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23 giugno 2011

1)Capri, ultimatum alla centrale: mettersi in regola o sequestro2)Cile; vittoria degli Indios contro le mega centrali Enel

Tratto da Tmnews

Capri, ultimatum alla centrale: mettersi in regola o sequestro

Gravi violazioni ambientali, i Pm: risolvere entro il 15 luglio

Capri rischia di rimanere senza elettricità in piena estate. La Procura di Napoli, infatti ha disposto il sequestro dell'unica centrale elettrica dell'isola, gestita dalla società Sippic, per gravi violazioni ambientali, qualora entro il 15 luglio non fossero eseguiti i lavori necessari per adeguare la struttura alle normative vigenti.Si tratta di una bella gatta da pelare per i gestori della centrale a carbone le cui ciminiere sbuffano continuamente un denso fumo nero che proprio non piace agli isolani che più volte, in passato, hanno protestato contro la Sippic.Il provvedimento giudiziario risale in realtà al dicembre del 2009 quando il Gip di Napoli dispose il sequestro preventivo di un gruppo elettrogeno e della centrale che dà energia ai due Comuni dell'Isola: Capri e Anacapri. Il gestore però ha chiesto continui rinvii per poter mettere a norma la struttura ma, di fatto, non ha mai eseguito i lavori. Fino all'ultimatum dei magistrati napoletani che scrivono: "pur consapevoli delle gravi conseguenze che si determineranno, in mancanza di fatti nuovi idonei a far cessare le violazioni entro e non oltre il 15 luglio verrà richiesta la revoca della facoltà d uso dello centrale".

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Tratto da La Voce dell'Emergenza

Cile: vittoria degli Indios contro le mega centrali Enel

Il governo cileno l’aveva già approvato, l’Enel era già pronta con le ruspe e i dollari: eppure la battaglia per la difesa della Patagonia l’hanno vinta gli indios. Il progetto HydroAysèn, che prevede la costruzione di cinque centrali idroelettriche nell’estremo Sud del Cile, è stato fermato dalla Corte d’Appello di Porto Montt, per «grave minaccia alla vita umana e animale e all’ambiente». Dietro il progetto l’italianissima Enel, prima azionista di HydroAysèn, pronta ad investire 3 miliardi di dollari in un progetto odiato dal 61 per cento dei cileni. L’idea nasce nel 2006, quando le società energetiche Colbùn e Endesa Chile decidono di costruire un sistema di 5 dighe in Patagonia, capaci di produrre 2,35 megawatt, pari a un terzo del fabbisogno energetico attuale del Paese.

Le dighe dovevano chiudere i fiumi Pascua e Baker in diversi punti, allagando oltre 6mila ettari di territorio incontaminato: in particolare, le acque invaderanno parte del Parco nazionale Laguna San Rafael e distruggeranno circa 2.000 ettari di foresta vergine. Saranno scacciate anche 6 comunità di indios mapuches, nella zona di Toltén, Lautaro e Victoria. Per realizzare quest’opera imponente e di forte impatto ambientale, i costruttori parlano di 3,2 miliardi di dollari, ma si tratterà più probabilmente di 7 miliardi, considerando i 2 mila chilometri di elettrodotto da costruire in zona altamente sismica, vulcanica e a rischio valanghe. Il progetto diventa italiano nel 2009, quando Enel acquista la spagnola Endesa e tutti i suoi progetti sudamericani.

La compagnia nostrana, seconda in Europa per la produzione di energia elettrica, punta molto sul progetto, che dovrebbe compensare la perdita economica legata al nucleare: le 4 centrali bloccate dal referendum del 13 giugno, infatti, significano un mancato investimento di diversi miliardi di euro. Enel era riuscita a ottenere l’autorizzazione a procedere da parte della commissione di valutazione dell’impatto ambientale, grazie alle pressioni del presidente Sebastian Pinera, che si gioca su HydroAysèn la sua rielezione, dopo aver promesso un balzo del 6 per cento del Pil in 4 anni in campagna elettorale. Contro gli interessi economici della multinazionale italiana e di Pinera si sono schierati gli indios mapuches – da anni perseguitati dai governi di Lima perché scomodi abitanti della sfruttabilissima Patagonia – e gli ambientalisti. Leggi tutto »

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