Tratto da "La Repubblica "
Il vero costo del carbone
Di Antonio Cianciullo
Il
rapidissimo sviluppo dello shale gas negli Stati Uniti è stato finora
contestato per l’impatto ambientale prodotto dai processi di estrazione.
Adesso arriva un secondo filone di preoccupazioni: la minore richiesta
di carbone in America ha fatto abbassare il costo di questo combustibile
che viene esportato in altri paesi, a partire dall’Europa: una nuova
spinta alla crescita delle emissioni serra.
Secondo una ricerca dell’università di Manchester (Tyndall Centre for Climate Change Research) più della metà delle recenti riduzioni delle emissioni nel settore energetico Usa ( meno 8,6% rispetto al 2005) è fittizia su scala globale: si è spostata oltreoceano a causa del commercio del carbone. ”......
In sostanza gli Stati Uniti stanno praticando la delocalizzazione di una produzione a rischio. La misura di questo rischio è spiegata da Amory Lovins, uno dei fondatori del Rocky Mountain Institute, in un libro appena uscito in Italia (“Reinventare il fuoco”, Edizioni Ambiente): secondo stime condotte nel 2010 dalla Clean Air Task Force l’inquinamento atmosferico prodotto dalle centrali a carbone causa più di 13.000 morti premature all’anno negli Stati Uniti e fa salire i costi dell’assistenza sanitaria di 100 miliardi di dollari all’anno. Inoltre “ogni ora una centrale a carbone da un gigawatt brucia 500 tonnellate di carbone, ma utilizza anche più di 90 milioni di litri d’acqua di raffreddamento, dei quali circa 4 milioni evaporano. Già ora il 49% dell’acqua utilizzata negli Stati Uniti serve a raffreddare centrali termoelettriche; di questa circa il 2,5% evapora, quasi la metà di quanta ne viene usata per tutti i consumi domestici e commerciali”.
Con la delocalizzazione gli Stati Uniti evitano di pagare in casa questo prezzo, esportando i danni.
Secondo una ricerca dell’università di Manchester (Tyndall Centre for Climate Change Research) più della metà delle recenti riduzioni delle emissioni nel settore energetico Usa ( meno 8,6% rispetto al 2005) è fittizia su scala globale: si è spostata oltreoceano a causa del commercio del carbone. ”......
In sostanza gli Stati Uniti stanno praticando la delocalizzazione di una produzione a rischio. La misura di questo rischio è spiegata da Amory Lovins, uno dei fondatori del Rocky Mountain Institute, in un libro appena uscito in Italia (“Reinventare il fuoco”, Edizioni Ambiente): secondo stime condotte nel 2010 dalla Clean Air Task Force l’inquinamento atmosferico prodotto dalle centrali a carbone causa più di 13.000 morti premature all’anno negli Stati Uniti e fa salire i costi dell’assistenza sanitaria di 100 miliardi di dollari all’anno. Inoltre “ogni ora una centrale a carbone da un gigawatt brucia 500 tonnellate di carbone, ma utilizza anche più di 90 milioni di litri d’acqua di raffreddamento, dei quali circa 4 milioni evaporano. Già ora il 49% dell’acqua utilizzata negli Stati Uniti serve a raffreddare centrali termoelettriche; di questa circa il 2,5% evapora, quasi la metà di quanta ne viene usata per tutti i consumi domestici e commerciali”.
Con la delocalizzazione gli Stati Uniti evitano di pagare in casa questo prezzo, esportando i danni.
Ma non sfuggono ai rischi collegati
alle emissioni serra.
Come Sandy ha ricordato in questi giorni a New
York.
Leggi :Uragano Sandy: situazione drammatica....Almeno dodici i morti Il sindaco: "La tempesta del secolo"
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