35 anni dopo
Seveso, la lunga scia della diossina
Il disastro dell'Icmesa del luglio 1976 rappresenta un vero e proprio spartiacque. Uno dei principali effetti della 'Direttiva Seveso' 1 è stato il superamento del segreto industriale.Ecco che cosa è cambiato da allora DI CHIARA CRISTILLI.
Il 10 luglio del 1976, nello stabilimento chimico Icmesa di Meda, in Brianza, si verificò un incidente che portò alla fuoriuscita di un’ingente quantità di diossina. La nube tossica investì una decina di comuni, in particolare Seveso. Dopo pochi giorni, gli animali da cortile cominciarono a morire, i bambini si ammalarono di cloracne. Una vasta area fu evacuata e militarizzata. Il processo che seguì portò, il 23 maggio dell’86, alla condanna di alcuni dirigenti dell’impresa. L’azienda pagò un risarcimento di 40 miliardi alla Regione Lombardia e agli enti locali.
A 35 anni da quel tragico evento, Rino Pavanello, segretario nazionale di Ambiente e Lavoro, associazione nata per iniziativa della Cgil proprio all’indomani dell’incidente, afferma che "nulla è più come prima. Il disastro dell’Icmesa ha rappresentato un vero e proprio spartiacque tra una visione sempre e comunque favorevole alle attività industriali, in quanto generatrici di occupazione, e un’altra che ha cominciato a interrogarsi sulle conseguenze che queste comportano per l’ambiente e il benessere della collettività. Da allora, l’opinione pubblica ha maturato una consapevolezza ecologica che ha ottenuto effetti importanti. Si pensi, solo per dirne uno, al recente pronunciamento degli italiani sul nucleare.
Prima la conoscenza delle aziende a rischio rilevante era assolutamente ignorata, così come quella delle sostanze usate e dei possibili rischi per la salute delle popolazioni.Tant’è vero che per alcuni giorni dopo l’incidente all’Icmesa, non si seppe esattamente cosa fosse fuoriuscito dagli impianti. L’argomento venne a galla solo quando gli animali morirono e sui corpi dei bambini comparve la cloracne".
Rassegna Uno dei cambiamenti più importanti si è verificato a livello legislativo, con l’adozione di norme dedicate alla difesa ambientale e di controllo delle attività industriali. Possiamo percorrerne l’evoluzione?
Pavanello Nell’82 uscì la prima Direttiva europea, la cosiddetta Seveso 1, che imponeva alle aziende di comunicare alla pubblica amministrazione le tipologie dei pericoli legati alle loro attività e le misure di precauzione da adottare.
L’Italia, dove questa misura fu accolta da aspre polemiche, recepì la Direttiva con il dpr n. 175 dell’88, con 4 anni di ritardo rispetto a quanto stabilito dalla legge, in seguito a forti pressioni della società civile. Uno degli aspetti fondamentali della Seveso 1 è che portò, per la prima volta, al superamento del segreto industriale e all’introduzione del concetto di valutazione generale della sicurezza all’interno delle aziende, per i cosiddetti rischi rilevanti. Si tenga conto che la Seveso interviene solo in caso di esplosione, incendio o fuoriuscita di materiale.
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Piano di Emergenza Esterno: consultazione del documento
Comune di Venezia - 7 ago 2011
La Prefettura di Venezia ha predisposto l'aggiornamento del Piano di Emergenza Esterno per gli stabilimenti industriali a rischio d'incidente rilevante ...Leggi
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Tratto da Radicali.it articolo del 07/08/2011
I veleni industriali e politici della Puglia: Nuvole nere sulla città dei due mari.
Bolognetti: Sindaco Stefano, onori il suo ruolo di garante della salute pubblica e garantisca il diritto a conoscere per deliberareMentre cittadini e associazioni ambientaliste continuano a segnalare l’emissione in atmosfera di sostanze tossiche, provenienti dalle raffinerie Eni di Taranto, il primo cittadino Stefano sembra essere stato colto da un grave attacco di afasia. Gioverà ricordare al Sindaco Stefano che in base a quanto previsto dall’art.50 comma 5(Competenze del sindaco e del Presidente della Provincia) e dall’art.54 comma 2(attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale) del Decreto legislativo 267/2000, il Sindaco ha l’onere di garantire la tutela della salute pubblica. La persistente condizione di inadeguatezza degli impianti Eni, denunciata dal Comitato Legamjonici, oltre a comportare l’emissione incontrollata di sostanze nocive, si traduce in un’esposizione della popolazione al rischio connesso ad un “incidente rilevante”. Le raffinerie Eni, così come gli stabilimenti Ilva, non a caso sono soggetti alla normativa “Seveso bis/ter”.
Con sgomento apprendiamo che la città di Taranto non dispone di un piano di emergenza esterno aggiornato che tuteli la popolazione da eventuali incidenti e che, in spregio a quanto previsto dall’art.20 della “Seveso bis”, non è mai stata avviata una seria campagna informativa.
A quanto pare a Taranto, come nella val d’Agri, anziché applicare le leggi si preferisce interpretarle o peggio violarle.
Eppure, i commi b e c dell’art. 20 della 334/99 parlano chiaro e non possono essere soggetti a interpretazioni di sorta. In essi si afferma che occorre “mettere in atto le misure necessarie per proteggere l’uomo e l’ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti” e che occorre “informare adeguatamente la popolazione e le autorità competenti.”
Eppure, i commi b e c dell’art. 20 della 334/99 parlano chiaro e non possono essere soggetti a interpretazioni di sorta. In essi si afferma che occorre “mettere in atto le misure necessarie per proteggere l’uomo e l’ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti” e che occorre “informare adeguatamente la popolazione e le autorità competenti.”
Evidentemente quanto avvenuto presso lo stabilimento ICMESA di Seveso nel luglio del 1976 non ha insegnato nulla, e...... preferiamo continuare a disattendere direttive europee recepite con il consueto ritardo dalla nostra legislazione.
Alla luce delle violazioni che vanno emergendo in queste ore, riteniamo di dover sottoscrivere la richiesta di chiusura degli impianti Eni di Taranto, formulata dal Comitato Legamjonici.
Le nuvole nere che in queste ore sono andate ad arricchire il cocktail di veleni, che quotidianamente viene messo a disposizione dei tarantini, sono figlie di un sistema che nega legalità, giustizia, democrazia e diritto alla conoscenza.
Ironia della sorte è proprio l’Eni ad intrattenersi sui tassi di mortalità a Taranto e dintorni in uno studio di impatto ambientale redatto nel gennaio del 2011......
Premesso che le valutazioni dell’Eni sono basate su dati Istat 2004, verrebbe da chiedere a Scaroni e Riva se tra i “particolari stili di vita” occorra annoverare anche l’assuefazione a respirare e a ingerire diossine, Ipa, Nox, Benzene,So2, NMVOC(composti organici), cadmio, arsenico, nichel e chi più ne ha più ne metta.
Di pecore e cozze dedite a bacco e a tabacco ne abbiamo viste davvero poche, ma con certezza possiamo affermare che a Taranto l’unica legge antifumo applicabile dovrebbe prevedere il divieto di respirare.
Di pecore e cozze dedite a bacco e a tabacco ne abbiamo viste davvero poche, ma con certezza possiamo affermare che a Taranto l’unica legge antifumo applicabile dovrebbe prevedere il divieto di respirare.
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