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20 gennaio 2014

Effetto rinnovabili e domanda: non solo gas, in Italia crolla anche il carbone......

Tratto da Qualenergia.

Giuseppe Artizzu
Nel 2013 i tedeschi hanno prodotto due terawattora in più bruciando lignite. Apriti cielo! "L’Energiewende è un fallimento". Da noi invece l’uso del carbone crolla e la cosa passa inosservata. Eppure i dati del mercato elettrico sono chiari. Nel 2013 le vendite di elettricità prodotta con il gas sono scese del 18,6%, e non è una sorpresa. A colpire invece è il -18,5% alla riga carbone: sono ben sei terawattora persi, e altrettanti milioni di tonnellate di CO2. Oltre l’1% delle emissioni italiane via in un colpo solo.
I numeri vanno letti con grano salis.................Ma la direzione è chiara: giù.
Una conferma viene dai numeri Enel: nei dodici mesi, al 30 settembre, aveva prodotto 33 TWh bruciando carbone, quattro in meno rispetto ai dodici mesi precedenti. Da notare che nel 2008 i terawattora erano 29, e la nuova centrale di Civitavecchia avrebbe dovuto aggiungerne almeno dodici l’anno. Invece il 2013 chiude poco sopra i trenta, con una netta contrazione del load factordelle centrali.

La domanda è: perché la produzione a carbone scende? Certo, la domanda di elettricità langue e le rinnovabili premono, riducendo il carico residuo per gli impianti termoelettrici. Ma ci sono ancora un centinaio di terawattora a gas, con un costo variabile di produzione in teoria molto più alto, che dovrebbero essere spinti fuori mercato prima che la quota di produzione del carbone venga erosa.
La risposta è complessa, e poggia su almeno tre fattori. Il primo è che una quota importante della produzione a gas viene da impianti cogenerativi(vendono vapore, oltre che elettricità) o asserviti ad utenze industriali in situ. Per ragioni tecniche ed economiche, questi impianti non sono aggredibili dalla produzione a carbone.
Il secondo è che la produzione a gas non cogenerativa si va concentrando in specifiche fasce orarie, con rampe e cicli ravvicinati di accensione-spegnimento che sono difficilmente praticabili per gli impianti a carbone.
Il terzo fattore è di natura geografica: i due maggiori impianti a carbone italiani (Brindisi Sud e Civitavecchia) sono nel centrosud e altri due sono in Sardegna, per oltre 5.000 MW di potenza su un totale di circa 9.000. Sono aree a basso fabbisogno industriale e ad alta penetrazione di fonti rinnovabili, che sempre più frequentemente marginalizzano non solo il gas ma anche il carbone.
In altre parole, contrariamente alla narrativa ricorrente della filiera fossile, agli attuali livelli di fabbisogno, rinnovabili ed efficienza vanno a colpire anche(e in futuro soprattutto) la produzione elettrica a carbone, oltre che a gas. In più, con profili orari di esercizio sempre meno lineari a fronte di vincoli tecnici più stringenti, è verosimile che alcuni impianti a carbone perdano competitività rispetto alle centrali a gas, certamente più flessibili. Si realizzerebbe così l’auspicato connubio gas-rinnovabili nella transizione verso un parco di generazione a basse emissioni.
In questo contesto, non stupisce che E.On abbia di fatto rinunciato alla conversione a carbone di due gruppi della centrale di Fiume Santo. Mentre la polemica intorno alla 'saga' autorizzativa dei progetti di Porto Tolle e Saline Joniche appare sempre più un gioco delle parti.
Quanto alla Germania, il sistema elettrico è profondamente diverso da quello italiano, per mix di generazione, ruolo delle interconnessioni con l’estero e conformazione geografica. La parziale chiusura del parco nucleare e lo sfogo dell’export hanno finora impedito che efficienza e rinnovabili andassero ad impattare significativamente sulla generazione a carbone e lignite. Tuttavia anche in Germania il ruolo del gas è ormai circoscritto, mentre la capacità delle linee transfrontaliere preclude una crescita indefinita dell’export: l’esempio italiano suggerisce che la ripresa della generazione a carbone è un fenomeno effimero, con buona pace delle cassandre dell’Energiewende.

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