Tratto da La Stampa
È on-line l’Atlante italiano deiconflitti ambientali, la “mappa
partecipata” del nostro territorio.
Oltre cento le schede, a cura del Centro
Documentazione Conflitti Ambientali.
Un lavoro di indagine e informazione con il
contributo prezioso di cittadini e comitati di
territorio
17/06/2015 VALENTINA GENTILE
Documentazione Conflitti Ambientali.
Un lavoro di indagine e informazione con il
contributo prezioso di cittadini e comitati di
territorio
17/06/2015 VALENTINA GENTILE
Puntini colorati sparsi per lo Stivale. C’è l’Ilva di Taranto, la
centrale di Montalto di Castro, il disastro del Vajont, la centrale
elettrica Enel a carbone di La Spezia. Puntini per ognuno degli
scellerati progetti degli ultimi anni: dal ponte sullo Stretto di
Messina all’inutile autostrada Orte-Mestre,passando per l ’Alta
Velocità in Val di Susa.
È l’Atlante italiano dei conflitti ambientali,
Documentazione Conflitti Ambientali. Frutto di cinque anni
di lavoro, l’Atlante fa parte del progetto di ricerca Ejolt,
Environmental Justice Organisations,Liabilities and Trade,
finanziato dalla Commissione Europea.
Ed è una piattaforma web georeferenziata, la
prima in Italia, che localizza e illustra tutti i
conflitti ambientali.
Ed è una piattaforma web georeferenziata, la
prima in Italia, che localizza e illustra tutti i
conflitti ambientali.
La mappa è stata costruita da ricercatori, dipartimenti universitari,
attivisti, giornalisti e comitati, ma il lavoro è e resterà in itinere;
una piattaforma interattiva, aperta alle collaborazioni esterne.
Le segnalazioni degli utenti verranno analizzate e verificate dagli
esperti del CDCA prima di essere inserite on line.
La partecipazione collettiva è fondamentale per il progetto. Oltre
all’aspetto divulgativo, la mappatura partecipata è un segnale
importante di consapevolezza. Secondo Marica Di Pierri,
Presidente del CDCA, «i conflitti ambientali sono la
prova dell’insostenibilità di questo sistema
economico,ma con l’Atlante diventano anche un
patrimonio straordinario di conoscenza e
cittadinanza attiva».
prova dell’insostenibilità di questo sistema
economico,ma con l’Atlante diventano anche un
patrimonio straordinario di conoscenza e
cittadinanza attiva».
L’archivio, che al momento ha oltre cento schede di conflitti,
si consulta facilmente grazie ad un sistema di filtri che facilitano
ricerca e comprensione.
si consulta facilmente grazie ad un sistema di filtri che facilitano
ricerca e comprensione.
È possibile cercare per regione, categoria, impresa, materia prima,
ma anche per impatti ed effetti.
Uno strumento per permettere ai vari comitati di difesa del
Uno strumento per permettere ai vari comitati di difesa del
territorio di fare rete, di non sentirsi soli nella lotta. Perché,
come sostiene il Professor Joan Martinez Alier, Economista
dell’Università Autonoma di Barcellona: «È tempo che la giustizia
ambientale venga presa in considerazione, così come le battaglie
di questi movimenti, troppo spesso erroneamente catalogati come
gruppi di retrogradi che oppongono resistenza a prescindere».
«Senza i comitati non sarebbe stato possibile costruire l’Atlante –
aggiunge Marianna Stori, ricercatrice del CDCA – Bisogna dare
voce a queste mobilitazioni, informare su questioni e vertenze
non conosciute. Ce ne sono tantissime e noi le abbiamo mappate».
Già; di casi che meriterebbero molta più attenzione ce ne sono tanti.
Come quello della centrale Tirreno Power Spa di Vado Ligure.
«Del carbone in Italia si parla troppo poco – lamenta Daniela
Patrucco, del Comitato SpeziaViaDalCarbone – Eppure sono ben
tredici le centrali che lo usano. Oltre al caso di Vado Ligure, ad
esempio, c’è quello della Enel a Porto Tolle. Si è parlato poco del
deserto lichenico conseguenza delle emissioni e dei danni sulla
popolazione».
Se è vero che la giustizia ambientale nel nostro Paese è ancora
alle prime armi e il recente ddl 1345 sui reati ambientali da molti
è ritenuto troppo ambiguo, sono movimenti e comitati che oggi
sorvegliano e proteggono il territorio.
E l’Atlante dei conflitti è uno strumento di conoscenza attiva.
«I politici ci dicono che le risorse rinnovabili non sono sufficienti,
ma non è vero – sottolinea Mario Cervino, del CNR – Sono
meccanismi non scientifici che influenzano le nostre strutture,
comprese quelle accademiche e scientifiche».
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