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07 gennaio 2010

2009/01/08 Carbon in Himalaya /Polvere nera/

Tratto da http://magazine.quotidianonet.ilsole24ore.com

Carbon in Himalaya

28 dicembre 2009

Con molto piacere desidero completare la precedente nota sull’inquinamento in alta montagna, riportando integralmente quanto riferiscono i colleghi Paolo Bonasoni, Angela Marinoni, Paolo Cristofanelli, Paolo Laj e Elisa Vuillermoz nell’interessante comunicato stampa 12/2009 in data 17 dicembre 2009:”Alti valori di Black Carbon in Himalaya sono stati registrati dalla rete di monitoraggio EvK2Cnr/Share durante la stagione pre-monsonica dai ricercatori del CNR-ISAC e del CNR-LGGE, afferenti al Comitato EvK2Cnr; questo è quanto emerge dai primi 4 anni di osservazioni, dal 2006 al 2009, eseguite presso il NCO-P (Nepal Climate Observatory-Pyramid), la stazione di misura più elevata del network ABC di UNEP, posta a 5079 metri di quota. Durante episodi acuti di inquinamento, le concentrazioni di black carbon hanno raggiunto cifre significative, mentre la massa del particolato PM10 ha superato il valore che in Europa costituisce il limite per la protezione della salute umana. Durante questi episodi di inquinamento anche l’ozono ha raggiunto concentrazioni ragguardevoli, confermando che simili concentrazioni di inquinanti, ricorrentemente misurate nel corso di 4 anni e tipiche delle aree urbane, possono raggiungere e superare i 5000 metri di quota, nel regno dei ghiacciai del cosiddetto “terzo polo” del Pianeta Terra. Questi sono alcuni dei risultati che stanno emergendo dal pool di ricercatori impegnati nello studio dell’Atmospheric Brown Cloud in Himalaya nell’ambito dei Progetti Share di EvK2Cnr e ABC di UNEP. Questi risultati, che saranno presentati prossimamente sulla rivista internazionale Atmospheric Chemistry and Physics, indicano che le valli himalayane possono svolgere la funzione di veri e propri “camini”, attraverso i quali gli inquinanti che compongono l’Asian Brown Cloud (ovvero la vasta nube di inquinanti che affligge il subcontinente indiano), sono direttamente trasportati verso la media e altra troposfera, dove il loro tempo di vita può aumentare considerevolmente. Questi alti livelli di inquinanti possono avere importantissimi effetti sul clima. Il black carbon ha un “potere riscaldante” pari a circa il 60 per cento della CO2, il gas maggiormente responsabile dell’effetto serra e del riscaldamento climatico. Infatti, mentre l’ozono è considerato il terzo gas-serra antropico, il black carbon assorbe la luce del Sole e può causare un riscaldamento in quegli strati di atmosfera dove è stato trasportato, comportando un minore flusso di radiazione solare al suolo, con la tendenza al suo raffreddamento. Una volta depositato sulle superfici di neve e ghiaccio, il BC, a differenza della CO2, può ridurre significativamente l’albedo superficiale, provocando una accelerazione della loro fusione. Grazie a misure eseguite al NCO-P, opportuni modelli numerici hanno permesso di stimare (nell’ambito di una collaborazione con il NASA GSFC di Greenbelt,Usa) un possibile aumento della fusione di neve e ghiaccio fino al 24 per cento!…” Ulteriori considerazioni da parte degli autori possono essere lette sul già citato comunicato 12/2009 EvK2Cnr del 17/12/2009.

Franco Vivona

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Tratto dal Corriere della Sera

Polvere nera

2009 Dicembre 15
by Federica Sgorbissa

Il particolato carbonioso emesso dalle combustioni di fonti energetiche fossili potrebbe contribuire al riscaldamento globale

NOTIZIE - Non ci sono solo i gas serra. Gli scienziati cominciano infatti a pensare che il riscaldamento più marcato che si osserva in certe zone circoscritte del nostro pianeta, per esempio l’Himalaya, l’imponente catena montuosa asiatica, sia collegato all’inquinamento da polvere di carbone. Lo sostiene per esempio Willam Lau, direttore del dipartimento di scienze atmosferiche del Goddard Space Flight Center della NASA, che ha presentato i suoi dati al meeting annuale dell’American Geophysical Union.

“In alcune aree dell’Himalaya il tasso di riscaldamento è cinque volte più veloce della media globale,” avverte Lau. Lo stesso allarme è stato lanciato qualche giorno fa Vandana shiva, al Klimaforum che in questi giorni si sa tenendo a Copenhagen, in concomitanza con la Conferenza mondiale sul clima. Dal 1960 a oggi il 20% dei ghiacciai himalayani si è sciolto, e una parte di questo scioglimento, sostiene Lau, potrebbe essere dovuto al particolato carbonioso.

Nella ricerca che sarà prossimamente pubblicata sulla rivista Environmental Research Letters, Lau e colleghi sostengono che le particelle piccolissime che si producono con una combustione non completa di fonti energetiche fossili (e sono dunque un prodotto di scarto delle automobili, e della combustione a scopi agricoli e industriali) si legano alla polvere atmosferica e vengono trasportate dalle correnti aeree. Quelle prodotte nella regione asiatica (area in rapida espansione economica) tendono ad accumularsi ai piedi della catena montuosa dell’Himalaya. Lì a causa del loro colore nero assorbono i raggi solari e li trasformano in calore che riscalda l’aria. Quest’aria calda grazie alle correnti ascensionali sale poi in quota dove va a sciogliere i ghiacciai.

Partendo da alcuni lavori precedenti Lau e colleghi con i dati raccolti dai satelliti della NASA hanno creato una simulazione (ne vedete un esempio nel video qui sopra) che mostra il movimento delle particelle di carbone nell’atmosfera terrestre durante i mesi che vanno da Aprile a Novembre. Il periodo di maggiore concentrazione del particolato ai piedi dell’Himalaya coincide anche con il momento dell’anno in cui si ha il tasso maggiore di scioglimento. La NASA ha già iniziato alcuni studi sul territorio per testare le osservazioni di Lau.

L’Himalaya, che è considerato il “terzo polo”, dato che dopo Artico e Antartico conserva la quantità maggiore di ghiaccio del Pianeta, è una delle più importanti riserve d’acqua mondiali. Da questa catena montuosa infatti si originano alcuni fra i più importanti corsi d’acqua del Pianeta: il Gange, l’Indo, il Brahmaputra, lo Yangtzee, il Fiume Giallo e il Mekong, solo per citarne alcuni. La sopravvivenza di questi ghiacciai è fondamentale per miliardi di esseri umani e se il processo non verrà invertito in capo ad alcuni decenni potrebbe esserne sparita la maggioranza.

“Il ciclo di vita del particolato è molto più breve di quello dei gas serra,” ha spiegato Lau. “Per questo ridurre l’emissione di queste particelle potrebbe avere un impatto molto più rapido sul riscaldamento.”

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