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31 maggio 2021

Sentenza storica per l’ Ilva di Taranto, Fabio Riva condannato a 22 anni, Nicola Riva a 20

  Tratto da Il Corriere.it

Sentenza Ilva di Taranto, Fabio Riva condannato a 22 anni, Nicola Riva a 20


Il primo grado del processo sull’Ilva «Ambiente svenduto» si è chiuso con condanne pesanti
: ventidue anni per Fabio Riva, 20 per Nicola Riva, gli ex proprietari del gruppo siderurgico e principali imputati. La sentenza della Corte d’Assise per il processo con 47 imputati relativo al reato di disastro ambientale dell’Ilva con la gestione Riva è stata letta stamattina in aula dalla presidente Stefania D’Errico alle 10.45: è arrivata dopo 329 udienze durate cinque anni (la prima il 17 maggio del 2016). La richiesta dell’accusa era di 28 anni per Fabio Riva e 25 per Nicola Riva, ex proprietari ed amministratori dell’azienda

La confisca degli impianti

La Corte d’Assise di Taranto ha anche disposto la confisca degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto per il reato di disastro ambientale imputato alla gestione Riva, così come era stato chiesta dai pm. Gli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico ex Ilva erano già stati sequestrati dal gip del tribunale del capoluogo jonico Patrizia Todisco il 25 luglio 2012 (poi venne concessa la facoltà d’uso). Accolta, in questo senso, da una giuria di tutte donne, la richiesta formulata dall’accusa rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone e dai sostituti Mariano Buccoliero, Remo Epifani, Raffaele Graziano e Giovanna Cannalire. I giudici nella sentenza hanno stabilito la confisca per equivalente del profitto illecito nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire spa, oggi Partecipazioni industriali spa in liquidazione, e Riva forni elettrici per gli illeciti amministrativi per una somma di 2 miliardi e 100 milioni di euro in solido tra loro

La continuità dell’attività

La confisca degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto non ha alcun effetto immediato sulla produzione e sull’attività del siderurgico di Taranto. La confisca degli impianti è stata chiesta dai pm, ma essa sarà operativa ed efficace solo a valle del giudizio definitivo della Corte di Cassazione, mentre adesso si è solo al primo grado di giudizio. Gli impianti di Taranto, quindi, restano sequestrati ma con facoltà d’uso agli attuali gestori della fabbrica. Gli impianti pugliesi sono infatti ritenuti strategici per l’economia nazionale da una legge del 2012 confermata anche dalla Corte Costituzionale. Per area a caldo si intendono parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaierie. Da rilevare che nel passaggio degli impianti dall’attuale proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria all’acquirente, cioè la società Acciaierie d’Italia tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, è previsto il dissequestro degli impianti come condizione sospensiva. Passaggio per ora collocato entro maggio 2022.

Le condanne dei dirigenti

Tra i condannati c’è anche Adolfo Buffo, ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, ed attuale direttore generale di Acciaierie d’Italia (società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia). È stato condannato a 4 anni, i pm avevano chiesto la condanna a 20 anni. A Buffo era contestata anche la responsabilità di due incidenti mortali sul lavoro. Ventuno anni di reclusione sono stati invece inflitti all’ex direttore del siderurgico Luigi Capogrosso (28 la richiesta dei pm) e 21 anni anche per Girolamo Archinà, ex consulente dei Riva per le relazioni istituzionali (28 la richiesta dei pm)

Tre anni e mezzo a Nichi Vendola

Tre anni e mezzo di reclusione sono stati inflitti dalla Corte d’Assise di Taranto all’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola: i pm avevano chiesto la condanna a 5 anni. Vendola è accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far «ammorbidire» la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva. Assennato è stato condannato a 2 anni: secondo l’accusa avrebbe taciuto delle pressioni subite dall’ex governatore affinché attenuasse le relazioni dell’Arpa a seguito dei controlli ispettivi ambientali nello stabilimento siderurgico. Il pm aveva chiesto la condanna a un anno. Assennato, che ha sempre negato di aver ricevuto pressioni da Vendola, aveva rinunciato alla prescrizione.



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Nessuno aveva mai parlato della diossina a Taranto prima del 2005. Fummo noi a prenderci la responsabilità e i rischi di denunciarlo pubblicamente. Oggi è una grande giornata di liberazione dopo una lunga resistenza e tante vittime. Venivano chiamati "allarmisti" ma avevano ragione noi.
31 maggio 2021
Alessandro Marescotti (presidente PeaceLink)

Era tanto attesa. Ed è arrivata.

La sentenza sull'ILVA farà parlare, farà discutere, farà arrabbiare più di qualcuno.

Quella sentenza è il frutto di una lunga lotta a cui abbiamo dato il via nel febbraio 2008, portando in un laboratorio specializzato un pezzo di pecorino contaminato dalla diossina. Il latte di quel formaggio proveniva da pecore e capre che avevano brucato nei pascoli attorno all'ILVA. Avevamo letto su un giornale che, attorno allo stabilimento, pascolava un gregge. La cosa ci incuriosì. Ci mettemmo alla ricerca del pastore. Una nostra ecosentinella, Piero Mottolese, lo incontrò. Non stava bene. Quel pastore morirà di cancro dopo non molto.

Ma facciamo un passo indietro.

Tre anni prima, nel 2005, avevamo scoperto che a Taranto c'era la diossina. Nessuno aveva mai parlato prima della diossina. La parola diossina era sconosciuta a tutti nella città dell'acciaio. Era come se un segreto venisse gelosamente custodito. I sindacati CGIL-CISL-UIL avevano partecipato a tanti tavoli tecnici e alle riunione degli atti di intesa con l'ILVA, ma la parola diossina non era mai venuta fuori fino al 2005. Fino a quel giorno di aprile in cui PeaceLink la lanciò con un comunicato stampa che venne letto come prima notizia al TG3 della Puglia. Ma quella notizia data dalla RAI con tanta evidenza probabilmente non era di interesse o di gradimento gradimento per la politica perché nessuno ne fece menzione. Eppure la diossina è un cancerogeno classificato dalla IARC il classe I, ed è un formidabile contaminante dell'ambiente e della catena alimentare. Ma come mai nessuno aveva mai pronunciato quella parola a Taranto? Non lo sappiamo, ma possiamo intuirne le ragioni. Sappiamo solo che ci imbattemmo nella diossina scandagliando i dati di un database europeo nel quale c'erano le sigle PCDD e PCDF che - a chi non sa di chimica - non dicevano nulla. Anche in quel caso l'indizio ci incuriosì. E venne fuori la terribile verità. 

Fummo noi di PeaceLink a prenderci quella grave responsabilità nel 2005. E a portare nel 2008 in laboratorio il formaggio.

Per anni e anni abbiamo incontrato persone che ci dicevano scherzando: non vi hanno ancora arrestato?

Avevamo un'etichetta addosso: "allarmisti".

In realtà due sono le parole che hanno guidato la nostra azione: curiosità e responsabilità.

Spirito di curiosità e senso della responsabilità.

Ficcanaso impiccioni che non si facevano i fatti propri, insomma.

Di fronte a chi pensava di cambiare il mondo con le grandi teorie, noi, più modestamente, ci accontentavamo dei dettagli. E dai dettagli ricostruivamo il mosaico generale, in un processo di ricerca e ricomposizione dei nessi. Possiamo definire questa metodologia "la rivoluzione dei dettagli", prendendo in prestito il titolo di un libro della mia amica Marinella Correggia.

Quella rivoluzione dei dettagli ha guidato ricerche sempre più vaste. E se oggi si va a vedere quanto materiale abbiamo accumulato con questa metodologia c'è solo da rimanere sbalorditi. E si rimane sbalorditi per l'immenso lavoro svolto dalla polizia giudiziaria e dai magistrati. A cui diciamo grazie per aver condotto con rigore un'azione scomoda ma necessaria e di somma importanza.

Oggi è una grande liberazione. I ficcanaso impiccioni, quelli che venivano chiamati "gli allarmisti", avevano ragione. 

Sì. Proprio così. Avevamo ragione. 

Oggi fioccano le condanne. E gli impianti pericolosi vengono confiscati.

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