Tratto da blog.avis-legnano.org
Ambiente: un tema trattato poco (e male) dalla politica.
Da qualche anno a questa parte, la questione ambientale in Italia stenta a guadagnarsi un posto di riguardo nel dibattito politico e nelle cronache giornalistiche.
Complice di questo è forse la crisi, assieme alla mancanza in Parlamento di un partito di area green, ma anche il fatto che questo tipo di politiche sono ormai di competenza europea, e quindi gli Stati si trovano spesso a dovere introdurre nel proprio ordinamento quanto prescritto dalle direttive europee.
Complice di questo è forse la crisi, assieme alla mancanza in Parlamento di un partito di area green, ma anche il fatto che questo tipo di politiche sono ormai di competenza europea, e quindi gli Stati si trovano spesso a dovere introdurre nel proprio ordinamento quanto prescritto dalle direttive europee.
La politica sembra così sempre più lontana dai luoghi in cui soffrono le vittime reali di tale abbandono dello spirito ecologista. In questo senso, non aggiunge nulla di buono il disegno di legge 1345 sui reati ambientali, approvato dalla Camera e in prossima discussione al Senato. «Se questa legge venisse approvata – scrive Antonia Battaglia su MicroMega –, sancirebbe il danno ambientale come “alterazione dell’ecosistema”, rendendo assolutamente impossibile per il giudice competente giudicare reati anche gravi, come quelli ipotizzati a Taranto. L’astrazione della definizione ed il lavoro di ricognizione scientifica che il testo chiama in causa implicano che il reato sarebbe ipotizzabile solo dopo anni di ricerca per accertare l’irreversibilità del danno stesso. Passerebbero secoli in attesa di tentativi di bonifiche capaci di riportare i siti già inquinati ad originarie ed inaccertabili condizioni pre-inquinamento. Immaginate un tentativo di bonificare Taranto intera e il suo mare?! La legge mira a depotenziare la portata penale del crimine ambientale, il che potrebbe voler dire dover riscrivere numerose richieste di rinvio a giudizio, riaprendo totalmente la partita legale del processo Ilva e non solo».
Non si capisce bene in effetti la ratio della legge, e in questo senso si sta attivando anche PeaceLink per fare chiarezza sui rischi di tale proposta e scongiurare che la legge arrivi alla votazione finale così com’è. In effetti, se i dati che cita Battaglia sono attendibili, c’è davvero da preoccuparsi: «Pochi giorni fa è scoppiato il caso “arsenico” – scrive –, sostanza classificata come cancerogena dalla Organizzazione mondiale della sanità. La pubblicazione dei dati del progetto Sepias (Sorveglianza epidemiologica in aree interessante da inquinamento ambientale da arsenico), realizzato dal Cnr, ha illustrato i risultati del monitoraggio dell’inquinamento da arsenico in zone a rischio come appunto Taranto, Gela e l’Amiata. Lo studio ha concluso che esiste un pericolo molto concreto per la popolazione, soprattutto nelle aree industriali di Taranto e di Gela. Qualche giorno prima era stato pubblicato il terzo rapporto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), coordinato dall’Istituto superiore di sanità, nato per monitorare l’incidenza di malattie nei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche. Lo studio, condotto con l’aggiunta dei dati sulle malattie oncologiche, ha mostrato un aumento delle percentuali di tumore e dei ricoveri ospedalieri. Nel caso di Taranto, sono stati registrati alti tassi di mortalità incrementati rispetto ai valori regionali, dati che diventano altissimi quando si va nel concreto di percentuali .......
Ovviamente si tratta di dati per i quali non è possibile stabilire una connessione diretta con la presenza di grandi siti di produzione dall’impatto ambientale pesantissimo, la magistratura sta indagando.
Non si capisce quindi perché complicare questioni così delicate, alla vigilia di processi importanti, introducendo la nozione di danno ambientale come «alterazione irreversibile dell’ecosistema». Quando si può stabilire che il danno è irreversibile? Sarebbe auspicabile eliminare il più possibile le ambiguità dalla lettera della legge. Ricollegandoci alle ripercussioni sulla salute, pare che la nuova legge richieda di produrre dati certi sui «numeri di decessi, malattie o offese causate dagli eventi inquinanti in oggetto».
Come si diceva prima, è molto difficile produrre dati inattaccabili, il che potrebbe di nuovo indebolire la posizione di chi cerca di porre fine agli abusi sul proprio territorio. Si sente spesso ripetere che all’Italia resta l’ultima chance di «uscire dal pantano», ma ancora non vediamo tracce di un progetto di bonifica credibile.
Non si capisce bene in effetti la ratio della legge, e in questo senso si sta attivando anche PeaceLink per fare chiarezza sui rischi di tale proposta e scongiurare che la legge arrivi alla votazione finale così com’è. In effetti, se i dati che cita Battaglia sono attendibili, c’è davvero da preoccuparsi: «Pochi giorni fa è scoppiato il caso “arsenico” – scrive –, sostanza classificata come cancerogena dalla Organizzazione mondiale della sanità. La pubblicazione dei dati del progetto Sepias (Sorveglianza epidemiologica in aree interessante da inquinamento ambientale da arsenico), realizzato dal Cnr, ha illustrato i risultati del monitoraggio dell’inquinamento da arsenico in zone a rischio come appunto Taranto, Gela e l’Amiata. Lo studio ha concluso che esiste un pericolo molto concreto per la popolazione, soprattutto nelle aree industriali di Taranto e di Gela. Qualche giorno prima era stato pubblicato il terzo rapporto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), coordinato dall’Istituto superiore di sanità, nato per monitorare l’incidenza di malattie nei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche. Lo studio, condotto con l’aggiunta dei dati sulle malattie oncologiche, ha mostrato un aumento delle percentuali di tumore e dei ricoveri ospedalieri. Nel caso di Taranto, sono stati registrati alti tassi di mortalità incrementati rispetto ai valori regionali, dati che diventano altissimi quando si va nel concreto di percentuali .......
Ovviamente si tratta di dati per i quali non è possibile stabilire una connessione diretta con la presenza di grandi siti di produzione dall’impatto ambientale pesantissimo, la magistratura sta indagando.
Non si capisce quindi perché complicare questioni così delicate, alla vigilia di processi importanti, introducendo la nozione di danno ambientale come «alterazione irreversibile dell’ecosistema». Quando si può stabilire che il danno è irreversibile? Sarebbe auspicabile eliminare il più possibile le ambiguità dalla lettera della legge. Ricollegandoci alle ripercussioni sulla salute, pare che la nuova legge richieda di produrre dati certi sui «numeri di decessi, malattie o offese causate dagli eventi inquinanti in oggetto».
Come si diceva prima, è molto difficile produrre dati inattaccabili, il che potrebbe di nuovo indebolire la posizione di chi cerca di porre fine agli abusi sul proprio territorio. Si sente spesso ripetere che all’Italia resta l’ultima chance di «uscire dal pantano», ma ancora non vediamo tracce di un progetto di bonifica credibile.
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