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28 novembre 2015

COP 21 .LA SFIDA:quanto lasceremo che si scaldi la Terra a causa nostra?

Tratto da Focus

COP21: il mercato globale è ospite d'onore alla conferenza sul clima

La sfida è tra 2 e 4 °C: di quanto lasceremo che si scaldi la Terra a causa nostra? Alla COP21, conferenza di Parigi sul clima, sarà scontro tra posizioni di buon senso e poteri forti dell'economia: ecco una guida per interpretare questo scenario.

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forti poteri  economici   che vogliono  condizionare COP 21
Alla vigilia della conferenza sul clima di Parigi, la COP21, tutti i partecipanti hanno già ufficializzato la loro posizione rispetto alle misure che ritengono necessarie e praticabili per contenere l'aumento della temperatura globale.
Quello che si prospetta è - ancora una volta - un accordo di compromesso inadeguato, condizionato da Paesi forti e multinazionali, mentre altre proposte, eccellenti, come quella dell'insieme dei Paesi dell'Unione Europea, rischiano di restare "buone intenzioni" inascoltate.

Quanto segue è frutto di un confronto con Andrea Barbabella, responsabile energia della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, al quale abbiamo chiesto di aiutarci a leggere lo scenario economico che fa da cornice alla conferenza sul clima.

Gli inglesi li chiamano stake holder, cioè portatori di interessi. Sono nazioni, società, enti e altri organismi che interverrano nella XXI Conferenza delle Parti (COP21)di Parigi, in rappresentanza di popoli, complessi industriali e organismi sovranazionali che potrebbero essere favoriti o colpiti dalle decisioni sul futuro cambiamento climatico. 

ANCORA UN RINVIO? A Parigi, invece, l'indirizzo è quello dei cosiddetti INDC (Intended Nationally Determined Contributions), in pratica "promesse" che i singoli Stati hanno fatto sulla diminuzione delle emissioni. L'insieme di queste intenzioni non è al momento sufficiente a limitare l'aumento di temperatura a 2 °C: secondo le Nazioni unite porterebbero ad un aumento di circa 3 °C alla fine del secolo. Troppo.

La posizione dei singoli Paesi, ossia le promesse che 149 nazioni hanno steso prima di cominciare a discutere, sono determinate dalle prospettive politiche dei governi stessi. Prospettive che dipendono da una serie di fattori: dagli interessi politici alla pressione delle industrie, dalle istanze dei cittadini a quelle delle grandi associazioni e organizzazioni, fino alle prospettive a breve o lungo termine dei politici e persino dalle reali conoscenze e competenze dei politici stessi.

CHI FRENA E CHI CORRE.Oggi i Paesi più competitivi sono proprio quelli che investono di più nelle fonti rinnovabili o nell'efficienza energetica, come il Nord Europa e la Germania».
 A livello mondiale gli investimenti finanziari e in ricerca sui metodi "classici" di produzione dell'energia, dal carbone al gas naturale, sono stati superati da quelli sulle fonti rinnovabili. Sul fronte della ricerca, in Italia, per esempio, l'Enel ha dichiarato che nel 2050 avrà "zero emissioni" e produrrà energia solo da fonti rinnovabili. Sul versante dei flussi finanziari, in tutto il mondo gli investimenti si stanno spostando verso le rinnovabili, e molti fondi di investimento e fondi pensione stanno disinvestendo dalle industrie del petrolio e del carbone. 
Il Divestment movement spinge banche e privati a non utilizzare i loro fondi in aziende che si occupano di combustibili fossili. Alla fine di novembre i fondi disinvestiti ammontano a 2,6 trilioni di dollari.

I VANTAGGI DEL RISCHIO FINANZIARIO. Tutto questo prescinde dall'aspetto etico, e dipende soprattutto dal fatto che le tecnologie per le energie alternative sono diventate competitive sul mercato in questi ultimi anni e che gli investimenti sui combustibili fossili, secondo i rating delle banche, stanno diventando un rischio.......

Leggi l' interessante articolo integrale su Focus 

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