
Tratto da Strilli.it
Saline Joniche : la salute della popolazione, tra sì, no, e nì...
di Zina Crocè - All’ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio regionale, convocata per il 15 novembre, sono state inserite due mozioni che propongono a Consiglio e Giunta regionali la ri-formulazione di un “NO” sulla costruzione di una centrale a carbone in territorio regionale, nel sito della ex Liquilchimica di Saline Ioniche.
Analogo “NO” era stato formalizzato dalla precedente Giunta regionale con delibera dell’ottobre 2008. L’attuale piano energetico regionale, infatti, non prevede costruzioni di centrali a carbone in Calabria, e indica come fonti primarie di produzione quelle rinnovabili.Il problema sta destando grande scalpore tra la popolazione del basso Jonio, soprattutto dopo il recente parere favorevole della Commissione VIA, valutazione impatto ambientale, del Ministero dell’Ambiente, che, così procedendo, ha disconosciuto il parere contrario espresso nel giugno 2010 dal Ministero per i Beni e le Attività culturali. Quest’ultimo parere era stato motivato dal fatto che Saline Ioniche ospita un'area naturalistica protetta - Pantano, Capo d’Armi, Pentedattilo di Melito Porto Salvo - a cui erano già stati destinati cinquanta milioni di euro per un progetto di sviluppo e di valorizzazione ambientale, con ovvia ricaduta occupazionale, e senza problemi per la salute pubblica.
La costruzione di una centrale a carbone, dunque, lederebbe un diritto inalienabile : il diritto alla salute, sancito, oltre che dallo Ius Naturae, sempre in vigore, anche dalla nostra Costituzione, ancora in vigore.Al di là di ciò, non bisogna dimenticare quella decisione dell’ UNIONE EUROPEA in base alla quale per il 2020 bisognerà ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, collocare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili, per cui,
Ciò considerato, la centrale, ove venisse costruita, rimarrebbe in vita soltanto pochi anni.
Centrale, dalla Provincia una valanga di "no" Lunedì all'Assemblea
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CINA
La strage dei minatori cinesi: le malattie polmonari uccidono 3 volte di più degli incidenti
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Le malattie ai polmoni uccidono 3 volte più minatori cinesi che i disastri nelle miniere. Una conferenza nazionale per la sicurezza sul lavoro, a Pechino il 9 novembre, ha lanciato l’allarme su queste malattie professionali, lente a manifestarsi, ma micidiali verso chi passa una vita in fondo a una miniera.
Nel 2009 i dati ufficiali parlano di 2.700 minatori cinesi vittime di incidenti e disastri. Si calcola che i morti per pneumoconiosi, o "morbo nero del polmone", siano stati oltre 8mila. Secondo l'agenziaXinhua, corrispondono a oltre il 40% delle malattie nel Paese per ragioni di lavoro.
Esperti ritengono che il dato reale sia persino maggiore, dato che la cifra comprende solo le diagnosi ufficiali.
Zhang Ming, vicepresidente della All-China Federation of Trade Unions, il sindacato unico statale, ha detto che nel 2009 ci sono stati 14.495 nuovi casi accertati di pneumoconiosi, ma la stessa Xinhua osserva che molti di più si ritengono essere i malati non diagnosticati, anche perché il decorso del male è lento e progressivo.
A ottobre a Urumqi sono stati inviati in ospedale per un “lavaggio” dei polmoni oltre 60 minatori. Dal lavaggio dei polmoni di uno di loro, Long Huaiwen, 51 anni, sono state tratte 48 bottiglie di acqua nera (nella foto), anche se non va in miniera dal 2004, dopo averci lavorato per 16 anni nella contea di Baicheng (Xinjiang).
Long è considerato un caso fortunato, perché la pneumoconiosi è un male considerato incurabile, dopo che ha affetto e ridotto la capacità respiratoria.L’unico trattamento utile è ritenuto il lavaggio broncoalveolare per togliere le polveri dai polmoni, ma occorre ripetere più volte il trattamento e ogni intervento costa oltre 12mila yuan, più di un anno di salario. Spesso le piccole e medie imprese si rifiutano di curare i minatori quando mostrano i primi sintomi, negando che si tratti di malattia professionale. ...
“Il nostro lavoro , per prevenire le malattie professionali nell’industria del carbone è davvero difficile a causa del rapido aumento della richiesta di carbone nel Paese, dove la produzione aumenta ogni anno”.
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