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29 agosto 2017

CO2: cos’è e perché un eccesso di anidride carbonica è un pericolo per l'ambiente e per la salute.

Tratto da Nanopress

CO2: cos’è e perché un eccesso di anidride carbonica è un pericolo

CO2: cos’è e perché un eccesso di anidride carbonica è un pericolo
I motivi per cui le emissioni CO2 sono pericolose derivano dall'eccesso di inquinamento che produce enormi danni ambientali e all'atmosfera terrestre. Tra gli effetti della CO2 vi sono anche il Global Warming e i cambiamenti climatici

....Di sicuro oggi non ci sono dubbi tra gli scienziati circa la pericolosità delle emissioni CO2, poiché esse producono danni ampiamente certificati sia all’ambiente che alla salute umana. Poiché solo attraverso la consapevolezza diffusa a livello globale è possibile mettere in campo accorgimenti individuali e collettivi al fine di contrastare questi danni ambientali e salutari, cerchiamo di capire insieme in dettaglio che cos’è la CO2 e perché un eccesso di queste emissioni nell’atmosfera rappresentano un pericolo.

CHE COS’È LA CO2

CO2: cos’è? Dietro questa formula chimica si celano le emissioni di anidride carbonica: quest’ultimo è un gas che si forma nei processi di combustione, e nasce dall’unione del carbonio, contenuto nei combustibili fossili utilizzati in tanti ambiti della nostra quotidianità, con 2 atomi di ossigeno presenti nell’aria. Quando si ha un eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera, il primo e più immediato risultato è l’inquinamento dell’aria, ecco perché è necessario assumere comportamenti virtuosi nella vita di tutti i giorni affinché sia possibile ridurre l’impatto ambientale delle emissioni di CO2: esse sono il frutto principalmente dell’intesa attività industriale nei Paesi più sviluppati, che hanno fatto o fanno ancora uso di materie come carbone e petrolio che sono fortemente inquinanti, e contestualmente attuano piani di deforestazione che aumentano l’inquinamento incontrollato e i danni al nostro ecosistema in quanto la funzione degli alberi è proprio assorbire anidride carbonica rilasciando ossigeno nell’atmosfera. Ma tutti noi produciamo anidride carbonica attraverso i nostri consumi quotidiani, mediante gli sprechi di energia frutto di atteggiamenti pigri e sbagliati, come accendere una lampadina quando non c’è n’è bisogno o utilizzare l’automobile anche per fare pochi metri, giusto per fare esempi banali.

PERCHÉ LA CO2 È DANNOSA

Le emissioni di CO2 producono l’inquinamento atmosferico: l’anello successivo della catena sono gli effetti macro-ambientali, che si riverberano poi sulla salute umana e sulla vita del pianeta. In particolare segnaliamo il buco dell’ozono, ovvero l’indebolimento dello strato gassoso presente nell’atmosfera che funge da barriera per la Terra contro l’azione nociva dei raggi ultravioletti del Sole. E il buco dell’ozono a sua volta comporta i cambiamenti climatici in atto nel pianeta, in particolare il cosiddetto Global Warming, ovvero il surriscaldamento climatico del pianeta che comporta tra i vari effetti comprovati lo scioglimento dei ghiacciai, un aumento sempre più esponenziale della temperatura media globale e di eventi catastrofici naturali, le minacce alla sopravvivenza di molte biodiversità del pianeta. E se l’inquinamento atmosferico è già responsabile di molte patologie polmonari e cardiache che affliggono la popolazione mondiale, nondimeno i cambiamenti climatici rischiano di aggravare le conseguenze per la nostra salute, e non solo nei soggetti più deboli come bambini e anziani. Ecco perché è necessario assolutamente ridurre le emissioni di CO2, utilizzando fonti energetiche alternative come le rinnovabili e attuando tutta una serie di politiche green in cambio di mutare processi a rischio di irreversibilità: record negativi come quelli del 2016 non dovrebbero più accadere, se vogliamo effettivamente garantire un pianeta vivibile alle future generazioni.

04 novembre 2016

Unep:l’Accordo di Parigi non basta, stiamo andando verso i + 3°C .Il mondo deve urgentemente ridurre le emissioni previste entro il 2030

Tratto da Rinnovabili.it

UNEP: l’Accordo di Parigi non basta, stiamo andando verso i + 3°C

  • L’Agenzia ONU avverte: “Se non cominciamo fin da adesso ad adottare iniziative supplementari, finiremo per dover piangere una tragedia umana evitabile”
UNEP: l’Accordo di Parigi non basta, stiamo andando verso i + 3°C

(Rinnovabili.it) – Nel Pacifico gli orologi hanno già passato la mezzanotte. Questo significa che per molte delle isole che popolano la regione, l’Accordo di Parigi è già entrato in vigore da qualche ora. Quasi in contemporanea, il Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) ha reso pubblico il suo Emissions Gap Report, il prezioso documento che fa il punto sugli sforzi in tema di tagli alle emissioni. La conclusione? Il tanto sudato Paris Agreement non è sufficiente.

Il rapporto rileva che, con l’attuale livello impegno, entro il 2030 i gas serra raggiungeranno le 54-56 gigatonnellate di biossido di carbonio equivalente. Si tratta di un valore ben al di sopra del tetto individuato dagli scienziati (42 Gt) come il limite emissivo per aver la possibilità di limitare il riscaldamento globale a 2 C° durante questo secolo.Continua a leggere qui 

Tratto da Greenreport

Unep: il mondo deve urgentemente ridurre del 25% le emissioni previste entro il 2030

Malgrado l’Accordo di Parigi andiamo verso un aumento delle temperature da 2,9 a 3,4°C entro la fine del secolo
[4 novembre 2016]
unep-cambiamento-climatico
«Il mondo deve urgentemente e radicalmente rivedere le sue ambizioni, aumentandole per ridurre di circa un quarto le emissioni mondiali di gas serra previste entro il 2030 e avere una chance di minimizzare il cambiamento climatico pericoloso», a dirlo è l’United Nations environment programme (Unep) sulla base del suo “Emissions Gap Report”, presentato ieri pomeriggio a Londra, che analizza ogni anno lo scarto tra bisogni e prospettive in materia di riduzione delle emissioni climalteranti.
Il rapporto, pubblicato insieme al “1 Gigaton Coalition Report” alla vigilia dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi, constata che «Nel 2030, le emissioni dovrebbero raggiungere tra le  54 e le 56 gigatonnellate equivalenti di CO2, cioè largamente al di sopra del livello fissato a 42 Gt per avere una chance di limitare il riscaldamento planetario a 2℃  entro la fine del secolo». Una gigatonnellata (Gt) equivale all’incirca alle emissioni prodotte ogni anno dai trasporti (compresa l’aviazione) nell’Unione europea.
L’Unep ricorda che «Gli scienziati sono d’accordo nel dire che limitare l’aumento della temperatura mondiale al di sotto dei 2℃  (in rapporto ai livelli dell’era preindustriale) permetterà di ridurre i rischi di tempeste violente, di lunghi periodi di siccità, di aumento del livello del maree di altri effetti sul clima. Raggiungere l’obiettivo minimo fissato a 1,5 ℃ permetterebbe di ridurre questi effetti, ma non di eliminarli».
Ma il problema che emerge dai rapporti Unep è che anche nel caso di un’attuazione integrale degli impegni presi a Parigi, «le emissioni previste entro il 2030 provocheranno un aumento delle temperature mondiali da 2,9 a 3,4° C entro la fine del secolo. Se aspettiamo ancora qualche anno prima di aumentare il livello di ambizione, rischiamo di compromettere la possibilità di raggiungere l’obiettivo degli 1,5° C, di accrescere la dipendenza dalle tecnologie a forte intensità di carbonio e di aumentare il costo di una transizione globale verso un’economia a basse emissioni».
Il direttore esecutivo dell’Unep, Erik Solheim, resta fiducioso: «Siamo sulla buona strada. L’Accordo di Parigi permetterà di rallentare il cambiamento climatico, così come il recente emendamento di Kigali che punta a ridurre gli Hfc. Questi due accordi dimostrano un solido impegno, tuttavia, non sono sufficienti se vogliamo darci la possibilità di evitare un grave cambiamento climatico. Se non prendiamo già oggi delle misure supplementari, ad iniziare dalla prossima conferenza sul clima a Marrakech, bisognerà deplorare l’avvento di una tragedia umana evitabile. Il numero crescente dei rifugiati climatici colpiti dalla fame, dalla povertà, dalle malattie e dai conflitti ci ricorderà in modo incessante il nostro fallimento. La scienza indica che dobbiamo agire molto più velocemente»
Il fatto che il 2015 sia stato l’anno più caldo da quando vengono registrati I dati sulle temperature globali, ha fatto capire ai leader mondiali la necessità di agire urgentemente. Una tendenza al riscaldamento globale che è proseguita anche nel 2016 che si appresta a battere il record del 2015. Ma il rapporto dice che le emissioni che provocano il global warming continuano ad aumentare.
...
L’unep bacchetta i Paesi del G20  che, pur essendo in grado di mantenere collettivamente i loro impegni presi a Cancún riguardo al clima entro il 2020, non sono sufficientemente ambiziosi per realizzare davvero  gli obiettivi sulle temperature previsti nell’Accordo di Parigi.....
L‘Unep è convinto che «Gli attori non governativi (il settore privato, le città, le regioni e gli altri protagonisti subnazionali, come le mobilitazioni civiche) possono contribuire alla riduzione delle emissioni per diverse gigatonnellate entro il 2030 in settori come l’agricoltura e i trasporti, se le numerose iniziative raggiungessero i loro obiettivi e se non sostituiranno altre iniziative».Continua a leggere qui

Leggi anche  su Greenreport

Accordo di Parigi in vigore: la Tour Eiffel, l’Arco di Trionfo e la Senna si illuminano di verde 


Commissione con Joseph Stiglitz et Nicholas Stern per conoscere il costo sociale del carbonio Leggi qui

28 agosto 2016

Europa, 20 mila morti da carbone. In Francia c'e' in studio la Carbon tax

Tratto da Giornalistinell'erba

Europa, 20 mila morti da carbone. In Francia arriva la Carbon tax

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Parigi sferza il suo attacco al cambiamento climatico. Nella Francia del post Cop21 tra il ventaglio di idee per fronteggiare gli impegni presi al tavolo della Ville Lumière c’è allo studio la “Carbon tax”.
Le centrali a carbone dovranno pagare 20-30 euro a ogni tonnellata di anidride carbonica emessa per arrivare ad una quota di 50 euro nel 2030. Questo è il tributo che tenterà di incentivare le fonti rinnovabili o le centrali a metano (che rispetto al carbone producono meno gas serra). Nel mirino ci sono ben 4 impianti che forniscono energia per 3.000 megawatt complessivi.
Il piano anticarbonio è quanto emerge da un rapporto lungo più di 100 pagine, nato dal dialogo tra il ministro francese,Ségolène Royal, con Pascal Canfin, direttore generale del WWF francese, Alain Grandjean, economista e Gérard Mestrallet, presidente di Engie.
Non c’è più tempo per la compravendita delle “quote di CO2”. Per restare nei 2° C bisogna fare di più, bisogna ridurre le emissioni climalteranti. La soluzione francese punta a questa direzione.
Ad oggi i paesi che hanno adottato una ecotassa simile sono Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Olanda e Irlanda. Dall’altra parte delle Alpi, l’Italia del post Cop21 non sembra, invece, tanto in prima linea nella battaglia al Global warming. “Manca un risveglio civile dell’opinione pubblica” sostengono Ferraris e Bompan, nel loro ebook “Il mondo dopo Parigi”.
Eppure la situazione è gravissima. Sono ben 22.900 le morti premature in tutta Europa, vittime degli effetti transfrontalieri delle polveri delle centrali a carbone. La spesa sanitaria relativa a malattie imputabili a questa fonte fossile ammonta a 62,3 miliardi di euro. Per fare un paragone, le vittime ogni anno della strada sono 26 mila.
Si tratta di numeri allarmanti che sono stati pubblicati nel rapporto “Europe’s Dark Cloud” frutto del lavoro di un gruppo di Ong green, tra le quali spicca il Wwf, Can (Climate Action Network),Heal (Health Environment Alliance) e Sandbag. Lo studio fa riferimento all’inquinamento prodotto dalle 257 delle 280 centrali a carbone attive nell’Ue nel 2013.
La bandiera nera assegnata sulla base degli impianti più nocivi spetta a Polonia, Germania, Romania, Bulgaria e Regno Unito. Mentre tra i paesi vittime, che subiscono di più le conseguenze della “nuvola oscura”, ci sono la stessa Germania (3630 morti premature tra inquinamento interno ed esterno), l’Italia (1610), la Francia (1380), la Grecia (1050) e l’Ungheria (700).

14 luglio 2016

Barclays : Industria fossile, con lotta al global warming a rischio 33mila mld di dollari

Industria fossile, con lotta al global warming a rischio 33mila mld di dollari

Tratto da Qualenergia
La stima la fa un gigante della finanza, Barclays, nell'ambito della “Task Force on Climate Related Disclosures”, il gruppo di esperti messo assieme dal governatore della Banca d'Inghilterra per fare luce sui rischi economici legati al clima che cambia e alla lotta al global warming.
Il settore delle fossili rischia di perdere entrate per 33mila miliardi di dollari nei prossimi 25 anni per le politiche sul clima, che costringeranno l'industria a lasciare sotto terra gran parte delle riserve di carbone, petrolio e gas per provare a fermare l'innalzamento della temperatura del pianeta entro i 2 °C.
L'impressionante stima, riportata da Bloomberg, è di Mark Lewis, direttore delle ricerca sulle equity delle utility europee del gigante della finanza Barclays. L'analisi è stata elaborata nell'ambito della “Task Force on Climate Related Disclosures”, il gruppo di esperti messo assieme dal governatore della Banca d'Inghilterra, Mark Carney, per fare appunto luce sui rischi economici legati al clima che cambia e alla necessaria lotta al global warming.
“Ci sarà meno domanda di fonti fossili e per definizione questo porta a prezzi più bassi”, ha spiegato Lewis.
La task force, diretta dal fondatore di Bloomberg LP, Michael Bloomberg, sta mettendo a punto delle linee guida per la volountary disclosure da parte delle aziende dei rischi ai quali saranno esposte dagli impatti del cambiamento climatico e dalla transizione energetica necessaria per frenarlo.
“Un bambino con un abaco può capire benissimo che quantità enormi di carbone, petrolio e gas andranno lasciate sotto terra. Eppure abbiamo consigli di amministrazione che ancora non parlano del problema con i propri azionisti”, ha sottolineato Anne Simpson, direttrice del più grande fondo pensione pubblico degli Usa, il California Public Employees’ Retirement System, citata da Bloomberg.
Per stare sotto ai 2 °C di riscaldamento globale dai livelli preindustriali, secondo la IEA, almeno due terzi delle riserve di carbone, petrolio e gas non potranno essere sfruttate.
Secondo l'ong Carbon Tracker, con le politiche da attivare per avere più del 50% di possibilità di fermare il riscaldamento globale a 2 °C, sono a rischio 2mila miliardi di dollari di investimenti in energie fossili.
Asset che nei prossimi 10 anni potrebbero divenire stranded, cioè incagliati, ossia che non si potranno valorizzare perché i prezzi delle commodity e le politiche per ridurre le emissioni costringeranno a non estrarre una grande quantità di riserve fossili, trasformando in una perdita netta la spesa sostenuta per svilupparle.
Tra gli investimenti a rischio per il petrolio 1.300 miliardi di dollari sono in nuovi progetti e 124 mld di $ in progetti esistenti; per il gas 459 miliardi in nuovi progetti e 73 miliardi in esistenti; infine per il carbone 177 miliardi nel nuovo e 42 nell'esistente.
Le nazioni con le più alte perdite economiche in caso di un accordo internazionale coerente con l'obiettivo di fermare il global warming a 2 °C sono nell'ordine Stati UnitiCanada e Cina.....
La transizione energetica verosimilmente impedirà di far fruttare adeguatamente gran parte degli asset in miniere e trivelle: se si adottassero le politiche necessarie a fermare il riscaldamento globale, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende delle fossili crollerebbe del 40-60%.
Una bolla sulla quale stanno mettendo in guardia da tempo, oltre agli ambientalisti, i report di gruppi bancari e analisti come Citigroup, Deutsche Bank, Kepler Chevreux e Moody’s i citati Bloomberg, Barclays, la Banca d'Inghilterra e altri ancora.
Se non ci si muove già ora per cercare un atterraggio morbido, gli effetti economici potrebbero essere disastrosi, visto che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse al momento ha un ruolo molto importante - dal 20 al 30% in piazze come Londra, Mosca, Toronto e San Paolo - e che nelle fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione: circa il 72% delle riserve mondiali di petrolio, il 73% di quelle di gas e il 61% di quelle di carbone sono possedute o controllate indirettamente dalle nazioni.

04 settembre 2015

I CAMBIAMENTI CLIMATICI IN ATTO COLPISCONO CITTÀ, AGRICOLTURA E SALUTE


Tratto da Ehabitat.it

I CAMBIAMENTI CLIMATICI COLPISCONO CITTÀ, AGRICOLTURA E SALUTE

Danni alle città, problemi alimentari, deficit respiratori. Il global warming non riguarda solo le calotte polari: è in gioco la salute di ognuno di noi, specialmente dei nostri figli.



Per quanto a volte possa sembrare lontano dalla vita quotidiana delle società umane, il clima ha sempre influenzato la storia e l’evoluzione della nostra specie, e il cambiamento climatico in atto nella nostra epoca non fa eccezione.
Non sono solo le calotte artiche e antartiche a subire gli effetti del global warming, con un assottigliamento annuale senza precedenti nella storia dell’uomo: anche i paesi fertili e temperati delle sponde mediterranee vedono modificare sempre di più il loro clima, con conseguenze dirette sulle città, sull’agricoltura e, infine, sulla salute umana. 
uomo e cambiamenti climatici
Gli eventi estremi di questi caldi  mesi estivi hanno messo in evidenza come il clima si stia tropicalizzando. Infatti, Il mese di luglio è stato caratterizzato dalle temperature più alte di sempre, come affermato dall’ esperto del CNR Michele Brunetti “Le temperature sono state di 3,6°C superiori alla media. L’ondata di caldo record registrata a luglio 2015 in Italia è stata più intensa di quella datata luglio 2003, con temperature superiori di 1°C rispetto ai +2,6°C rilevati nell’estate di 12 anni fa ”.
Inoltre, eventi violenti ed improvvisi hanno portato a subire numerosi danni in varie località italianel’ultimo registrato è l’allagamento di Pisa, con 11 km di territorio sott’acqua ed ingenti danni a mobilità e servizi... 
binari pisa allagati
Il global warming porta a conseguenze nefaste anche in agricoltura e, quindi, sull’alimentazione: secondo il V rapporto IPCC (Intergovernamental Panel of Climate Change), pubblicato ad aprile 2014, i cereali maggiori, essenziali per l’alimentazione umana e degli animali da allevamento, già scarsi nel mediterraneo – solo il 12% della produzione mondiale – a causa dei cambiamenti climatici diminuiscono la loro resa delle colture del 2% ogni 10 anni.
Non sono solo i problemi alimentari a dover destare la nostra preoccupazione:il cambiamento climatico sta rendendo sempre più difficoltoso respirareSecondo la SIAAIC (Società Italiana Allergologia, Asma ed Immunologia Clinica), infatti, “Un cambio di mezzo grado di più della temperatura fa aumentare da 10 a 100 volte la quantità dei pollini nell’aria. Di conseguenza aumentano da 10 a 100 volte le persone che soffrono di allergie durante la primavera”.
allergeni
Sempre secondo la SIAAIC, “La rinite allergica colpisce un adulto su cinque, e un bambino su quattro”, spiega il suo presidente uscente Massimo Triggiani, docente di allergologia e immunologia clinica presso l’università di Salerno,“Ma il trend tende ad aumentare: entro il 2020 colpirà il 50% dei più piccoli”.
Danni alle città, problemi alimentari, deficit respiratori. Il global warming non riguarda solo le calotte polari: è in gioco la salute di ognuno di noi, specialmente dei nostri figli.
In tal senso, l’impegno non può gravare esclusivamente sulle spalle dei governanti: ogni cittadino deve prendere in carico la propria salute e quella della sua famiglia, cercando di limitare la sua impronta ecologica nella vita quotidiana di ogni giorno, puntando altresì sulla formazione alle generazioni future, già fortemente interessate dalle conseguenze dei cambiamenti climatici dovuti alle scelte di sviluppo disinteressato di quelle precedenti.
......... Un clima che, adesso, si sta evolvendo pericolosamente, ancora una volta a causa dell’impatto antropico. 

14 luglio 2015

Clima-leaks: così i grandi delle lobby fossili hanno manipolato politici e opinione pubblica.

Tratto da Qualenergia

Clima-leaks: così i grandi delle fossili hanno manipolato politici e opinione pubblica

Scienziati pagati per dire che il global warming dipende dal sole, lettere al Congresso statunitense falsificate, finte associazioni della società civile: un dossier su documenti riservati di 30 anni mostra come l'industria fossile abbia agito in malafede per disinformare l'opinione pubblica e rallentare le politiche per la decarbonizzazione dell'economia.
Da quasi 30 anni le più grandi compagnie delle fossili sono a conoscenza del fatto che le loro attività causano il cambiamento climatico e per tutto questo periodo hanno tentato deliberatamente di manipolare l'opinione pubblica, minimizzando i rischi del global warming e mettendo in dubbio la relazione tra clima ed emissioni di CO2 da combustione di carbone, petrolio e gas. 
Questa per molti non è una novità, ma ora l'Ong statunitense Union of Concerned Scientists (UCS) ha raccolto in un dossier(allegato in basso) una serie di importanti documenti che provano come i grandi del petrolio e del carbone abbiano agito in malafede.
Si tratta di memo interni, comunicazioni ai membri de Congresso e altri documenti ottenuti tramite il Freedom of Information Act  e che vengono da aziende come ExxonMobil, Chevron, ConocoPhillips, BP, Shell, Peabody Energy e altre. Quel che emerge è che le compagnie erano da decenni consapevoli della dannosità dei proprio prodotti per il clima, hanno pianificato campagne di comunicazione per negare l'evidenza, pagando scienziati e facendo lobbying sulla politica per evitare leggi per loro punitive.
Già nel lontano 1977, mostrano i documenti, i rappresentanti delle principali compagnie delle fossili avevano assistito a dozzine di udienze al Congresso Usa nelle quali si discuteva dell'effetto delle emissioni di CO2 sull'effetto serraNel 1988 il climatologo della NASA James Hansen portò davanti all'assemblea statunitense prove scientifiche che confermavano come il cambiamento climatico fosse causato dalle attività dell'uomo. Nello stesso anno nasceva l'IPCC e il Congresso Usa adottava il National Energy Policy Act, per affrontare il problema clima riducendo le emissioni. “È difficile pensare che a quella data i dirigenti, i lobbisti e gli scienziati delle principali aziende delle fossili non fossero a conoscenza del problema”, osservano gli autori del dossier UCS.
Infatti, in un documento interno datato 1995, redatto da uno scienziato di Mobil e distribuito anche ad altri grandi esperti del petrolio si avverte chiaramente che l'uso dei combustibili fossili sta causando il cambiamento climatico e che la letteratura scientifica in merito “è solida e non può essere smentita”.
A questo avvertimento petrolieri e carbonai hanno risposto nel modo peggiore possibile: organizzando campagne per seminare dubbi sulla relazione tra clima ed emissioni antropogeniche e facendo lobbying, anche con pratiche illegali, perbloccare le politiche di decarbonizzazione. Si legge ad esempio in un memo interno dell'American Petroleum Institute che “la vittoria sarà ottenuta quando i cittadini medi riconosceranno le incertezze della scienza del clima”.
I metodi usati sono testimoniati dai documenti raccolti nel dossier UCS. Ad esempio c'è il contratto con cui l'utility Southern Company finanzia gli studi dell'Harvard-Smithsonian Astrophysics Center, sulle variazioni del ciclo solare come causa dei cambiamenti climatici. Tra le condizioni che la utility pone per stanziare i fondi, quella di rimanere in incognito quale sponsor e di esaminare le conclusioni prima della pubblicazione.
Altre carte pubblicate mostrano come molte associazioni “di base” che si sono battute e si battono contro le politiche per ridurre le emissioni siano in realtà emanazione diretta dell'industria delle fossili.......
Una strategia, quella di lobbying e disinformazione, che sembra aver funzionato, commentano dall'UCS, dato che metà di tutte le emissioni dall'inizio della rivoluzione industriale sono state rilasciate in atmosfera dal 1988 in avanti e che ad oggi gli Stati Uniti non hanno ancora una politica federale organica per affrontare il problema.
Leggi anche su Agi 

Clima: Guardian, Exxon sapeva da 1981 cause riscaldamento globale

28 giugno 2015

Qualenergia:Transizione energetica e clima, c’è poco da stare sereni

Tratto da QualEnergia

Transizione energetica e clima, c’è poco da stare sereni

Le spinte che remano contro il cambiamento del sistema di approvvigionamento energetico e la lotta al global warming sono forti e agguerrite, e dalla loro parte stanno i governi da sempre organici all’industria energetica tradizionale. Uno sguardo, senza troppe illusioni, dal livello mondiale fino al nostro Paese. Ovunque si prova a rallentare un cambiamento che richiede invece una forte accelerazione.
In molti confidano che dalla Cop 21 di Parigi possa uscire un risultato positivo e, per molti versi, storico per la lotta contro cambiamenti climatici. Si parla di svolta, di segnali che sembrano promettenti, di leader che si adoperano per la riuscita, e molte dichiarazioni ottimistiche si sprecano dopo l’importante Enciclica papale. .........
Finora, e siamo a 21, l’approccio dei negoziati oltre a dimostrarsi fallimentare, non ha portato a nessun cambiamento determinante nel sistema di approvvigionamento energetico (e dove è stato intrapreso ha avuto origine da altre dinamiche). Il motivo è da ricercarsi nel fatto che ci si è mossi sempre nell’ambito circoscritto degli interessi dell’industria fossile-nucleare e della ricerca del consenso economico, oltre che energetico.
Un esempio è dato dal meccanismo dello scambio delle emissioni, rivelatosi, quando non controproducente, chiaramente inefficace allo scopo, ma sul quale la Commissione Europea vuole continuare a puntare, assicurando quote gratuite ai settori, dicono, che sono maggiormente esposti al rischio di rilocalizzazione. Insomma i negoziati internazionali sul clima sono stati finora un buon alibi per la stragrande maggioranza dei governi per procrastinare le decisioni più nette. Un continuo rinvio.
Ma non è questo che dovrebbe preoccupare. Altri rischi per il clima sembrano profilarsi all’orizzonte che si confondono e contrastano con le notizia più positive, che comunque ci sono.
Governi e istituzioni internazionali, da sempre organici e sinergici con la lobby dell’industria fossile, si dichiarano a volte, entro i propri confini, pronti a trattare per il clima, anche se poi sanno che la parola d’ordine è “o si va avanti tutti insieme oppure si aspetta il prossimo giro”. Il ‘rischio’ connesso alle loro dichiarazioni, quasi mai destabilizzante per l’industria energetica convenzionale, è comunque calcolato.
Governi molto ecologici nei proclami, ma poi, come svela l’ultimo rapporto del WWF International, capaci di forti contraddizioni. Un esempio? Finanziano in vari modi  combustibili fossili, a cominciare dal carbone. Lo fanno sotto il tappeto, “Under the rug” (pdf), che è proprio il titolo del documento in questione. Si denuncia qui come i governi nascondono, grazie alla finanza pubblica, un notevole sostegno all’industria del carbone: circa 73 miliardi di dollari tra il 2007 al 2014.
Andiamo sul fronte dell’industria del petrolio. Piuttosto battagliera e indifferente a quei ‘fanatici ecologisti’ del G7 che hanno dichiarato in Germania, ad Elmau il 7-8 giugno, che usciremo, addirittura, a fine secolo dalla sua dipendenza (la dichiarazione dei Leader). .....
Il grande capo di Exxon ha detto che nel 2040 il consumo di energia aumenterà del 30% a causa della crescita della classe media globale e che il 75% di questo aumento verrà soddisfatto dai fossili. Il capo di Total dice che si dovranno trovare (esplorazioni nell’Artico?) 50 milioni di barili al giorno di petrolio in più per compensare l’esaurimenti dei giacimenti attuali. Come scrive Garavini “tutti questi potenti e autorevoli signori dell'energia prevedono consumi di idrocarburi in aumento e trivellazioni a tappeto entro il 2040 e chiedono ai Governi di pagare meno tasse per poter investire”. Ovviamente tutti, nessuno escluso, ritengono che l’accordo alla Cop 21 sarà ‘inoffensivo’.
Queste due finestre sul mondo dei fossili (e altre se ne potrebbero aprire) delineano uno scenario inconciliabile con gli obiettivi fondamentali per il clima e, ad esempio, con quanto ci ha detto la ricerca dell’Institute for Sustainable Resources dell’University College di Londra, apparsa a gennaio su Nature, dove si spiegava a quante riserve fossili conosciute bisognerà rinunciare per restare entro la soglia critica dei 2 °C: stiamo parlando dei 2/3 delle riserve economicamente sfruttabili che non dovranno mai essere estratte. Dunque, lo scenario che ne scaturisce sembrerebbe allo stato delle cose geopoliticamente ed economicamente improbabile perché su queste riserve ci puntano, oltre che le società di idrocarburi, pure gli Stati che vogliono fare cassa, come abbiamo già scritto su queste pagine. Però l’avvertimento ci dà l’esatta dimensione del problema del global warming e di cosa blocchi la macchina negoziale....
Questo quadro di stallo non migliora se guardiamo l’orticello di casa. Sono bastate poche dichiarazioni del sottosegretario De Vincenti e del premier Renzi nel corso degli Stati Generali dei cambiamenti climatici per gettare ancora di più nello sconforto chi ha un’idea di modello energetico diverso per il nostro paese. Uno ancora parla di tecnologia ponte (il gas) per poi un giorno sviluppare al meglio, chissà quando e come, le rinnovabili e l’altro dice che c’è un ‘unico’ (?) nemico (il carbone) e che le rinnovabili da sole non ce la fanno. E poi le solite chiacchiere ottimistiche e tattiche per procrastinare le scelte e non intaccare più di tanto l’assetto energetico attuale. E illudere tutti che ci si sta lavorando (a questo servono questi Stati Generali, no?). I cambiamenti tecnologici richiedono invece sempre un’accelerazione; non vanno frenati né contingentati, ma guidati e favoriti.  
I fatti poi dicono il contrario sull’azione governativa intrapresa: leggi retroattive (spalma-incentivi, forse anticostituzionale), un pessimo decreto sulle rinnovabili, leggine e regole che attaccano la generazione distribuita, soprattutto il fotovoltaico, la tecnologia che fa più paura, trivellazioni per la ricerca di idrocarburi anche nei nostri mari, infrastrutture inutili come la Tap e l’elettrodotto dell’Adriatico, ecc.
Renzi chiede sei mesi di tempo per discutere di questa “priorità per il paese e per il governo” (ma “senza fare annunci shock”, ci mancherebbe), fino alla Cop 21. E poi? Tempo non c’è più, invece di rinnovabili quante ne vuole, caro presidente Renzi. Serve solo una strada chiara da intraprendere e subito, senza aspettare accordi al ribasso dall’esterno. Le tecnologie ci sono, le idee, i programmi anche e l’industria delle tecnologie pulite è pronta....

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