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24 marzo 2010

2010703/24"La favola del carbone pulito"/Porto Tolle.O SI PUNTA SULLE ECONOMIE LOCALI O CI SI PROSTRA AI DISEGNI CHE ALTRI HANNO DECISO

Tratto da Greenreport

La favola del carbone pulito


Stefano Ciafani* e Andrea Cocco**

ROMA. Parlare di carbone pulito è un po' come parlare della pioggia che non bagna. Una scoperta sensazionale che però non è stata ancora inventata. A dimostrarlo basterebbero le cifre sulla produzione della CO2 che ogni anno vengono fornite dall'Unione europea per monitorare il rispetto del Protocollo di Kyoto da parte delle grandi industrie. Nel 2008 le 12 centrali a carbone presenti in Italia sono stati gli impianti che hanno in assoluto inquinato di più rispetto ai limiti fissati dalla normativa europea sulla CO2, la cosiddetta Emission Trading System. In controtendenza rispetto a tutto il settore termoelettrico le 12 sorelle hanno mantenuto elevate emissioni di gas serra sforando di oltre 7 milioni di tonnellate di anidride carbonica il tetto imposto.

Un "eccesso" che, secondo le sanzioni previste dalla direttiva, costerà all'incirca 97 milioni di euro, e che rischia di essere esternalizzato finendo sulle bollette delle famiglie italiane in attesa di rincari ancora più cospicui nei prossimi anni. Come stimato nell'ultimo rapporto di Legambiente sul carbone ("Vecchio, sporco e cattivo" pubblicato il 10 febbraio scorso e consultabile dal sito www.legambiente.it), nel 2012 le "multe" di Kyoto sul carbone italiano potrebbero arrivare a superare il miliardo di euro con buona pace della tanto decantata riduzione delle bollete per gli italiani.

Il carbone è in assoluto la fonte più dannosa per il clima e nemmeno le più moderne tecnologie sono oggi in grado di ridurre il suo impatto sul pianeta. Quando entrerà completamente in funzione, la centrale Enel di Civitavecchia, che usa la tecnologia più moderna oggi a disposizione, emetterà ogni anno in atmosfera circa 10 milioni di tonnellate di CO2, pari complessivamente alle emissioni di un paese come l'Estonia. Con il suo carbone "pulito" l'impianto di Civitavecchia si appresta a scalare la classifica delle industrie più inquinanti d'Italia aggiudicandosi il secondo posto nel "campionato italiano" della CO2 dietro solo alla centrale, a carbone, di Brindisi Sud.

Un destino che non potrà essere modificato nemmeno dalla cosiddetta Cattura e stoccaggio della CO2 (in acronimo CCS), una tecnologia oggi in fase sperimentale e che ha ancora tempi e costi di realizzazione incerti. Questa tecnologia dovrebbe infatti consentire di intercettare i fumi delle centrali a carbone e pompare nel sottosuolo l'anidride carbonica catturata. Per ammissione della stessa Enel, azienda che sta investendo molto sulla ricerca nel settore, non sarà tuttavia disponibile prima del 2025 e molto probabilmente non potrà essere applicata agli impianti attualmente in funzione in Italia. Alla base c'è un problema di convenienza economica: come sottolineato da uno studio dell'istituto di ricerche McKinsey (vedi link in fondo) i costi per catturare e sotterrare la CO2 sono talmente proibitivi da richiedere l'intervento finanziario dello Stato attraverso specifici sussidi.

Al contrario di quanto sostenuto venerdì scorso in un articolo a firma di Rinaldo Sorgenti, vicepresidente di Assocarboni, l'energia del carbone oltre ad essere dannosa non è neanche essenziale. E' noto infatti che l'Italia importa il 99 per cento del carbone che utilizza e la costruzione di nuove centrali non farebbe che aumentare la dipendenza dall'estero. E' meno noto però che anche spingendo al massimo lo scenario di espansione del carbone in Italia, con la realizzazione delle centrali di Porto Tolle, Saline Joniche e Rossano Calabro e due nuovi gruppi a Vado Ligure e Fiume Santo, questa fonte coprirebbe fabbisogni energetici di gran lunga inferiori a quelli che si potrebbero coprire con le rinnovabili e con politiche per l'efficienza energetica. Nell'ultimo scenario dell'istituto di ricerche Ambiente Italia elaborato per Legambiente, le rinnovabili possono arrivare a produrre nel 2020 circa 100.000 GWh all'anno di energia elettrica contro i 50.000 GWh all'anno che potrebbero essere prodotti da tutti i progetti di centrali a carbone oggi ipotizzati. Sempre con le rinnovabili è possibile produrre quasi 12 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio di energia termica (pari a circa 72.000 GWh), mentre su questo fronte l'apporto del carbone risulta pari a zero, visto che l'energia prodotta dalle centrali verrà usata solo per produrre elettricità e non calore. A rendere ancor meno comprensibili i progetti di nuove centrali ci sono poi le enormi potenzialità che ha l'Italia nell'efficienza energetica nel residenziale, nel terziario e nell'industria, settori in cui si potrebbero tagliare, sempre entro il 2020, circa 91.000 GWh all'anno di energia elettrica e oltre 12 Mtep di energia termica.

Il potenziale energetico di "rinnovabili + efficienza" al 2020 è 5 volte maggiore di quello che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero arrivare a produrre le nuove centrali a carbone, così come maggiori sono le prospettive di impiego. I progetti di nuove centrali potrebbero garantire nei prossimi dieci anni non più di 3200 posti di lavoro, mentre si stima che le rinnovabili possano crearne oltre 150mila.

Meno occupazione, più sprechi, più inquinamento, effetti dirompenti sul cambiamento climatico, nessuna riduzione in bolletta e dipendenza dall'estero. Insomma un curriculum niente male per una fonte energetica a dir poco preistorica. Il carbone è tutt'altro che indispensabile per questo paese. Al contrario, oltre ai problemi evidenziati, rappresenta un grosso ostacolo al processo di decentralizzazione dell'energia oramai avviato anche in Italia. Secondo Comuni rinnovabili 2010, il rapporto di Legambiente che monitora l'espansione delle energie pulite al livello locale presentato oggi a Roma, sono ben 6.993 i Comuni italiani dove è installato almeno un impianto di produzione energetica da fonti rinnovabili. Erano 5.580 lo scorso anno, 3.190 nel 2008. Le fonti pulite che fino a dieci anni fa interessavano, con il grande idroelettrico e la geotermia le aree più interne e comunque una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nell'86% dei Comuni.

La vitalità dimostrata a livello locale sul fronte dell'efficienza e delle rinnovabili negli ultimi anni in Italia è davvero sorprendente, ma rischia di essere messa in secondo piano da strategie energetiche nazionali e investimenti che privilegiano le grandi centrali a carbone o nucleari.

Evitiamo di fare come la Spagna dove l'energia elettrica da eolico supera oramai in diversi periodi dell'anno la produzione da nucleare, ma la sua distribuzione è ostacolata perché la rete, per come è stata concepita, deve privilegiare l'elettricità prodotta dai reattori.

Lavoriamo invece per rinnovare la rete di trasmissione e distribuzione elettrica italiana, sviluppando le tecnologie delle smart grids, e non ostacoliamo la rivoluzione energetica pulita che sta investendo anche un Paese in cronico ritardo come l'Italia. Sarebbe un autogol prima di tutto per l'industria italiana, a meno che non si voglia concentrare sempre più il business in poche grandi aziende energetiche a discapito di quell'economia distribuita fondata sulle rinnovabili e sull'efficienza energetica, molto più democratica e salutare per il Pianeta Terra.

*Responsabile scientifico di Legambiente e** Ufficio energia e clima di Legambiente

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Tratto da http://www.hybrid-synergy.eu/showthread.php?tid=15177

Porto Tolle: firmato l'accordo per la conversione a carbone. Decine di milioni di euro in royalties per gli enti locali

Enel e Regione Veneto hanno firmato l'accordo per la conversione a carbone di Porto TolleEnel e Regione Veneto hanno trovato l’accordo: la centrale termoelettrica ad olio combustibile di Porto Tolle, in provincia di Rovigo, sarà convertita a carbone. L’intesa è stata trovata sabato scorso e i dettagli sono stati ampiamente illustrati dalla Regione in un articolato comunicato stampa........

La Regione, invece, descrive nei dettagli le decine di milioni di euro che Enel verserà in compensazioni ambientali:

1 milione di euro per l’allestimento della sede dell’Osservatorio, che verrà costituito dalla Regione d’intesa con la Provincia di Rovigo, il Comune di Porto Tolle e ARPAV; 1 milione di euro all’anno, per tutta la durata della costruzione ed esercizio della Centrale, per un totale di circa 45.000.000 di euro, per le spese di gestione dell’Osservatorio; 32 milioni di euro, in sei rate annue di eguale importo, per coprire il disagio derivante dalla presenza del cantiere; 60 milioni di euro per la fase di esercizio, per interventi di sviluppo del territorio; 5 milioni di euro all’anno al Comune di Porto Tolle, a titolo di ICI

Quello che, invece, non dice né la Regione né Enel è che è attualmente in corso un’inchiesta della magistratura di Rovigo che ipotizza che la Commissione Via che ha dato l’ok alla riconversione l’anno scorso non abbia preso in considerazione la possibilità utilizzare, al posto del carbone, altri combustibili meno inquinanti.

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Tratto da" Terra "

Il Futuro di Rovigo.....O SI PUNTA SULLE ECONOMIE LOCALI O CI SI PROSTRA AI DISEGNI CHE ALTRI HANNO DECISO

Guido Romanin (candidato lista Idea provincia di Rovigo; Terra a Nordest)

La provincia di Rovigo si caratterizza per le ampie estensioni di terreni agricoli e per il delta del fiume Po che costituisce una delle zone umide più importanti d’Europa. Il consumo di suolo che ha caratterizzato negli anni passati il Nord-Est, è stato meno invasivo nella nostra provincia e questa ricchezza andrebbe dunque valorizzata. Accade però che qualcuno, da qualche parte, ha deciso che il Polesine dovrà diventare un distretto energetico ed una “piattaforma” portuale-industriale.

Da qualche anno, infatti, molti dei 50 Comuni della provincia, sono interessati da richieste di autorizzazioni di centrali a turbogas, biomasse o quant’altro per la produzione di energia elettrica. Così abbiamo le turbogas di Cona (ai confini) e Loreo, le biomasse di Bagnolo, Loreo, Villanova, Calto, Rovigo ecc. La nostra proposta, a questo proposito, è che si ponga in atto subito una moratoria delle autorizzazioni di simili impianti e che si istituisca un Tavolo, con Agenda 21, in cui si vada a definire il Polesine che vogliamo per il futuro, con un disegno strategico, armonico e quanto più condiviso tra le diverse parti sociali.


Ma l’aspetto più paradossale è quello che accade nel Delta del Po: lì infatti c’è un parco, il Parco del Delta del Po (anche se dai confini risicati e incerti), istituito con legge regionale; ci sono zone di protezione speciale e zone di interesse Comunitario e l’intera area è tutelata dall’Unesco come “Patrimonio dell’Umanità”. Orbene, in questa stessa zona si pratica la caccia; insiste una centrale termoelettrica alimentata a olio combustibile e in attesa di essere trasformata a carbone; si è creata un’area portuale-industriale di 650 ettari (Ca’ Cappello) e, al largo della costa, si è posizionato un rigassificatore da 8 miliardi di mc/anno e si vogliono fare altre strutture off-shore per la rottura di carico delle navi e altre a sostegno della centrale a carbone.

Come potranno convivere le attività economiche di vocazione della zona che sono l’agricoltura di qualità, la pesca e il turismo con tutto ciò?
Il riso biologico del Delta con le ricadute e i fumi della Centrale?; la pesca con gli scarichi del rigassificatore e con il riscaldamento delle acque intorno alla Centrale? Il turismo con tutti questi impianti? Come potrà mai decollare tutta l’economia che solitamente ruota attorno ad aree turistiche e di visitazione come questa?

E allora delle due l’una: o si punta sulle economie locali o ci si prostra ai disegni “esterni” che altri hanno deciso per noi.

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