Tratto da La Stampa
Chiudere fabbriche inquinanti?Il bicchiere è mezzo pieno
Antonietta Gatti | ![]() |
L’ENI non trova più competitivo il sito; il petrolchimico non è più un business su cui investire, quindi si chiude o, meglio, si vorrebbe chiudere e ciò di cui si discute è la cimiterizzazione dell’impianto.
Andasse in porto l’operazione, l’ENI potrà semplicemente mettere in sicurezza tutti gli impianti e poi chiuderli. La speranza è che smaltisca in modo “adeguato” tutti i composti chimici ed i residui nocivi che sono serviti per le lavorazioni. Opinione personale: non credo che si smantellerà il sito. Semplicemente lo si regalerà ai posteri come esempio archeologico di industrializzazione in stato terminale.
......In questo caso specifico che cosa succederà? Lo Stato si farà in qualche modo garante per quei lavoratori diventati ex? Nella circostanza, se verranno offerti degli incentivi statali, forse l’ENI dilazionerà i tempi di chiusura. Dilazionare non significa cancellare: è solo una morte più lenta.
Non c’è dubbio che Gela è un caso che sotto non pochi aspetti ricorda quello del siderurgico di Taranto. Là il nuovo Commissario dell’Ilva deve trovare nuovi investitori sia per rilanciare l’industria dell’acciaio sia, soprattutto, per le bonifiche ambientali richieste per la salute dei cittadini.
Che quel soprattutto valga anche per lui è, però, tutto da vedere.
Si farà così anche per Gela?
Se da una parte l’ipotesi di chiusura toglie il lavoro ai lavoratori interni all’impianto e a quelli dell’indotto, dall’altra potrà offrire ai loro figli un ambiente più sano. Sì perché anche l’industria petrolchimica, come quella siderurgica, produce delle emissioni e delle scorie che danneggiano, e neanche poco, la salute. Stando a quanto è circolato, all’interno dello stabilimento c’è un reparto chiamato “clorosoda” entro cui molti lavoratori si sono ammalati e alcuni sono poi morti di tumore. Un’inchiesta giudiziaria è in corso e vedremo che cosa ne uscirà. In quel reparto si può inalare - dico tanto per fare un esempio - mercurio oppure cloroetano, per non contare le esalazioni di acido cloridrico e idrogeno solforato. Le emissioni solforose sono visibili anche all’esterno dello stabilimento per il colore giallo che l’aria assume, e vengono percepite come odori sgradevoli, “puzza” che ammorba l’are in un discreto raggio. Non parliamo poi di alcune coperture che pare siano ancora d’amianto, materiale bandito con una legge del 1992 e osservata con molta distrazione.
Chiudendo l’impianto sicuramente non ci saranno più lavoratori che ogni giorno rischiano la propria salute per il contatto non protetto con sostanze tossiche. L’ambiente ne ricaverà beneficio visto che non ci saranno più le esalazioni giallastre e le emissioni di polveri. I cittadini non saranno più esposti a quei veleni, quindi si può prevedere con sicurezza che almeno le patologie respiratorie (dalle allergie all’asma fino ai tumori del polmone) si attenueranno. Chissà, forse nel giro di qualche anno non ci saranno più nuovi casi di tumore polmonare oltre l’atteso per popolazioni di quelle dimensioni.
Anche altre patologie subiranno una regressione come, ad esempio, le morti per infarto o per ictus. Subiranno un calo gli aborti, le nascite pre-termine e le malformazioni fetali. Analisi specifiche da noi condotte su malformazioni di feti della zona di Priolo (analoga per tipologia industriale) hanno messo in evidenza la presenza di polveri legate alla raffinazione all’interno degli organi interni di feti malformati. Anche il latte delle loro madri non è così sano come dovrebbe essere e come qualcuno s’illude che sia. E’ un dato di fatto che le donne gravide esposte alle polveri ambientali emesse da quel tipo d’impianto le possono accumularle nel sangue. Quelle molto piccole, giù fino alle nanoparticelle, possono essere trasferite all’embrione attraverso la circolazione fetale e danneggiarlo in modo irreversibile.
Ma occorre anche considerare la mortalità infantile. Ad alcuni bambini nati apparentemente sani si diagnostica il cancro nei primi mesi di vita. Come a Taranto, questi si ammalano già nel grembo della madre e, partoriti, manifestano poi in fretta la patologia.
Non sono pubblicamente reperibili dati relativi alle patologie femminili a Gela, e questo forse sia per una questione di omertà culturale sia per una di ritrosia/timidezza nei confronti di problemi sessuali, ma sono convinta che la percentuale di endometriosi fra le donne del posto sia più alta del normale. Endometriosi che trova la sua spiegazione nel liquido seminale inquinato dal petrolchimico che il compagno cede durante l’atto sessuale. Ma i maschi stessi accusano quasi sicuramente malesseri che non trovano una diagnosi, meno che mai un rimedio farmacologico, alla pari delle endometriosi.
Ma, come spesso accade, anche in questa situazione esiste un lato positivo, e il bicchiere mezzo pieno consisterà in una ritrovata salute data dal ritorno a condizioni ambientali più salubri. Il che non è cosa da poco.
* Fisico e bioingegnere, Gatti è un International Fellow della Unione delle Società dei Biomateriali e di Ingegneria. Ha coordinato Progetti Europei e Nazionali di Nanotossicologia, di Nanopatologia e di Nanoecotossicologia e si occupa dell’impatto di polveri submicroniche sulla salute umana, animale e quella del mondo vegetale.
Su La Stampa l'articolo integrale
Nessun commento:
Posta un commento