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06 novembre 2012

Grandi Ecomostri: centrali a carbone e Ilva Di Taranto

Tratto da  Unimondo

Europa: la bomba delle centrali a carbone

Alcuni mostri si aggirano per l’Europa. Più che muoversi stanno fermi ma la loro presenza si percepisce anche a centinaia di kilometri di distanza. 


Stiamo parlando delle centrali termoelettriche a carbone.  
Se la pericolosità delle centrali nucleari si misura nel rapporto tra i benefici di un sistema più o meno efficiente e i costi altissimi di eventuali incidenti agli impianti, l’inquinamento generato dalla combustione di carbone (in tutte le sue forme) è visibile a distanza, è percepibile immediatamente dentro i polmoni, è quantificabile nelle emissioni di anidride carbonica.
 
È un inquinamento quotidiano, a cui da tempo si sarebbe dovuto porre un argine: le mastodontiche dimensioni degli apparati produttivi, le ingentissime risorse finanziarie che servirebbero per una riconversione ecologica, la volontà degli Stati di mantenere un certo autonomo margine di manovra in campo energetico, vari tipi di interesse delle grandi multinazionali sono solo alcuni fattori che rendono evidente la difficoltà di ammodernare un comparto vitale per il nostro futuro.
Eppure l’Europa si era data obiettivi ambiziosi sulla riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020.

 Traguardo arduo da raggiungere. Anche perché la “disunione europea” non si manifesta soltanto nel persistere di interessi nazionali, come dimostra il modo in cui si sta affrontando la crisi dei debiti sovrani, ma anche nella pressoché totale assenza di una politica energetica comune. 
 Al di là della retorica infatti c’è chi spinge per un rapporto univoco e diretto con la Russia (vedi la Germania), chi sogna l’autosufficienza puntando sulla nuova futuribile tecnologia di fusione dell’idrogeno (vedi Francia), chi non sa che pesci pigliare e raccatta tutto il gas a disposizione (vedi Italia) e chi mantiene un obsoleto settore di produzione di energia non curandosi dell’impatto ambientale (vedi i paesi dell’ex blocco comunista con l’eccezione della Lettonia).

I costi di questa mancata strategia continentale, oltre che economici e strategici, riguardano la salute nostra e del pianeta.
Le cifre fornite dall’Agenzia europea per l’ambiente sono incontrovertibili  
Come riporta il quotidiano La Stampa: “Le emissioni di agenti inquinanti nel 2009 pesavano tra i 102 e i 169 miliardi l’anno, ovvero dai 200 ai 330 euro a persona. Quel che colpisce di più è che ben il 50 per cento dei costi aggiuntivi (tra 51 e 85 miliardi) sono generati da soltanto 191 impianti. è il 2% del totale di quelli censiti, quelli più «sporchi» in assoluto. Il 75% del totale delle emissioni è prodotto da soli 622 siti industriali.
A guidare la classifica - che è calcolata sui dati del 2009 - sono le centrali termoelettriche, in particolare a carbone o a olio combustibile; il discutibile primato di industria più inquinante in assoluto d’Europa se lo aggiudica la famigerata centrale elettrica di Belchatow, in Polonia, una «bestia» alimentata a lignite (un carbone di particolare bassa qualità) da 5.000 MW nei pressi della città di Lodz. 
Tra le prime venti però troviamo anche la centrale termoelettrica Enel Federico II di Brindisi, che da sola genera costi connessi ad inquinamento tra i 536 e i 707 milioni di euro l’anno. E al 52esimo posto c’è l’acciaieria Ilva di Taranto, che ci costa dai 283 ai 463 milioni l’anno”.
Il mostro polacco è quello più pericoloso. ..... Così descriveva la situazione nel 2009 Greenreport: “Il responsabile della centrale di Belchatow, Jacek Kaczorowski, non si scompone più di tanto e in una intervista alla Reuters ha detto che «Le nostre emissioni nei prossimi anni, nel periodo contabile 2008-2012, resteranno a livelli simili. Così, in breve, alla fine di tutto il periodo, ci vorranno circa 14 - 20 milioni di tonnellate di quote di emissioni di CO2».




Mancano soldi e soprattutto volontà politica. Il carbone resta una materia prima a basso costo e in Europa si sta pensando a nuove centrali. Una strada che contraddice ogni istanza ambientale.
Piergiorgio Cattani
Leggi l'articolo integrale su  Unimondo
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 Tratto da Il fatto Quotidiano

Taranto sta cambiando perché l’Ilva non cambierà mai

.........Muoiono gli operai per aver respirato troppo durante le colate, muoiono le mogli per aver lavato le tute blu infettate dai mariti, muoiono i figli per aver ereditato un Dna talmente precario che in alcuni casi si spezza prima della pubertà. Muoiono le pecore e le cozze, i pesci sprofondano all’inferno e gli uccelli non troveranno mai più il cielo.

....Così è cambiata Taranto.
Sono i numeri a muovere l’Apecar dei “Lavoratori e Cittadini liberi e pensanti o dei ragazzi del rione Salinella che con l’associazione “Ammazza che Piazza” intendono tenere pulita la città affinché ritorni ad essere bella, ricordando a tutti che il bello per esistere si deve vedere, altrimenti il brutto ci divorerà!
I numeri assillano la vita dei tarantini perché il benzo(a)pirene, il C02, la diossina e tutti gli altri agenti patogeni devono essere tradotti in numeri per essere compresi. E allora sì che avrai paura, perché quei numeri li hai nel sangue e sono più forti di te, dei tuoi anticorpi, della chemio e dello Stato che non ti tutela e solo allora comprenderai che per superarli ci vuole una vita intera. La tua vita.
Promisero ai nostri padri che il centro siderurgico avrebbe portato nella città ricchezza e tecnologia, elevando Taranto ad “area metropolitana dello Jonio” e che intorno all’Ilva sarebbero nati poli universitari, centri di ricerca e sviluppo capaci di attingere dal futuro per restituire al territorio conoscenze tecnologiche tali da trasformare il sud più misero del paese in avanguardia europea.
Tutte bugie. Lo sanno in tutto il mondo che qui sono cresciuti solo i tumori ........... Sorge spontanea una domanda: a chi ha giovato questa esperienza industriale? Risposta: solo ai Riva.

Del piano di ristrutturazione aziendale c’è poco da dire. Qualcuno si ostina a sostenere che un impianto ormai vecchio di cinquanta anni come l’Ilva può essere messo in sicurezza permettendo di produrre senza inquinare. Solo che non ci dice quando intende intervenire e non ci spiega neppure come faranno a implementare le tecnologie attuali su un impianto inaugurato da Saragat il 10 aprile del 1965, e capirete anche voi che nessun imprenditore sano di mente spenderebbe miliardi per migliorare un’acciaieria costruita nel secolo scorso e prossima alla demolizione.
Intanto le istituzioni (o chi ne fa le veci) non danno risposte valide sul futuro della città, mentre le domande dei cittadini sono chiare e concise: bonifica del territorio e risarcimento dei danni verso le cose e le persone. Chi ha danneggiato deve pagare e basta. E’ fin troppo semplice, non vi pare?
Per il momento l’unica certezza per Taranto è che potrà rinascere solo se tornerà a vigere la legalità negata in questi tristi, maledetti e sporchi cinquanta anni.

Perché è così che deve andare a finire: chi ha sbagliato deve pagare caro. 

Nessuno deve più permettersi di far ammalare i bambini! Nessuno deve più permettersi di ricattare una città con un impiego in cambio di un tumore.
Mai più.
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di Nandu Popu

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