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08 febbraio 2019

Ilva, il giudice invia gli atti alla Consulta: “L’immunità penale per i vertici viola degli articoli della CartaBenedetto Ruberto”

Tratto da Il Fatto Quotidiano 

Ilva, il giudice invia gli atti alla Consulta: “L’immunità penale per i vertici viola 7 articoli della Carta”



Il giudice Benedetto Ruberto che ha sollevato questione di legittimità costituzionale sui diversi provvedimenti emessi dai Governi per salvare lo stabilimento siderurgico. Il magistrato del tribunale di Taranto ha emesso un’ordinanza di ben 33 pagine nelle quali chiede alla Consulta di pronunciarsi sulla violazione degli articoli 3, 24, 32, 35, 41, 112 e 117 della Costituzione
Sono ben 7 gli articoli della Costituzione italiana violata dai decreti Salva Ilva che hanno consentito e consentiranno alla fabbrica di produrre e quindi di inquinare fino all’agosto 2023, termine indicato come periodo di ultimazione dei lavori di adeguamento del Piano ambientale per il risanamento della fabbrica tarantina. Ne è convinto il giudice Benedetto Rubertoche ha sollevato questione di legittimità costituzionale sui diversi provvedimenti emessi dai Governi per salvare lo stabilimento siderurgico. Il magistrato del tribunale di Taranto, chiamato come giudice delle indagini preliminari, su una serie di fascicoli che riguardano la fabbrica ionica, ha emesso un’ordinanza di ben 33 pagine nelle quali chiede alla Consulta di pronunciarsi sulla violazione degli articoli 3, 24, 32, 35, 41, 112 e 117 della Costituzione.
Ed è in particolare su due aspetti che il gip Ruberto ha focalizzato l’attenzione. La prima è lo spostamento costante della data di ultimazione dei lavori di risanamento della fabbrica e la seconda è l’immunità concessa ai vertici della fabbrica (prima i commissari e ora i nuovi gestori di Arcelor Mittal) in attesa del completamento dei lavori.
Il primo decreto “salva Ilva” voluto nel 2012 da Corrado Clini, ministro dell’ambiente del Governo Monti, autorizzava l’attività produttiva dell’Ilva anche in presenza “di deficienze impiantistiche che potevano determinare emissioni nocive, a condizione che venissero rispettate le prescrizioni temporali per gli adeguamenti degli impianti previsti dalla nuova autorizzazione integrata ambientale”. In quel provvedimento Clini imponeva alla fabbrica di risanare gli impianti entro il 31 luglio 2015. “In sostanza – scrive il gip Ruberto – con tali norme, lo stabilimento Ilva era stato, per legge, autorizzato a continuare la produzione per un periodo di soli trentasei mesi, rispettando le prescrizioni della nuova Aia”. Un provvedimento su cui si era espressa anche la corte costituzionale stabilendo che “la stessa assicurasse un ragionevole contemperamento di interessi riguardanti beni di rango costituzionale (la salute e l’ambiente, da un lato, l’occupazione e la libertà di impresa coinvolgente un settore strategico dell’economia nazionale, dall’altro) entro un periodo temporale contenuto, pari a trentasei mesi”.
Ed è proprio su questo punto che per il giudice, a colpi di decreti, è venuto meno questo bilanciamento tra diritto al lavoro e diritto alla salute: “Appare dunque doveroso accertare – scrive il magistrato – se quelle norme che hanno autorizzato lo stabilimento a proseguire, nonostante le deficienze impiantistiche, ben oltre l’originario termine di 36 mesi” non abbiano “clamorosamente violato i precetti  costituzionali e quei paletti che la stessa Consulta aveva posto per ritenere non viziate le disposizioni della prima legge Salva Ilva”. Insomma per il gip di Taranto “corre l’obbligo di evidenziare come il Giudice costituzionale avesse tracciato, in quella sede, dei precisi paletti” per realizzare nell’arco temporale di tre anni  “il difficile equilibrio tra valori costituzionali di pari rango, quali la tutela della salute e dell’ambiente, da una parte e la tutela dell’occupazione e dell’attività economica di una impresa ritenuta strategica per la nazione, dall’altra”.
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