Tratto da Qualenergia
Il futuro del carbone e quello del clima
Oggi il mondo consuma circa 8 miliardi
di tonnellate di carbone all'anno, 80 volte quanto ne consumava
all'apice della rivoluzione industriale, nel 1850.
In questo momento ci sono progetti per costruire 1.200 nuove centrali a carbone,
tre quarti dei quali in Cina e India. Ma questa fonte è incompatibile
con la la lotta al global warming, pone seri problemi di inquinamento
ambientale, provoca danni sanitari difficili da accettare e questo si
riperquote anche sulla sua attrattività economica.
Se dalla lobby del carbone lo sviluppo di questa fonte 'economica'
viene dipinto come indispensabile per affrontare la povertà energetica
che affligge una parte rilevante della popolazione mondiale, è sempre
più chiaro che il carbone è economico solo perché scarica sulla collettività gli enormi costi ambientali e sanitari e che una sua crescita ulteriore non sarebbe sostenibile.
Immagine tratta da facebook del Dot G. Ghirga Medico ISDE |
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In
sintesi estrema: il futuro del carbone, salvo ormai poco probabili
progressi tempestivi nella tecnologia della cattura della CO2, è
incompatibile con quello del pianeta.
Secondo la International Energy
Agency (vedi ultimo World Energy Outlook) se il trend attuale continuasse il consumo di carbone potrebbe crescere del 65% entro il 2035, ma, stando alla letteratura scientifica (si veda studio del Potsdam Institute), se bruciassimo anche solo da un terzo alla metà delle riserve provate di questo minerale ci giocheremmo ogni possibilità di far rimanere il riscaldamento globale sotto la soglia critica dei 2° C.
Ci
troviamo di fronte a due ipotesi. La prima, che presuppone di fare sul
serio nella lotta al global warming, implica che siamo seduti sopra una
quantità enorme di riserve che dovranno rimanere sotto terra, con conseguente rischio che scoppi una bolla economica:
se la comunità internazionale terrà fede all'impegno di fermare il
riscaldamento globale entro i 2 °C, il valore delle azioni delle grandi
coorporation delle fonti fossili crollerà del 40-60%, stima un recente report HSBC).
La seconda, che presuppone che il carbone continui a crescere e che
queste riserve verranno estratte e bruciate, implica una disfatta dal
punto di vista della lotta al riscaldamento globale.
Quale delle due
ipotesi si realizzerà?
Per provare a
rispondere bisogna guardare a quanto sta accadendo in giro per il mondo
(si veda anche mappa interattiva del World Resources Institute sotto). In Cina
prima di tutto. Il gigante asiatico soddisfa l'80% del suo fabbisogno
elettrico con questa fonte, consuma il 46% del carbone mondiale e dal
2001 al 2011 ha contribuito all'80% dell'aumento del consumo di carbone
globale. La sua fame crescente di energia continuerà probabilmente ad
essere soddisfatta così, ma ci sono segnali in contro tendenza:
Oltre che per gli impegni nella lotta al clima, infatti, Pechino sta frenando sul carbone (e spingendo sulle rinnovabili) perché, anche grazie all'emergenza smog, ci si sta rendendo conto degli altissimi costi sanitari di cui la fonte è responsabile (beni il 7,1% del Pil secondo uno studio del 2008).
A questo si aggiunge il problema delle risorse idriche: il grande
fabbisogno d'acqua del carbone si sta rivelando un serio problema
(QualEnergia.it, La Cina e lo stress idrico da centrali a carbone )
Immagine tratta da facebook del Dot G. Ghirga Medico ISDE |
Negli Stati Uniti invece lo sviluppo di nuove centrali a carbone è stato frenato dal boom dello shale gas
che ha fatto calare i prezzi di questa fonte concorrente (anche se ora
stanno tornando a salire). Il paese, che possiede il 28% delle riserve
mondiali di carbone ne esporta sempre più, mentre, anche a causa delle
nuove legislazioni ambientali, praticamente non si costruiscono nuove
centrali: negli ultimi anni si sono cancellati i progetti di 175 nuovi impianti.
Della situazione europea poi abbiamo parlato di recente (QualEnergia.it, Il canto del cigno del carbone in Europa): nonostante un aumento nella produzione dovuto al phase out
del nucleare tedesco, ai prezzi della CO2 stracciati e al carbone a
basso prezzo esportato dagli Usa,
nel vecchio continente con le politiche contro le emissioni e molte centrali vicine al pensionamento, questa fonte sembra essere destinata al declino.
nel vecchio continente con le politiche contro le emissioni e molte centrali vicine al pensionamento, questa fonte sembra essere destinata al declino.
Se infine vogliamo parlare della marginale realtà italiana citiamo l'analista Giuseppe Artizzu, che abbiamo intervistato ieri sul nostro mercato elettrico: “Al contrario di quello che spesso si afferma, lo spazio per altro carbone in Italia, salvo forse al nord, non c’è:
non è competitivo rispetto alle importazioni a basso costo e alle fonti
rinnovabili senza combustibile, e non è tecnicamente versatile come il
gas, nella maggioranza degli usi termoelettrici correnti.
Del resto, se
E.On ha cancellato il repowering a carbone di Fiumesanto, e la
conversione di Porto Tolle è sparita dal piano finanziario dell’Enel,
una ragione ci sarà”.
Insomma, la crescita del carbone prevista dalla IEA, che sarebbe letale per il clima, forse potrà essere scongiurata.
16 aprile 2013
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