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10 marzo 2010

2010/03/09 L’impresentabile progetto della Tirreno Power e la sordità dei politici/Danno ambientale, la Corte Ue non ha dubbi su Priolo

Tratto da "Il Ponente "

L’impresentabile progetto della Tirreno Power e la sordità dei politici

PAOLO FRANCESCHI Referente Scientifico della Commissione Ambiente e Salute dell’ ordine dei Medici di Savona



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di PAOLO FRANCESCHI – Come Referente Scientifico della Commissione Ambiente e Salute dell’ ordine dei Medici di Savona, desidero fare alcune considerazioni sul progetto di ampliamento della centrale a carbone di Vado Ligure, già approvata dalla commissione tecnica del Ministero dell’ Ambiente, e sulla quale pendono i ricorsi al TAR di Regione e altre amministrazioni locali e movimenti di cittadini.

Il progetto di ampliamento della centrale contiene contraddizioni macroscopiche che lo rendono affatto impresentabile, perché in violazione delle direttive europee che prevedono per i nuovi insediamenti produttivi l’ impiego delle migliori tecnologie disponibili al momento, al fine di contenere l’ inquinamento.

Il concetto è assai semplice e di facile comprensione anche per le persone poco esperte.

Come si può desumere dalla tabella presentata da Tirreno Power, gli attuali gruppi a carbone verranno ristrutturati per essere meno inquinanti. Ma la loro ristrutturazione sarà ben lungi dall’ applicare le migliori tecnologie disponibili: infatti per ogni Megawatt installato, i vecchi gruppi ristrutturati emetteranno 6,8 tonnellate /anno di ossidi di Zolfo, 3,6 t/anno di ossidi di azoto, 0,16 t/anno di polveri primarie.
Il nuovo gruppo a carbone invece, sempre per ogni Megawat installato, emetterà 2 T/anno di ossidi di zolfo, 1,5 t/anno di ossidi di azoto, 0,08 t/anno di polveri primarie.

Il che significa che nella nuova centrale a carbone, con tutti i gruppi ristrutturati, 2 gruppi emetteranno 3,4 volte più ossidi di zolfo, 2,5 volte in più ossidi di azoto, il doppio delle polveri primarie rispetto al terzo gruppo: dimostrazione evidentissima che, pur disponendo di una tecnologia meno inquinante, questa non sarà applicata a tutti i gruppi a carbone, ma solo a 1.
Il motivo, più che evidente, sta nel fatto che
si vuole risparmiare, incuranti delle ricadute che questo risparmio avrà sulle emissioni di sostanze inquinanti nell’ ambiente.


Orbene, come già ebbi modo di dire ad un Amministratore di un comune interessato dall’ installazione della nuova centrale a carbone, che mi aveva chiesto di studiare il progetto per trovarne qualche difetto, “anche un bambino di quinta elementare si accorgerebbe dell’ insostenibilità di tale progetto”.
Il risultato fu che da un giorno all’ altro quel Comune affidò ad altri il compito di redigere le osservazioni contro il progetto di ampliamento della centrale.
Non è necessario precisare che le mie osservazioni non comparvero nel documento presentato in Regione.

Ma quello che è più sconfortante è che questa “svista” la ebbero anche le altre amministrazioni (comuni, Provincia e Regione) che dovettero inviare rilievi contrari al progetto al ministero dell’ ambiente.
Naturalmente neppure la commissione del ministero dell’ ambiente notò questa “strana anomalia” e approvò entusiasticamente il progetto.

Ne seguì un silenzio assordante da parte dei partiti politici, pur stimolati dalle mie conferenze su questo argomento.

Spero che qualcuno recepisca questi dati, e voglia prendere le opportune misure.

Dottor Paolo Franceschi
Referente Scientifico della Commissione Ambiente e Salute Dell’ Ordine dei Medici di Savona

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Tratto da Greenreport

Danno ambientale, la Corte Ue non ha dubbi su Priolo

priolo

Lucia Venturi

GROSSETO. Una sentenza della Corte di giustizia europea sembra togliere ogni dubbio in merito alla responsabilità del danno ambientale da parte di operatori che hanno la loro attività in area limitrofa ad una zona inquinata. La Corte europea giunge infatti alla conclusione «che la direttiva sulla responsabilità ambientale non osta a una normativa nazionale che consente all'autorità competente di presumere l'esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e un inquinamento accertato, e ciò in base alla vicinanza dei loro impianti alla zona inquinata».
E' comunque evidente che per poter presumere che via sia un siffatto
«nesso di causalità detta autorità deve disporre di indizi plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività».

La Sentenza della Corte di giustizia era stata appellata dai giudici italiani in merito ad alcuni quesiti emersi riguardo alla vicenda dell'inquinamento della rada di Augusta, situata nel territorio di Priolo Gargallo (Sicilia), che è interessata da fenomeni ricorrenti e importanti di inquinamento ambientale.

L'origine di tali inquinamenti risalirebbe già agli anni ‘60, quando cioè è stato realizzato il polo petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli, ma da allora, si sono susseguite nell'area diverse imprese operanti nel settore degli idrocarburi e della petrolchimica, che non vogliono rispondere delle responsabilità precedenti. Con una serie di provvedimenti, le autorità amministrative italiane hanno infatti imposto alle imprese stabilite lungo la rada di Augusta l'obbligo di bonificare l'inquinamento accertato nel territorio di Priolo, dichiarato anche sito di interesse nazionale di bonifica. Ma le stesse imprese- Raffinerie mediterranee (ERG) SpA, Polimeri Europa SpA, Syndial SpA nonché ENI SpA- hanno impugnato questi provvedimenti per il fatto che non era dimostrabile la loro responsabilità negli inquinamenti che si sono accumulati sul territorio di Priolo.

Adesso è il Tar Sicilia, che deve pronunciarsi su queste cause, e per questo ha rinviato alla Corte di giustizia numerose questioni in merito all'applicazione del principio

«chi inquina paga».


La sentenza emessa sembra quindi tagliare la testa al toro, e oltre a stabilire che le autorità nazionali possono presumere l'esistenza di un nesso causale tra inquinamento presente e la presenza di attività che possono averlo provocato, si esprime anche su un altro quesito.

Ovvero se la direttiva sulla responsabilità ambientale autorizzi una modifica sostanziale delle misure di bonifica già attuate o in corso di esecuzione e se la direttiva osti a una normativa nazionale, che subordina il diritto degli operatori all'utilizzo dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti.

In merito a questi quesiti la Corte europea conclude che «l'autorità competente ha il potere di modificare sostanzialmente le misure di riparazione del danno ambientale decise in esito a un procedimento in contraddittorio, condotto in collaborazione con gli operatori interessati, che siano già state poste in esecuzione o la cui esecuzione sia già stata avviata» motivando la scelta e sentendo le parti in causa al fine di trovare una strada concertata con i presunti responsabili.

Inoltre, stabilisce che «le autorità nazionali possono subordinare il diritto degli operatori ad utilizzare i loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori di riparazione ambientale imposti».
Quindi le bonifiche vanno fatte e si deve intervenire anche laddove la responsabilità non sia direttamente da imputare alle imprese ad oggi esistenti ma che hanno rilevato le stesse attività affini da altri che hanno operato in precedenza.
Questo il parere interpretativo della Corte in merito al diritto dell'Unione che non risolve comunque la controversia nazionale. Spetta infatti al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte e tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

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