Ilva di Taranto: il fallimento politico e industriale dell’Italia
La questione dello stabilimento dell’Ilva di Taranto in
un paese democratico, civile e avanzato apparterebbe sicuramente al
passato, a una storia di archeologia industriale, a un tempo in cui la
vita e la salute degli operai non contava nulla rispetto al profitto
della fabbrica.
Invece la bomba ecologica che da decenni sta
soffocando Taranto, causando innumerevoli casi di morti precoci nella
popolazione della città, rimane sempre lì, sostenuta da un esplicito
ricatto: o l’acciaieria (e quindi il lavoro) o il vuoto.
Il fallimento di una imprenditoria retrograda, gonfiata da interventi pubblici sempre destinati sulla carta a una bonifica che non arriva mai, è il fallimento della politica,
sostituita dalla magistratura.
E si sa che i tribunali agiscono secondo
le regole del diritto: chiudono gli stabilimenti fuori legge, accertano
responsabilità, rinviano a giudizio i responsabili, aprono inchieste,
allungano i tempi ma non possono sicuramente offrire un piano
industriale capace di superare la dicotomia lavoro/tutela della salute
che per decenni ha contrapposto le ragioni dell’ambiente con quelle
dello sviluppo e dell’occupazione....
Le ultime notizie sono queste:
“Il tribunale ha disposto che «I custodi garantiscano la sicurezza
degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte
le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e
della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle
emissioni inquinanti».
Secondo Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente,
«La conferma del sequestro anche se con diritto d’uso e degli arresti
dei proprietari dell’azienda conferma l’impianto accusatorio del grave
inquinamento ambientale causato dall’impianto.
Così descrive la situazione l’Associazione Antimafie Rita Atria:
“Non dimentichiamo che la prima denuncia è del 1965, la prima
manifestazione ambientalista del 1971, la città è dal 1991 è “area a
elevato rischio ambientale”, la prima condanna in tribunale per “getto
di polveri” è del 1982 (quindici giorni di reclusione per il direttore
dell’allora Italsider), la prima condanna per Emilio Riva arriva per i
“parchi minerali” nel 2002, nel 2007 Emilio Riva e suo figlio Claudio
furono anche interdetti dall’esercizio dell’attività industriale, e fu
loro inibita la possibilità di contrattare con la pubblica
amministrazione.Davanti a questa realtà le Istituzioni non hanno saputo tutelare i cittadini, non hanno saputo imporre il rispetto della legalità e del diritto. …
Riteniamo, pertanto, gravissime le dichiarazioni del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola
sull’ambientalismo isterico che consideriamo offensive e dannose.
Il
Presidente Vendola, così come molti altri esponenti istituzionali,
dovrebbe chiedere scusa alla città e all’Italia intera per i ritardi e
le omissioni istituzionali.
L’azione di questi anni dell’associazionismo
merita di essere ringraziato e sostenuto, a partire dall’Associazione
PeaceLink il cui Presidente, prof. Alessandro Marescotti, è stato
oggetto la settimana scorsa di una provocatoria contestazione durante
il suo intervento ad un convegno pubblico.
Le associazioni ambientaliste
hanno, in questi anni, svolto i compiti di tutela pubblica e di analisi
ambientale che spettavano alle Istituzioni.
..... il cosiddetto
“ricatto occupazionale”, di cui in questi giorni si sono fatti portavoce
alcuni politici locali e nazionali, gran parte della stampa locale e
nazionale e, purtroppo, alcuni sindacalisti è falso ed è solo un
favore alla proprietà e a chi non vuole un futuro migliore per Taranto:
in tutta Europa esistono esempi di riconversioni industriali e, anche,
di poli siderurgici che non mettono a rischio la salute pubblica e
l’ambiente.
Sono questi gli esempi che Taranto deve seguire, smontando
tale ricatto e costruendo un avvenire dove l’aria possa tornare pulita e
i cittadini non debbano vivere con il timore di ammalarsi o di vedere
nascere figli già condannati”.
.......Sarebbe meglio,
piuttosto, portare rispetto a chi ha sofferto e mettersi a lavorare sul
serio, per il presente e il futuro di questi duecento mila cittadini.
Così facendo, si eviterebbe di prendere in giro anche il resto degli italiani, minacciato quasi ovunque ormai da rischi ambientali e sanitari atroci e spesso evitabilissimi, a condizione di adottare comportamenti sani e innanzitutto leciti e di effettuare investimenti in tecnologie moderne che salvaguardino la persona.
Tutto questo può avvenire solo in
un contesto di politiche serie, trasparenti e lungimiranti”.
Un’acciaieria ubicata nel centro di una città popolosa è un non senso
che testimonia come non possiamo impartire nessuna lezione
ambientalista ai paesi inquinanti.
Prima di dare lezioni
guardiamo in
casa nostra
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