10/16"Due vittorie per il clima" /"Il cambiamento è qui. Ma i politici esitano"


Tratto da"Il manifesto"
Due vittorie per il clima
Due vittorie in due settimane per il movimento britannico contro il cambiamento climatico - alla vigilia della protesta prevista questo fine settimana contro la centrale a carbone di Ratcliffe-on-Soar vicino a Nottingham, in Inghilterra, proprietà della multinazionale E.on, sono stati bloccati altri due progetti che negli ultimi anni avevano sollevato grandi proteste: l'espansione dell'aeroporto di Heathrow e la costruzione di una nuova centrale a carbone a Kingsnorth nel Kent.
Baa, compagnia controllata dalla multinazionale spagnola Ferrovial, che ha in gestione lo scalo di Londra, ha affermato che congelerà i piani per la costruzione di una terza pista causa l'avvicinarsi delle prossime elezioni politiche, in cui probabilmente vinceranno i conservatori che si sono detti contrari al contestato progetto.
La settimana scorsa invece E.on, la più grande azienda energetica privata in Europa, con sede a Düsseldorf, ha annunciato il rinvio di almeno due o tre anni per la centrale a carbone a Kingsnorth. La ragione ufficiale è il calo di domanda di energia in seguito alla recessione. Ma è probabile che abbiano pesato le forti proteste degli ultimi 3 anni.

Lo stop a due progetti che nel Regno Unito sono diventati il simbolo dell'ipocrisia di governo e multinazionali di fronte al problema del cambiamento del clima è stato accolto come un segnale propizio in vista di Copenhagen, dove in dicembre il vertice dell'Onu sul clima sarà contestato di migliaia di manifestanti. La compagnia NoTrag, che si oppone all'espansione degli aeroporti, ha festeggiato il congelamento dell'espansione a Heathrow affermando che si tratta di «una vittoria per le prossime generazioni». Per Emma Jackson, portavoce del Climate Camp, il gruppo che ha organizzato campeggi di protesta a Heathrow e Kingsnorth nell'estate del 2007 e del 2008, «E.on e BAA stanno riconoscendo che non è più tempo per crimini climatici e centrali a carbone. Ora è venuto il momento di spegnere le centrali a carbone che sono già in funzione.E' per questo motivo che nei prossimi giorni saremo alla volta di Ratcliffe-on-Soar».
Sabato e domenica dunque la centrale a carbone da 2034 megawatt nei pressi di Nottingham sara' l'obiettivo di una protesta denominata «The Great Climate Swoop», il grande assalto climatico, con cui gli attivisti ecologisti puntano a spegnere per diverse ore un'impianto che emette ogni anno nove milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Centinaia di persone convergeranno da diversi punti intorno alla centrale, organizzati in piccoli gruppi, armati di lucchetti e colla a presa rapida per bloccare i cancelli d'entrata e badili per svuotare i vagoni colmi di carbone che entrano nell'impianto. Sul sito web del Climate Camp i partecipanti possono scaricare una mappa della zona e iscriversi a un servizio di informazione via sms che coordinerà l'azione in tempo reale.

Con questa protesta gli attivisti del Climate Camp puntano ancora una volta il dito contro il carbone, il combustibile fossile che produce la più alta quantità di anidride carbonica per unità di energia.
Ed Miliband, sottosegretario per il cambiamento climatico e le energie alternative nel governo britannico, ponte tra il governo e l'ala più istituzionale del movimento ecologista, continua a sostenere che il «carbone pulito» - con la costruzione di impianti di cattura e sequestro dell'anidride carbonica - può essere parte di un nuovo sistema energetico sostenibile.
Ma per gli attivisti che questo fine settimana circonderanno Ratcliffe-on-Soar, l'unica cosa da fare con il carbone è lasciarlo sotto terra.

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Tratto da "Terra"
Il cambiamento è qui. Ma i politici esitano

Massimo Serafini

CLIMA COPENAGHEN Dopo i rapporti delle Nazioni unite, continuano a fioccare le conferme sull’aumento di eventi ambientali estremi: non sono più solo i modelli matematici a dimostrare che la temperatura cresce e continuerà a farlo.
«Che cosa aspetti ancora amico per capire…», recitava una vecchia canzone del 1968. La cantarono, nelle piazze e nelle strade di tutto il pianeta, milioni di giovani donne e uomini, come simbolo della ribellione e dell’idea di un altro mondo possibile. Andrebbe riproposta oggi e con essa la mobilitazione di allora, per mettere fine allo scempio che la specie umana sta facendo del pianeta e del suo clima.
Quali ulteriori conferme che il clima è cambiato servono ai decisori politici per agire? Cosa bisogna aggiungere al continuo aumento di tifoni e uragani che affliggono il pianeta? A un anno dalla sconvolgente notizia che era possibile circumnavigare il Polo Nord, le autorità cinesi ci hanno informato che i ghiacciai del Tibet stanno scomparendo. Se tutto ciò sembra ancora poco, ecco pronte due conferme di quanto gli scienziati dell’Ipcc avevano previsto.
La prima, fornita dalla statunitense Noaa (National oceanic and atmosferic administration), ci dice che quest’anno la temperatura superficiale degli oceani è stata la più alta di tutti i tempi, di 0,5 gradi superiore alla media.
La seconda, proveniente dall’appuntamento Onu sull’acqua che si è tenuto in Svezia a metà agosto, ha fornito dati allarmanti sulla carenza di questa fondamentale risorsa e soprattutto la previsione di migrazioni di massa dai territori che si stanno desertificando.
Non si tratta più, dunque, di complicati e opinabili modelli matematici di previsione, elaborati, nei vari rapporti sul clima, dai ricercatori dell’Ipcc, il panel scientifico dell’Onu, ma di una dura realtà da contrastare e con cui convivere.


La domanda è: questa drammatica accelerazione degli eventi è stata colta dai decisori politici? A giudicare dalla bozza che è alla base del negoziato di Copenaghen (commentata criticamente da Terra martedì scorso) non sembra. Da essa non emerge né la necessità né l’urgenza di un cambio di passo nelle politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
Il susseguirsi di catastrofi sollecita una riflessione su un’altra questione, che dovrebbe suscitare indignazione e invece passa nell’indifferenza generale: la profonda ingiustizia delle politiche di adattamento alle conseguenze del cambiamento di clima che tutelano solo i ricchi, mentre se si ha la sventura di vivere in un Paese povero si resta in balia degli eventi. Le possibilità, però, di un accordo avanzato e vincolante, nonostante questi ritardi, restano intatte e dipendono dalla mobilitazione che in questi mesi si riuscirà a produrre.


L’Europa, sebbene l’Italia di Berlusconi la freni, si presenterà a Copenaghen forte delle sue decisioni unilaterali e vincolanti (20% di rinnovabili, 20% di taglio delle emissioni di gas serra al 2020). L’America di Obama sembra volere non solo sedere nuovamente al tavolo del negoziato, da cui Bush decise di toglierla affossando Kyoto, ma seguire l’Europa nel suo tentativo di imporre un salto di qualità nella lotta ai cambiamenti climatici.

Se in questi mesi che ci separano da Copenaghen si riuscirà a creare le condizioni politiche di questa alleanza, la possibilità di trascinare il resto del mondo e in particolare Ci- na, India e Brasile verso un accordo globale diventerebbe una certezza. Queste condizioni vanno create e ciò significa battersi in questo Paese contro il tentativo delle destre di far fallire Copenaghen.

Non sarà facile perché sappiamo quanto Berlusconi, e anche una parte delle sinistre, siano prigionieri del dogma dell’eterna crescita e quanto sia diffusa la convinzione che, in tempi di crisi economica, il costo da pagare per scelte coraggiose di riduzione dei gas serra sarebbe troppo elevato.

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