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14 maggio 2013

PM Guariniello: «L’Eternit come l’Ilva»

 Tratto da La Gazzetta di Reggio

Guariniello: «L’Eternit come l’Ilva» 

di Daniele Valisena

RUBIERA. «L’ex Icar di Rubiera come l’Ilva di Taranto, dietro al disastro c’erano delle scelte strategiche volute dall’alto»
Queste le parole usate dal pubblico ministero Raffaele Guariniello nella nuova udienza del processo Eternit di Torino, giunto al secondo grado di giudizio dopo che nel primo i due magnati del cemento-amianto, Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier, erano stati condannati a 16 anni, senza che però i familiari e le vittime reggiane del disastro venissero incluse nei risarcimenti. In appello il pubblico ministero Guariniello ha chiesto che anche i lavoratori degli stabilimenti di Rubiera (60 persone decedute) e di Bagnoli, in provincia di Napoli, venissero inclusi nel risarcimento.

Nella sua requisitoria Guariniello ha evocato l’esempio dell’Ilva di Taranto per tracciare un parallelo fra i due casi e ha sottolineato la spregiudicatezza degli imputati. «Grazie ai parenti delle vittime ho potuto individuare la strada da prendere – afferma all’Ansa il pm torinese -dietro a questo immane disastro c’erano delle scelte strategiche prese dal vertice. C’era un’unica regia».
Il pubblico ministero tenterà dunque di dimostrare che dietro alle malattie e alle morti che hanno colpito più di 6mila operai delle filiali della multinazionale in Italia c’erano le scelte e le strategie aziendali della società, che hanno deliberatamente messo in grave pericolo la vita dei lavoratori.
Secondo la Magistratura sono oltre duemila le vittime dell’amianto, ammalatisi o uccisi dalle patologia asbesto e dalle patologie a essa correlate.
Si tratta di patologie che colpiscono soprattutto i polmoni, in cui le microfibre di amianto si depositano arrivando a ostruire completamente gli alveoli, fino a che la vittima non riesce più a respirare.


Schmidheiny e De Cartier sono accusati di disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche negli stabilimenti italiani del gruppo.

  In contrapposizione alla volontà di giustizia dei lavoratori, dei familiari e delle parti civili, il barone belga De Cartier e il magnate svizzero Schidheiny sono ricorsi in appello allo scopo di annullare il processo e sfuggire ai 16 anni di carcere a cui sono stati condannati.
«Non siamo solo di fronte al tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità – hanno affermato i rappresentanti dei familiari delle vittime, che sono presenti al processo – ma si tenta di cancellare la verità sulla pericolosità dell’amianto per poter continuare a lavorarlo all’estero, esponendo scientemente ignari lavoratori a una fibra killer che purtroppo non perdona.  
Da qui l’importanza del processo di appello, per difendere il principio che non si può utilizzare la vita dei lavoratori e dei cittadini per i propri profitti».

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