Si sono oggi celebrati i funerali del Maestro Gianno Lagorio, nostro amico e sostenitore, venuto a mancare a soli 48 anni.
Piangiamo la scomparsa di una persona per bene, di grande umanità e sensibilità che ha saputo lottare con coraggio non solo contro la sua malattia ma anche sostenendo con forza il diritto di tutti i cittadini alla salute .
Tratto da Savona NewsAbbiate politici, il coraggio di leggere le sue parole
Questi i suoi pensieri sulla bacheca FB di Ubik, con una dedica speciale a Burlando (che la legga) Ubik: "Un bravo musicista, un cittadino, una persona speciale, un uomo che ha combattuto una personale battaglia contro il tumore, ma anche quella contro i devastanti danni della Centrale a carbone di Quiliano, sotto la quale viveva da anni.La prima l’ha persa, ieri.
La seconda è ancora da scrivere...
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Gianni Lagorio: ........Facciamo un piccolo censimento dei malati di cancro cha stanno nelle zone limitrofe??? Io sono uno dei tanti della lista, accidenti! E che fatica a dire accidenti... Siamo in tanti a quanto pare e a quanto ha testimoniato il tg3 con i suoi servizi ma si è capito che sotto sotto c'è un bel circolo vizioso fra sindacati, azienda e quant'altro, della serie.....
Noi... ci stringiamo semplicemente a sua madre, ai suoi cari, ai suoi amici. Pregando, stavolta si, che le sue parole e la sua morte non siano vane, e che possa penetrare un po' di luce non elettrica nella coscienza di chi è chiamato ad amministrare e decidere per bene comune, e la salute di tutti.
Tratto da "Il manifesto"
Chiudere le centrali elettriche a carbone negli Stati uniti «potrebbe essere più facile di quello che sembra», scrive Lester Brown, fondatore del Earth Policy Institute di Washington, nell'ultimo articolo messo sul suo sito web.
«Nonostante una campagna, generosamente finanziata dall'industria, per promuovere il «carbone pulito», gli americani si stanno rivoltando contro il carbone», nota Brown, e riferisce come negli ultimi anni si sia rafforzato «un movimento contro la costruzione di nuove centrali a carbone» negli Stati uniti.
All'inizio sono stati alcuni casi locali di resistenza, ma è «presto diventata un'ondata nazionale di opposizione da parte di gruppi ambientali, per la salute, di agricoltori e di comunità locali». Interessante: non è il tipo di notizia che i grandi media ci riferiscono spesso da oltre oceano. E un rapporto compilato dal Sierra Club, una delle più grandi e note organizzazioni ambientaliste statunitensi, dà ragione a Brown: sul suo sito tiene un elenco aggiornato delle centrali a carbone del paese e risulta che dal 2000 a oggi 152 impianti sono stati chiusi o bocciati.
Il punto di svolta in quella che Brown chiama «la guerra del carbone» è avvenuto nel giugno del 2007, quando la Florida Public Services Commission (la commissione statale che valuta e approva impianti di servizio pubblico) ha rifiutato di concedere la licenza a una grande centrale elettrica a carbone - un impianto da 1.960 megawatt, 5,7 miliardi di dollari di investimento - perché l'azienda interessata non è riuscita a dimostrare che costruire quell'impianto era più economico che investire in efficienza, conservazione dell'energia e in energie rinnovabili (come sostenevano invece gli avvocati di EarthJustice, organizzazione di giuristi ambientalisti). Questa sconfitta «dati economici alla mano», insieme alle manifestazioni pubbliche di protesta contro nuove centrali a carbone in Florida, hanno fatto sì che dopo la prima altre quattro imprese ritirassero la propria richiesta di licenza. Poco dopo il movimento ha registrato una vittoria a Wall Street: su pressione di un'altra organizzazione ambientale, il Rainforest Action Network, nel febbraio 2008 quattro importanti banche d'investimento (Morgan Stanley, Citi, J.P. Morgan Chase e Bank of America) hanno annunciato che presteranno denaro per centrali a carbone solo se le aziende sapranno dimostrare che è economicamente redditizio alla luce dei maggiori costi dovuti alle future restrizioni federali sulle emissioni di gas di serra. L'estate scorsa le stesse banche (più Wells Fargo) hanno annunciato che non finanzieranno più l'estrazione di carbone a cielo aperto (il cosiddetto mountaintop removal, «scoperchiare la cima della montagna»), anche questo su pressione del Rainforest Action Network - e di alcune importanti battaglie che hanno coinvolto ampi movimenti locali.
Altre difficoltà per gli impianti a carbone sorgono a causa dei reflui, uno dei grandi rpoblemi irrisolti di questa industria energetica: che fare delle ceneri risultanti dalla combustione, oggi accumulate in 194 discariche e 161 vasche di contenimento in 47 stati Usa: sono ceneri piene di arsenico, piombo, mercurio e altre sostanze tossiche; l'Ente federale di protezione ambientale (Epa) ha individuato 98 siti che stanno contaminando le falde acquifere, e una nuova raffica di normative di sicurezza è in arrivo. «Ora che gli Stati uniti hanno in effetti una quasi moratoria de facto sulla licenza di nuove centrali a carbone, diversi gruppi ambientali stanno cominciando a fare campagna per la chiusura di quelle esistenti», conclude Brown - segue un elenco di impianti di cui è prevista la chiususa a breve. Del resto, fa notare, se gli altri 49 stati Usa portassero la propria efficienza energetica al livello dello stato di New York, l'energia risparmiata basterebbe a rendere inutile l'80% delle centrali alimentate a carbone in tutti gli Usa.
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Tratto da Energia studenti.it
AMERICA CHIUDERANNO LE CENTRALI A CARBONE?
Quello che sta per accadere negli USA potrebbe essere una svolta epocale per quanto riguarda l’immissione nell’atmosfera di sostanze tossiche, derivate soprattutto dalle centrali a carbone ancora presenti sul suolo a stelle e strisce.
Con le nuove norme stabilite dall’EPA, l’agenzia americana sulla protezione ambientale, il rischio che un grosso numero di queste centrali chiudano è molto elevato, con ovvia preoccupazione delle lobby dei combustibili fossili.
I nuovi regolamenti abbasseranno i limiti per le emissioni del biossido di zolfo, ossidi di azoto, mercurio e altre sostanze tossiche, molto probabilmente dando un taglio anche alle ceneri del carbone per la prima volta.
La svolta però non sembra essere del tutto inaspettata, in quanto già alcune testate giornalistiche americane (New York Times e Wall Street Journal, giusto per fare due esempi) avevano annunciato che una via di fuga dal carbone è possibile, a favore, ad esempio, del gas naturale.
Secondo un rapporto della Brattle, sarebbe già in atto uno screening per individuare quali siano le centrali prossime al pensionamento, causando un buco energetico di 50mila MW con la loro chiusura, mentre per quelle che si dovrebbero soltanto aggiornare, la spesa complessiva stimata per i lavori è di 180 miliardi di dollari.
Nel caso in cui l’EPA, invece, dovesse richiedere torri di raffreddamento in aggiunta agli impianti di lavaggio delle ciminiere, il pensionamento delle centrali porterebbe ad avere un ammanco di 11-12 GW di energia, insieme a investimenti pari a 30-50 miliardi di dollari per venire incontro alle nuove normative.
Questo cambio di rotta però, porterà ad una diminuzione della domanda di carbone del 15% entro il 2020, con una conseguente riduzione di CO2 nell’atmosfera pari a 150 milioni di tonnellate. Inoltre non sarebbero toccati alla stessa maniera tutti gli stati americani, dato che la maggior parte delle centrali a carbone sono in prossimità di porti mercantili e le zone interessate sarebbero specialmente il sud est, il medio atlantico e le coste texane.
Probabilmente alcuni industriali si lamenteranno, ma si sa che l’interesse delle aziende è sempre il proprio, difficilmente quello di chi sta loro intorno, e questa manovra dell’EPA non potrà certo portare ad un tracollo economico.
Anzi, con lo sviluppo di nuove tecnologie o lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale ancora non sfruttati, l’economia USA potrebbe trarre un deciso giovamento da questa decisione, anche per quanto riguarda il fattore disoccupazione.
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Tratto da Adria per la sinistraLA GUERRA DEL CARBONE 2
ROVIGO - Anche l'Emilia Romagna dice no al carbone a Polesine Camerini. Il Movimento 5 stelle si sta muovendo a livello regionale con un'interrogazione scritta........ La richiesta al governatore dell'Emilia Romagna (che è anche presidente della conferenza Stato-Regioni) è quella di «opporsi alle decisioni della Regione Veneto che in sfregio a sentenze del Consiglio di Stato, si prepara a modificare la propria legge regionale istitutiva del Parco del Delta del Po veneto, assecondando i progetti di Enel e spianando così la strada alla riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle».Secondo il rappresentante del Movimento 5 stelle di Rovigo, Vanni Destro, «nelle considerazioni del consiglio regionale veneto, laddove intenda modificare l'articolo 30, non può non essere tenuta in considerazione l'opposizione della Regione Emilia Romagna che per la vicinanza all'impianto di Porto Tolle, subirebbe pesanti ricadute in termini di inquinanti dalla riconversione a carbone della centrale Enel».
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