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26 giugno 2010

2010/06/26 "Medici contro il carbone"/ Terra, Aia e Salute

"Tratto da Terra" Medici contro il carbone

Diego Carmignani
IL CASO. A Vado Ligure, Tirreno Power cerca di tranquillizzare la popolazione sul progetto per l’ampliamento della centrale: usiamo le migliori tecnologie. Ma il dottor Franceschi smentisce e spiega i danni sanitari.

La centrale a carbone di Vado Ligure garantisce di usare le “tecnologie più avanzate” per non nuocere ad ambiente e salute. Ma i Medici per l’ambiente smentiscono e chiedono la chiusura dei gruppi 3 e 4 dell’impianto. È un tutti contro uno eclatante quello che sta andando in scena in questi ultimi tempi a Vado Ligure, nel savonese.

Al centro c’è la vecchia, vecchissima, centrale a carbone Tirreno Power, per il cui futuro i proprietari vorrebbero un doppione, anziché una riconversione.


Ma gli abitanti, da anni ricoperti da emissioni, non ci stanno. Per mettere le cose in chiaro, lo scorso 19 giugno nella località ligure l’Unione dei Comitati e cittadini per l’Ambiente e la salute della provincia di Savona (con manifestazioni congiunte anche a Brindisi e Tarquinia)
hanno detto il loro “no” all’ampliamento della centrale e al carbone come fonte di energia, a fronte di alternative che non sacrificano la salute e la vita stessa degli abitanti. Il presidio, di protesta e di informazione, si è attivato proprio davanti alla centrale, in concomitanza con l’”Open day” organizzato dalla Tirreno Power per far capire alla gente, una volta per tutte, quali siano le effettive modalità produttive dell’impianto.

Il direttore generale Giovanni Gosio ha sottolineato in quell’occasione «il rispetto per l’ambiente e per la società» garantito dalle “tecnologie più avanzate”. «I valori delle emissioni sono a norma e controllate – ha dichiarato il dg -. Per noi, le emissioni non sono il punto di uscita di un processo, ma sono il punto di riferimento su cui si imposta tutto il processo». E intanto ai “no carbone” in piazza assicurava: «La preoccupazione è infondata, soprattutto dopo la riqualificazione degli impianti a carbone esistenti».

A stretto giro, le parole di Gosio si polverizzano dietro ai fatti.

Come ci spiega infatti il dottor Paolo Franceschi, referente scientifico della Commissione salute e ambiente dell’Ordine dei medici di Savona, «gli attuali gruppi 3 e 4 a carbone non utilizzano affatto “le tecnologie più avanzate”: emettono oltre il quadruplo degli ossidi di zolfo, e oltre il triplo degli ossidi di azoto e del particolato di quanto potrebbero fare se veramente utilizzassero “le tecnologie più avanzate”.
Le acquisizioni scientifiche dimostrano che i danni sanitari causati alla popolazione dalle centrali termoelettriche sono direttamente proporzionali alle emissioni: danni che potrebbero essere da 3 a 4 volte maggiori rispetto a quanto sarebbe consentito dall’applicazione delle migliori tecnologie disponibili, come dettato dal decreto legislativo 59/2005».


Alla Tirreno Power, gli ambientalisti del Moda ribadiscono l’opposizione all’ampliamento della centrale, spingendo con fermezza sulla possibilità di chiudere i gruppi obsoleti a carbone, che producono emissioni assai elevate, di molto superiori a quelle prodotte dai gruppi della stessa centrale a turbogas, di potenza superiore ed alto rendimento.

Un depotenziamento, invece del raddoppio, che eviterebbe anche di bruciare il rifiuto Cdr (possibile solo sui gruppi a carbone), causa dell’emissione di pericolose fuoriuscite di metalli pesanti.
Una cortina fumogena che oscura la trasparenza del patetico “Open day”.
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Terra, Aia e Salute

Tratto da Agoramagazine


sabato 26 giugno 2010 di Erasmo Venosi


Il degrado ambientale e i modelli di vita, sono le cause principali di numerose gravi patologie che colpiscono bambini, donne e uomini. Molte malattie trovano la loro causa nell’accumulo in aria, acqua e suolo d’inquinanti, provenienti dal settore industriale e dal traffico veicolare.

Ambiente inquinato, esposizioni occupazionali a sostanze nocive e modelli di vita scorretti sono responsabili del 75% delle patologie e delle cause di morte.

Esistono numerose norme di origine comunitaria e interna, di tutela ambientale ma scarsamente o di fatto inapplicate.

Gli Enti che dovrebbero monitorare la presenza d’inquinanti e il rispetto dei limiti di legge, sono svuotati da sottili provvedimenti che agiscono sulle risorse assegnate e sulla composizione delle professionalità. Casi emblematici di come è gestito il rapporto ambiente –salute è costituito dal caso dell’Ispra, dalla mancata applicazione dello strumento principale di gestione delle situazioni di inquinamento ambientale , l’AIA (autorizzazione integrata ambientale) e dal “congelamento” della Commissione per la revisione del Piano Generale dei Trasporti e della Logistica.

La disapplicazione delle leggi di tutela dell’ambiente è da imputare al legislatore e alla pubblica amministrazione. In tal modo sono contenti , sia quelli che volevano le leggi di tutela che potranno affermare di averle ottenute e sia quelli che non le volevano, perché "tanto le norme non saranno applicate".

La gente si ammala per esposizioni abnormi a inquinanti e le leggi che disciplinano le emissioni sovente, sono prive di sanzioni e con sicuri, periodici condoni o amnistie.

A onor del vero la “guerra “ all’ambiente viene da lontano. Nel novembre 1993, il Governo Ciampiiniziò una serie lunghissima di decreti reiterati dai successivi Governi, e basati sul convincimento che per rilanciare la ripresa dell’economia, fosse necessario eliminare il più possibile vincoli e sanzioni penali previste dalle leggi di tutela ambientale. Il tasso medio annuo di sviluppo del PIL, 0,6% nel decennio dimostra quanto sia stato inutile “disarticolare “ le norme di tutela ambientale.

Noi invece crediamo che sia possibile coniugare a un livello di minimizzazione del rischio, sviluppo e ambiente.

In un Paese normale la mancata validazione dei dati sulle emissioni da fonte industriale nel 2008, da ISPRA , avrebbe dovuto suscitare reazioni sociali e politiche.
La causa è costituita dalla non dichiarata voglia di smobilitazione dell’Ispra da parte del Governo. L’industria è responsabile (dati 2007) del 26% delle famigerate polveri che entrano nei bronchi (PM10), del 29% degli ossidi di zolfo, del 60% del pericoloso cadmio , del 74% di mercurio, del 89% di cromo , del 70% di diossine.
La grande maggioranza degli impianti italiani esistenti al 1999 doveva possedere l’AIA entro l’aprile 2004.

Le AIA concesse dal Ministero dell’Ambiente sono 44 e ne mancano all’appello altre 147 ! La maggioranza riguarda centrali termoelettriche di cui molte nuove e quindi di facile istruttoria.

Senza AIA gli impianti più inquinanti: 39 impianti chimici tra i quali Priolo (zona a elevato rischio di crisi ambientale ai sensi del DPR 1995) e Mantova (primato per polveri sottili e ossidi di zolfo), 17 raffinerie ( tra le quali quella di Gela dove è insediata anche l’unica centrale termoelettrica che usa anche il pet-coke!) e due grandi acciaierie Taranto e Piombino.

Alle AIA di competenza statale si sommano le AIA non rilasciate di competenza regionale, che spesso riguardano discariche, inceneritori e cementifici come quello di Guidonia.

E il Ministro dell’Ambiente adempia l’art 13 dlgs 59/2005, nominando l’Osservatorio nazionale sulle AIA, che consente di conoscere le autorizzazioni statali e regionali rilasciate.
Non un adempimento burocratico l’Osservatorio , ma lo strumento di elezione che attraverso il monitoraggio delle AIA rilasciate da Stato e Regioni , consente di tutelate la salute e le imprese.



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