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09 agosto 2009

2009/08/10 "Centrali a carbone e mega-acciaierie ecco i "campioni" dell'inquinamento"..L'Italia: il paese che parla sempre d'innovazione ma non la fa"

Tratto da " La Repubblica"

Centrali a carbone e mega-acciaierie ecco i "campioni" dell'inquinamento

Di ANTONIO CIANCIULLO
24/07/2009
ROMA - Ieri il quotidiano inglese The Guardian ha pubblicato la classifica delle dieci industrie più inquinanti d'Europa dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica. Nell'elenco, guidato da un impianto polacco, uno inglese e cinque tedeschi, all'ottavo posto figura la centrale Enel di Brindisi. Siamo gli unici rappresentanti del Meridione d'Europa nella top ten. Ce lo meritiamo? Negli ultimi decenni abbiamo ottenuto risultati importanti nella battaglia contro l'inqui-namento: il piombo è stato tolto dalle benzine; il riscaldamento a metano ha fatto diminuire la concentrazione di anidride solforosa nelle città, i nuovi motori delle auto hanno abbattuto gli inquinanti emessi per ogni chilometro.
Eppure le allergie continuano a crescere, le vittime dello smog nelle metropoli italiane si contano a migliaia l'anno e l'anidride carbonica, innocua nella vita quotidiana, si è rivelata una minaccia planetaria. L'inquinamento locale si somma all'inquinamento globale ed è difficile mettere su un unico podio i maggiori responsabili.

Greenpeace ha scelto di concentrare l'attenzione sui gas serra e ha redatto una classifica delle industrie che emettono più CO2.

La Puglia ha vinto a mani basse:
al primo posto c'è la centrale termoelettrica di Brindisi Sud,
al secondo l'Ilva di Taranto,
al terzo la centrale termoelettrica di Taranto.
«Per il secondo anno consecutivo la maglia nera va alla centrale Enel di Brindisi Sud, la più grande centrale a carbone d'Italia», commenta Francesco Tedesco, di Grenpeace.
«Al quarto posto troviamo la raffineria Sarroch di Moratti
. E va segnalato il fatto che tra i primi dieci impianti inquinanti d'Italia in termini di CO2 ci sono ben 5 centrali a carbone».

Ma cosa succede se si decide di misurare l'inquinamento locale, quello responsabile dei danni alla salute di chi vive vicino agli impianti?

Nel rapporto Mal'Aria industriale 2009, la Legambiente analizza il peso di inquinanti antichi ma ancora insidiosi: metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, benzene. Se la selezione viene fatta utilizzando come parametro il mercurio, la classifica dei grandi inquinatori è guidata dall'Ilva di Taranto che da sola sforna il 57 per cento del totale delle emissioni, seguita dalla Syndial di Priolo e dalla cementeria Sacci di Testi (Firenze). L'Ilva figura in testa a buona parte delle classifiche di questo settore: è sul podio del maggior inquinatore per il cadmio (seguita da Portovesme e dalla raffineria Eni di Sannazzaro de' Burgundi), per il cromo (seguita dalla Saras e dall'Eni di Sannazzaro de' Burgundi), per il benzene (seguita dall'Erg e, di nuovo, dall'Eni di Sannazzarro de' Burgundi). «Questo tipo di inquinamento sembra essere scomparso dall'agenda politica», osserva Stefano Ciafani responsabile scientifico di Legambiente.
«Il ministero dell'Ambiente ha a disposizione uno strumento formidabile per combatterlo: il rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali, quelle che tengono conto dell'assieme degli impatti sulla salute e sugli ecosistemi.
Si tratta di una norma voluta dall'Unione europea che in Italia doveva essere operativa dal 31 ottobre 2007. Sono passati quasi due anni e nulla è accaduto.
Il nuovo strumento è rimasto nel cassetto e le industrie continuano a inquinare come prima».

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Tratto da "Greenreport"
L'Italia: il paese che parla sempre d'innovazione ma non la fa

LIVORNO. Il 2009 è stato riconosciuto dall'Unione europea "Anno della Creatività e dell'Innovazione", il secondo ciclo di programmazione previsto dalla rinnovata strategia di Lisbona (2008-2010) la pone come uno strumento da perseguire nell'ambito degli obiettivi strategici, l'Ocse ne fa una vera e propria strategia e lo scorso anno anche il nostro paese ha istituito la Giornata dell'innovazione, come occasione di sensibilizzazione dei cittadini e di coordinamento tra tutti i principali attori pubblici e privati per fare il punto sullo stato dell'arte.

Di innovazione se ne parla molto e non c'è ormai dibattito in cui non si richiami alla necessità di investire nell'innovazione tecnologica per rilanciare l'economia, per garantire la competitività, per tornare a far crescere il pil.......

E adesso la crisi economica ha indotto le imprese a scegliere di mettere tra le priorità la sopravvivenza piuttosto che l'innovazione e lo squilibrio registrato nei primi tre mesi dell'anno tra la percentuali di imprese che hanno ridotto gli investimenti in innovazione e quelle che invece li hanno alimentati è netto: 24,7% rispetto a 9,8%, ovvero 16 punti di differenza, come si legge nel rapporto Cnr su dati europei.
L'innovazione si evoca quindi ma non si persegue, nel paese che anche in questo mostra il suo istinto gattopardiano ben descritto da Tomasi di Lampedusa, con la celebre frase di Don Fabrizio «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

Come, infatti, scrive Ignazio Cipolletta sul Sole24Ore «La ricerca e l'innovazione sono spesse eversive, proprio perché modificano gli equilibri consolidati. Per questo motivo sono spesso osteggiate in vario modo dagli interessi costituiti: corporazioni d'imprese che vedono cadere le loro posizioni di vantaggio, dirigenti e professori che si vedono scavalcati dalle nuove leve, ideologi e politici che temono di perdere la loro capacità d'influenza».

Ma non basterebbe la suggestione della reticenza culturale e della mancanza, quindi di un clima ad essa favorevole per spiegare il ritardo con cui l'Italia si muove in questa direzione.
C'è infatti da considerare una miopia politica che anziché promuovere gli sforzi, seppur limitati, in tal senso che provano a fare le imprese, ci mette anche degli ostacoli. Come è stato il caso del credito d'imposta su Ricerca e sviluppo su cui l'attuale governo è riuscito a smontare anche il sistema, introdotto nella finanziaria 2007, per stimolare l'innovazione tecnologica delle imprese sia sui prodotti che sui processi....

Chi invece non ha mai smesso di puntare alla ricerca e all'innovazione e l'ha anche orientata, almeno in parte, verso criteri ecologici ne trae oggi le conseguenze positive. E' il caso della Germania, paese di testa a livello europeo in questo campo, che come tutti gli altri ha avuto da fare i conti con una crisi finanziaria e con le conseguenze che questa ha portato sull'economia reale. In cui è sceso il pil e aumentata la disoccupazione, ma che anche in questa fase assai critica per le economie industrializzate, ha visto le imprese continuare ad investire in ricerca e innovazione tecnologica e il governo offrire programmi di aiuti pubblici che stanno dando i primi positivi risultati relativamente alla sua ripresa economica.

I dati tedeschi pubblicati ieri mostrano, infatti, un aumento degli ordini all'industria del 4,5% a giugno, il dato più alto degli ultimi due anni, con commesse che arrivano dall'estero pari al +8,3% e del +13,2% dalla zona euro.
Difficile aspettarsi da un governo che va avanti con la testa rivolta all'indietro e che investe in carbone e nucleare come tecnologie per il futuro, e cha è retto da una maggioranza che presenta e approva in Senato una mozione contro la ricerca sul solare termodinamico, che si comprenda come la strada per il futuro è nell'innovazione tecnologica.

Auspicare poi che questa innovazione venga orientata a ridurre il peso che attualmente l'economia esercita sul capitale naturale sarebbe davvero pretendere troppo.

Lucia Venturi
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