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Che storia è CriticAl carbone?
E' la storia di chi vuole essere leader nella sua vita, non gregario nella vita di qualcun altro, ma soprattutto è la storia di chi, nonostante sia totalmente da solo a combattere certe guerre, continua ad alzarsi la mattina convinto che i bambini di tutti - anche quelli dei menefottisti - meritino di correre in una vita felice e piena di salute, non di rivoltarsi in un letto d'ospedale lottando con un tumore grosso come una noce di cocco.
Avete letto bene: "certe guerre". Questa è una storia di guerra, una guerra con le bombe silenziose. Dura ventiquattro ore al giorno, non si ferma mai e ogni mese la paghiamo pensando che sia solo luce. Non è solo luce, è altro, è qualcosa che ti nasce tra le ossa e si appiccica agli organi: mentre ti sbrana il corpo ti fa sentire in colpa e debole e finito.
Diventi un malato, un costo, l'appuntamento delle quattro, un problema per la tua famiglia.
Il paradosso è questo: paghi... paghiamo la luce che la sera ci rassicura e ci aiuta a lavare i vestiti, ad ascoltare la musica, a vedere la nazionale in tv, la paghiamo con i soldi e con il corpo. E allora diventa nera, nera come quella sentenza che tutti temono, nera come il carbone, nera come la morte.
Il carbone macina un morto al giorno, non i morti degli altri, i nostri morti: il vicino, la zia, il nonno, la mamma, il figlio... anche piccolo, talmente piccolo da non essere nemmeno nato. Ed è già marchiato.
Avete mai guardato negli occhi un bambino che muore? E gli occhi di sua madre mentre tenta di riacchiappare l'esistenza del suo cucciolo che sguscia via? Io sì. Un corpo così breve che si spegne e cancella tutti i ricordi ancora da creare, le lezioni da imparare, le ginocchia sbucciate, il primo bacio, la prima volta, la prima sbronza, l'amore, tutto quello che noi abbiamo vissuto, lui non lo vivrà mai. Mai.
"No, ma tanto questi hanno il coltello dalla parte del manico, figurati cosa posso fare io da solo... perdi tempo... e poi rischi... lascia perdere..."
Sì, è anche la storia di chi lascia perdere e si rende complice, firma la condanna a morte di se stesso e di qualcun altro. E.Non.Lo.Sa. O fa finita di non saperlo. O lo sa, ma ha paura. Comprensibile. Comprensibilissimo, lo capisco. La paura è un'arma potentissima dalla quale io stessa mi sono fatta crivellare la vita, fino a quando non mi sono voltata e l'ho vista a brandelli. E non voglio, non devo, non posso permettere che sia ancora così. La paura deve essere fermata, deve arretrare quando di fronte c'è la morte che si può evitare. Lasciar perdere è facile, fai spallucce e speri che non ti succeda o ingenuamente pensi che succeda solo agli altri, ma lo sai che non è così, lo sai benissimo.
Questa è una storia con un finale interamente appeso alla nostra volontà. La manifestazione di sabato è stata un capitolo in cui si sono ritrovati tanti personaggi.
C'era chi ha marchiato il territorio alzando la zampetta e facendola di fronte a tutti, portandosi dietro una comunicazione così volgare da farmi venire il voltastomaco solo ad avvertirne la presenza; chi c'era ma poteva starsene a casa a guardare Pollyanna, chi non c'era ma avrebbe voluto esserci, chi finalmente ha capito da che parte stare, chi è venuto da lontano perché ci crede più di quanto ci crediamo noi tutti messi insieme, chi sta rischiando ogni giorno e viene inondato di minacce, di "non lavorerai mai più", di "perderai tutto" e di "te la farò pagare". C'era Greenpeace con la sua organizzazione chirurgica, c'erano i comitati locali, che per un giorno hanno coperto le loro divisioni, c'erano tante biciclette, tanti genitori, tanti nonni con le grida della guerra ancora nelle orecchie e un flashback negli occhi: "Sarà difficile vincere, ma ce la farete".
C'erano soprattutto tante persone ammalate che hanno deciso di essere esempi e testimoni.
C'era chi un giorno uscirà dalla propria vita sicuro di aver fatto ogni cosa in suo potere per lasciare ai figli del mondo un presente più pulito possibile, contro vigliaccherie, soldi e politica becera. Senza paura. Perché la morale della storia è questa: capire dove stare e starci contrastando in primo luogo la paura delle conseguenze.
E lo ripeto, è una guerra non solo contro il carbone, ma contro un sistema che sembra aver studiato nei libri del fascismo o della mafia, dove se sbatti i pugni e dici NO alle porcate, rischi di vederti recapitare la minaccia. E' successo anche a me, e succederà ancora, perché è così che funziona: sta a noi innalzare il muro e far sbattere a 'sta gente la testa prima che se la monti troppo.
Illusa, può darsi, ma laggiù, in fondo alla mia via e a quella di chi sabato era in piazza a manifestare contro il carbone, non ci sono il pentimento e i "potevo fare qualcosa" pronti a farci passare dall'altra parte a capo chino.
Cosa abbiamo fatto lo potete leggere nei quotidiani locali, a me interessava raccontarvi una storia, e questa è la storia in cui tutti sono protagonisti ed eroi, mai vittime. Basta volerlo. - See more at: http://www.civitavecchialive.com/2013/07/critical-carbone-una-storia-da.html#sthash.KzpGxfeU.dpuf
E' la storia di chi vuole essere leader nella sua vita, non gregario nella vita di qualcun altro, ma soprattutto è la storia di chi, nonostante sia totalmente da solo a combattere certe guerre, continua ad alzarsi la mattina convinto che i bambini di tutti - anche quelli dei menefottisti - meritino di correre in una vita felice e piena di salute, non di rivoltarsi in un letto d'ospedale lottando con un tumore grosso come una noce di cocco.
Avete letto bene: "certe guerre". Questa è una storia di guerra, una guerra con le bombe silenziose. Dura ventiquattro ore al giorno, non si ferma mai e ogni mese la paghiamo pensando che sia solo luce. Non è solo luce, è altro, è qualcosa che ti nasce tra le ossa e si appiccica agli organi: mentre ti sbrana il corpo ti fa sentire in colpa e debole e finito.
Diventi un malato, un costo, l'appuntamento delle quattro, un problema per la tua famiglia.
Il paradosso è questo: paghi... paghiamo la luce che la sera ci rassicura e ci aiuta a lavare i vestiti, ad ascoltare la musica, a vedere la nazionale in tv, la paghiamo con i soldi e con il corpo. E allora diventa nera, nera come quella sentenza che tutti temono, nera come il carbone, nera come la morte.
Il carbone macina un morto al giorno, non i morti degli altri, i nostri morti: il vicino, la zia, il nonno, la mamma, il figlio... anche piccolo, talmente piccolo da non essere nemmeno nato. Ed è già marchiato.
Avete mai guardato negli occhi un bambino che muore? E gli occhi di sua madre mentre tenta di riacchiappare l'esistenza del suo cucciolo che sguscia via? Io sì. Un corpo così breve che si spegne e cancella tutti i ricordi ancora da creare, le lezioni da imparare, le ginocchia sbucciate, il primo bacio, la prima volta, la prima sbronza, l'amore, tutto quello che noi abbiamo vissuto, lui non lo vivrà mai. Mai.
"No, ma tanto questi hanno il coltello dalla parte del manico, figurati cosa posso fare io da solo... perdi tempo... e poi rischi... lascia perdere..."
Sì, è anche la storia di chi lascia perdere e si rende complice, firma la condanna a morte di se stesso e di qualcun altro. E.Non.Lo.Sa. O fa finita di non saperlo. O lo sa, ma ha paura. Comprensibile. Comprensibilissimo, lo capisco. La paura è un'arma potentissima dalla quale io stessa mi sono fatta crivellare la vita, fino a quando non mi sono voltata e l'ho vista a brandelli. E non voglio, non devo, non posso permettere che sia ancora così. La paura deve essere fermata, deve arretrare quando di fronte c'è la morte che si può evitare. Lasciar perdere è facile, fai spallucce e speri che non ti succeda o ingenuamente pensi che succeda solo agli altri, ma lo sai che non è così, lo sai benissimo.
Questa è una storia con un finale interamente appeso alla nostra volontà. La manifestazione di sabato è stata un capitolo in cui si sono ritrovati tanti personaggi.
C'era chi ha marchiato il territorio alzando la zampetta e facendola di fronte a tutti, portandosi dietro una comunicazione così volgare da farmi venire il voltastomaco solo ad avvertirne la presenza; chi c'era ma poteva starsene a casa a guardare Pollyanna, chi non c'era ma avrebbe voluto esserci, chi finalmente ha capito da che parte stare, chi è venuto da lontano perché ci crede più di quanto ci crediamo noi tutti messi insieme, chi sta rischiando ogni giorno e viene inondato di minacce, di "non lavorerai mai più", di "perderai tutto" e di "te la farò pagare". C'era Greenpeace con la sua organizzazione chirurgica, c'erano i comitati locali, che per un giorno hanno coperto le loro divisioni, c'erano tante biciclette, tanti genitori, tanti nonni con le grida della guerra ancora nelle orecchie e un flashback negli occhi: "Sarà difficile vincere, ma ce la farete".
C'erano soprattutto tante persone ammalate che hanno deciso di essere esempi e testimoni.
C'era chi un giorno uscirà dalla propria vita sicuro di aver fatto ogni cosa in suo potere per lasciare ai figli del mondo un presente più pulito possibile, contro vigliaccherie, soldi e politica becera. Senza paura. Perché la morale della storia è questa: capire dove stare e starci contrastando in primo luogo la paura delle conseguenze.
E lo ripeto, è una guerra non solo contro il carbone, ma contro un sistema che sembra aver studiato nei libri del fascismo o della mafia, dove se sbatti i pugni e dici NO alle porcate, rischi di vederti recapitare la minaccia. E' successo anche a me, e succederà ancora, perché è così che funziona: sta a noi innalzare il muro e far sbattere a 'sta gente la testa prima che se la monti troppo.
Illusa, può darsi, ma laggiù, in fondo alla mia via e a quella di chi sabato era in piazza a manifestare contro il carbone, non ci sono il pentimento e i "potevo fare qualcosa" pronti a farci passare dall'altra parte a capo chino.
Cosa abbiamo fatto lo potete leggere nei quotidiani locali, a me interessava raccontarvi una storia, e questa è la storia in cui tutti sono protagonisti ed eroi, mai vittime. Basta volerlo. - See more at: http://www.civitavecchialive.com/2013/07/critical-carbone-una-storia-da.html#sthash.KzpGxfeU.dpuf
E'
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sia totalmente da solo a combattere certe guerre, continua ad alzarsi la
mattina convinto che i bambini di tutti - anche quelli dei menef - See
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Che storia è CriticAl carbone?
E' la storia di chi vuole essere leader nella sua vita, non gregario nella vita di qualcun altro, ma soprattutto è la storia di chi, nonostante sia totalmente da solo a combattere certe guerre, continua ad alzarsi la mattina convinto che i bambini di tutti - anche quelli dei menefottisti - meritino di correre in una vita felice e piena di salute, non di rivoltarsi in un letto d'ospedale lottando con un tumore grosso come una noce di cocco.
Avete letto bene: "certe guerre". Questa è una storia di guerra, una guerra con le bombe silenziose. Dura ventiquattro ore al giorno, non si ferma mai e ogni mese la paghiamo pensando che sia solo luce. Non è solo luce, è altro, è qualcosa che ti nasce tra le ossa e si appiccica agli organi: mentre ti sbrana il corpo ti fa sentire in colpa e debole e finito.
Diventi un malato, un costo, l'appuntamento delle quattro, un problema per la tua famiglia.
Il paradosso è questo: paghi... paghiamo la luce che la sera ci rassicura e ci aiuta a lavare i vestiti, ad ascoltare la musica, a vedere la nazionale in tv, la paghiamo con i soldi e con il corpo. E allora diventa nera, nera come quella sentenza che tutti temono, nera come il carbone, nera come la morte.
Il carbone macina un morto al giorno, non i morti degli altri, i nostri morti: il vicino, la zia, il nonno, la mamma, il figlio... anche piccolo, talmente piccolo da non essere nemmeno nato. Ed è già marchiato.
Avete mai guardato negli occhi un bambino che muore? E gli occhi di sua madre mentre tenta di riacchiappare l'esistenza del suo cucciolo che sguscia via? Io sì. Un corpo così breve che si spegne e cancella tutti i ricordi ancora da creare, le lezioni da imparare, le ginocchia sbucciate, il primo bacio, la prima volta, la prima sbronza, l'amore, tutto quello che noi abbiamo vissuto, lui non lo vivrà mai. Mai.
"No, ma tanto questi hanno il coltello dalla parte del manico, figurati cosa posso fare io da solo... perdi tempo... e poi rischi... lascia perdere..."
Sì, è anche la storia di chi lascia perdere e si rende complice, firma la condanna a morte di se stesso e di qualcun altro. E.Non.Lo.Sa. O fa finita di non saperlo. O lo sa, ma ha paura. Comprensibile. Comprensibilissimo, lo capisco. La paura è un'arma potentissima dalla quale io stessa mi sono fatta crivellare la vita, fino a quando non mi sono voltata e l'ho vista a brandelli. E non voglio, non devo, non posso permettere che sia ancora così. La paura deve essere fermata, deve arretrare quando di fronte c'è la morte che si può evitare. Lasciar perdere è facile, fai spallucce e speri che non ti succeda o ingenuamente pensi che succeda solo agli altri, ma lo sai che non è così, lo sai benissimo.
Questa è una storia con un finale interamente appeso alla nostra volontà. La manifestazione di sabato è stata un capitolo in cui si sono ritrovati tanti personaggi.
C'era chi ha marchiato il territorio alzando la zampetta e facendola di fronte a tutti, portandosi dietro una comunicazione così volgare da farmi venire il voltastomaco solo ad avvertirne la presenza; chi c'era ma poteva starsene a casa a guardare Pollyanna, chi non c'era ma avrebbe voluto esserci, chi finalmente ha capito da che parte stare, chi è venuto da lontano perché ci crede più di quanto ci crediamo noi tutti messi insieme, chi sta rischiando ogni giorno e viene inondato di minacce, di "non lavorerai mai più", di "perderai tutto" e di "te la farò pagare". C'era Greenpeace con la sua organizzazione chirurgica, c'erano i comitati locali, che per un giorno hanno coperto le loro divisioni, c'erano tante biciclette, tanti genitori, tanti nonni con le grida della guerra ancora nelle orecchie e un flashback negli occhi: "Sarà difficile vincere, ma ce la farete".
C'erano soprattutto tante persone ammalate che hanno deciso di essere esempi e testimoni.
C'era chi un giorno uscirà dalla propria vita sicuro di aver fatto ogni cosa in suo potere per lasciare ai figli del mondo un presente più pulito possibile, contro vigliaccherie, soldi e politica becera. Senza paura. Perché la morale della storia è questa: capire dove stare e starci contrastando in primo luogo la paura delle conseguenze.
E lo ripeto, è una guerra non solo contro il carbone, ma contro un sistema che sembra aver studiato nei libri del fascismo o della mafia, dove se sbatti i pugni e dici NO alle porcate, rischi di vederti recapitare la minaccia. E' successo anche a me, e succederà ancora, perché è così che funziona: sta a noi innalzare il muro e far sbattere a 'sta gente la testa prima che se la monti troppo.
Illusa, può darsi, ma laggiù, in fondo alla mia via e a quella di chi sabato era in piazza a manifestare contro il carbone, non ci sono il pentimento e i "potevo fare qualcosa" pronti a farci passare dall'altra parte a capo chino.
Cosa abbiamo fatto lo potete leggere nei quotidiani locali, a me interessava raccontarvi una storia, e questa è la storia in cui tutti sono protagonisti ed eroi, mai vittime. Basta volerlo. - See more at: http://www.civitavecchialive.com/2013/07/critical-carbone-una-storia-da.html#sthash.KzpGxfeU.dpuf
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Avete letto bene: "certe guerre". Questa è una storia di guerra, una guerra con le bombe silenziose. Dura ventiquattro ore al giorno, non si ferma mai e ogni mese la paghiamo pensando che sia solo luce. Non è solo luce, è altro, è qualcosa che ti nasce tra le ossa e si appiccica agli organi: mentre ti sbrana il corpo ti fa sentire in colpa e debole e finito.
Diventi un malato, un costo, l'appuntamento delle quattro, un problema per la tua famiglia.
Il paradosso è questo: paghi... paghiamo la luce che la sera ci rassicura e ci aiuta a lavare i vestiti, ad ascoltare la musica, a vedere la nazionale in tv, la paghiamo con i soldi e con il corpo. E allora diventa nera, nera come quella sentenza che tutti temono, nera come il carbone, nera come la morte.
Il carbone macina un morto al giorno, non i morti degli altri, i nostri morti: il vicino, la zia, il nonno, la mamma, il figlio... anche piccolo, talmente piccolo da non essere nemmeno nato. Ed è già marchiato.
Avete mai guardato negli occhi un bambino che muore? E gli occhi di sua madre mentre tenta di riacchiappare l'esistenza del suo cucciolo che sguscia via? Io sì. Un corpo così breve che si spegne e cancella tutti i ricordi ancora da creare, le lezioni da imparare, le ginocchia sbucciate, il primo bacio, la prima volta, la prima sbronza, l'amore, tutto quello che noi abbiamo vissuto, lui non lo vivrà mai. Mai.
"No, ma tanto questi hanno il coltello dalla parte del manico, figurati cosa posso fare io da solo... perdi tempo... e poi rischi... lascia perdere..."
Sì, è anche la storia di chi lascia perdere e si rende complice, firma la condanna a morte di se stesso e di qualcun altro. E.Non.Lo.Sa. O fa finita di non saperlo. O lo sa, ma ha paura. Comprensibile. Comprensibilissimo, lo capisco. La paura è un'arma potentissima dalla quale io stessa mi sono fatta crivellare la vita, fino a quando non mi sono voltata e l'ho vista a brandelli. E non voglio, non devo, non posso permettere che sia ancora così. La paura deve essere fermata, deve arretrare quando di fronte c'è la morte che si può evitare. Lasciar perdere è facile, fai spallucce e speri che non ti succeda o ingenuamente pensi che succeda solo agli altri, ma lo sai che non è così, lo sai benissimo.
Questa è una storia con un finale interamente appeso alla nostra volontà. La manifestazione di sabato è stata un capitolo in cui si sono ritrovati tanti personaggi.
C'era chi ha marchiato il territorio alzando la zampetta e facendola di fronte a tutti, portandosi dietro una comunicazione così volgare da farmi venire il voltastomaco solo ad avvertirne la presenza; chi c'era ma poteva starsene a casa a guardare Pollyanna, chi non c'era ma avrebbe voluto esserci, chi finalmente ha capito da che parte stare, chi è venuto da lontano perché ci crede più di quanto ci crediamo noi tutti messi insieme, chi sta rischiando ogni giorno e viene inondato di minacce, di "non lavorerai mai più", di "perderai tutto" e di "te la farò pagare". C'era Greenpeace con la sua organizzazione chirurgica, c'erano i comitati locali, che per un giorno hanno coperto le loro divisioni, c'erano tante biciclette, tanti genitori, tanti nonni con le grida della guerra ancora nelle orecchie e un flashback negli occhi: "Sarà difficile vincere, ma ce la farete".
C'erano soprattutto tante persone ammalate che hanno deciso di essere esempi e testimoni.
C'era chi un giorno uscirà dalla propria vita sicuro di aver fatto ogni cosa in suo potere per lasciare ai figli del mondo un presente più pulito possibile, contro vigliaccherie, soldi e politica becera. Senza paura. Perché la morale della storia è questa: capire dove stare e starci contrastando in primo luogo la paura delle conseguenze.
E lo ripeto, è una guerra non solo contro il carbone, ma contro un sistema che sembra aver studiato nei libri del fascismo o della mafia, dove se sbatti i pugni e dici NO alle porcate, rischi di vederti recapitare la minaccia. E' successo anche a me, e succederà ancora, perché è così che funziona: sta a noi innalzare il muro e far sbattere a 'sta gente la testa prima che se la monti troppo.
Illusa, può darsi, ma laggiù, in fondo alla mia via e a quella di chi sabato era in piazza a manifestare contro il carbone, non ci sono il pentimento e i "potevo fare qualcosa" pronti a farci passare dall'altra parte a capo chino.
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CriticAl carbone: una storia da raccontare
Che storia è CriticAl carbone?
E' la storia di chi vuole essere leader nella sua vita, non gregario nella vita di qualcun altro, ma soprattutto è la storia di chi, nonostante sia totalmente da solo a combattere certe guerre, continua ad alzarsi la mattina convinto che i bambini di tutti - anche quelli dei menefottisti - meritino di correre in una vita felice e piena di salute, non di rivoltarsi in un letto d'ospedale lottando con un tumore grosso come una noce di cocco.
Avete letto bene: "certe guerre". Questa è una storia di guerra, una guerra con le bombe silenziose. Dura ventiquattro ore al giorno, non si ferma mai e ogni mese la paghiamo pensando che sia solo luce. Non è solo luce, è altro, è qualcosa che ti nasce tra le ossa e si appiccica agli organi: mentre ti sbrana il corpo ti fa sentire in colpa e debole e finito.
Diventi un malato, un costo, l'appuntamento delle quattro, un problema per la tua famiglia.
Il paradosso è questo: paghi... paghiamo la luce che la sera ci rassicura e ci aiuta a lavare i vestiti, ad ascoltare la musica, a vedere la nazionale in tv, la paghiamo con i soldi e con il corpo. E allora diventa nera, nera come quella sentenza che tutti temono, nera come il carbone, nera come la morte.
Il carbone macina un morto al giorno, non i morti degli altri, i nostri morti: il vicino, la zia, il nonno, la mamma, il figlio... anche piccolo, talmente piccolo da non essere nemmeno nato. Ed è già marchiato.
Avete mai guardato negli occhi un bambino che muore? E gli occhi di sua madre mentre tenta di riacchiappare l'esistenza del suo cucciolo che sguscia via? Io sì. Un corpo così breve che si spegne e cancella tutti i ricordi ancora da creare, le lezioni da imparare, le ginocchia sbucciate, il primo bacio, la prima volta, la prima sbronza, l'amore, tutto quello che noi abbiamo vissuto, lui non lo vivrà mai. Mai.
"No, ma tanto questi hanno il coltello dalla parte del manico, figurati cosa posso fare io da solo... perdi tempo... e poi rischi... lascia perdere..."
Sì, è anche la storia di chi lascia perdere e si rende complice, firma la condanna a morte di se stesso e di qualcun altro. E.Non.Lo.Sa. O fa finita di non saperlo. O lo sa, ma ha paura. Comprensibile. Comprensibilissimo, lo capisco. La paura è un'arma potentissima dalla quale io stessa mi sono fatta crivellare la vita, fino a quando non mi sono voltata e l'ho vista a brandelli. E non voglio, non devo, non posso permettere che sia ancora così. La paura deve essere fermata, deve arretrare quando di fronte c'è la morte che si può evitare. Lasciar perdere è facile, fai spallucce e speri che non ti succeda o ingenuamente pensi che succeda solo agli altri, ma lo sai che non è così, lo sai benissimo.
Questa è una storia con un finale interamente appeso alla nostra volontà. La manifestazione di sabato è stata un capitolo in cui si sono ritrovati tanti personaggi.
C'era chi ha marchiato il territorio alzando la zampetta e facendola di fronte a tutti, portandosi dietro una comunicazione così volgare da farmi venire il voltastomaco solo ad avvertirne la presenza; chi c'era ma poteva starsene a casa a guardare Pollyanna, chi non c'era ma avrebbe voluto esserci, chi finalmente ha capito da che parte stare, chi è venuto da lontano perché ci crede più di quanto ci crediamo noi tutti messi insieme, chi sta rischiando ogni giorno e viene inondato di minacce, di "non lavorerai mai più", di "perderai tutto" e di "te la farò pagare". C'era Greenpeace con la sua organizzazione chirurgica, c'erano i comitati locali, che per un giorno hanno coperto le loro divisioni, c'erano tante biciclette, tanti genitori, tanti nonni con le grida della guerra ancora nelle orecchie e un flashback negli occhi: "Sarà difficile vincere, ma ce la farete".
C'erano soprattutto tante persone ammalate che hanno deciso di essere esempi e testimoni.
C'era chi un giorno uscirà dalla propria vita sicuro di aver fatto ogni cosa in suo potere per lasciare ai figli del mondo un presente più pulito possibile, contro vigliaccherie, soldi e politica becera. Senza paura. Perché la morale della storia è questa: capire dove stare e starci contrastando in primo luogo la paura delle conseguenze.
E lo ripeto, è una guerra non solo contro il carbone, ma contro un sistema che sembra aver studiato nei libri del fascismo o della mafia, dove se sbatti i pugni e dici NO alle porcate, rischi di vederti recapitare la minaccia. E' successo anche a me, e succederà ancora, perché è così che funziona: sta a noi innalzare il muro e far sbattere a 'sta gente la testa prima che se la monti troppo.
Illusa, può darsi, ma laggiù, in fondo alla mia via e a quella di chi sabato era in piazza a manifestare contro il carbone, non ci sono il pentimento e i "potevo fare qualcosa" pronti a farci passare dall'altra parte a capo chino.
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Avete letto bene: "certe guerre". Questa è una storia di guerra, una guerra con le bombe silenziose. Dura ventiquattro ore al giorno, non si ferma mai e ogni mese la paghiamo pensando che sia solo luce. Non è solo luce, è altro, è qualcosa che ti nasce tra le ossa e si appiccica agli organi: mentre ti sbrana il corpo ti fa sentire in colpa e debole e finito.
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Il paradosso è questo: paghi... paghiamo la luce che la sera ci rassicura e ci aiuta a lavare i vestiti, ad ascoltare la musica, a vedere la nazionale in tv, la paghiamo con i soldi e con il corpo. E allora diventa nera, nera come quella sentenza che tutti temono, nera come il carbone, nera come la morte.
Il carbone macina un morto al giorno, non i morti degli altri, i nostri morti: il vicino, la zia, il nonno, la mamma, il figlio... anche piccolo, talmente piccolo da non essere nemmeno nato. Ed è già marchiato.
Avete mai guardato negli occhi un bambino che muore? E gli occhi di sua madre mentre tenta di riacchiappare l'esistenza del suo cucciolo che sguscia via? Io sì. Un corpo così breve che si spegne e cancella tutti i ricordi ancora da creare, le lezioni da imparare, le ginocchia sbucciate, il primo bacio, la prima volta, la prima sbronza, l'amore, tutto quello che noi abbiamo vissuto, lui non lo vivrà mai. Mai.
"No, ma tanto questi hanno il coltello dalla parte del manico, figurati cosa posso fare io da solo... perdi tempo... e poi rischi... lascia perdere..."
Sì, è anche la storia di chi lascia perdere e si rende complice, firma la condanna a morte di se stesso e di qualcun altro. E.Non.Lo.Sa. O fa finita di non saperlo. O lo sa, ma ha paura. Comprensibile. Comprensibilissimo, lo capisco. La paura è un'arma potentissima dalla quale io stessa mi sono fatta crivellare la vita, fino a quando non mi sono voltata e l'ho vista a brandelli. E non voglio, non devo, non posso permettere che sia ancora così. La paura deve essere fermata, deve arretrare quando di fronte c'è la morte che si può evitare. Lasciar perdere è facile, fai spallucce e speri che non ti succeda o ingenuamente pensi che succeda solo agli altri, ma lo sai che non è così, lo sai benissimo.
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E lo ripeto, è una guerra non solo contro il carbone, ma contro un sistema che sembra aver studiato nei libri del fascismo o della mafia, dove se sbatti i pugni e dici NO alle porcate, rischi di vederti recapitare la minaccia. E' successo anche a me, e succederà ancora, perché è così che funziona: sta a noi innalzare il muro e far sbattere a 'sta gente la testa prima che se la monti troppo.
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